lunedì 2 aprile 2018

Vanilla Fudge - Vanilla Fudge (recensione)

Una band di cui ho sentito parlare più volte, spesso da vari membri dei Deep Purple, che li citano come una delle principali ispirazioni nei loro primissimi anni di attività (la formazione mark 1 per intenderci). Per qualche motivo per tanto tempo non ho neanche provato ad ascoltarli, non chiedetemi perchè. Finchè, qualche mese fa, quella bellissima copertina colorata fece capolino da uno scaffale del mio negozio di musica di fiducia, pregandomi di spendere una parte della sudata pecunia e di portarlo a casa insieme ai tanti (troppi? Naaaahh) suoi simili. Dovetti cedere.
Fin da subito è ben chiaro ciò che ci troveremo davanti in questi 40 minuti abbondanti: cover pesantemente riarrangiate ed abbondante psichedelia allucinata. Ah dimenticavo: tanto, tanto Hammond. Ecco quindi che l'album inizia con una versione stravolta, rallentata, "drogata" di Ticket To Ride dei Beatles. Una descrizione che potrei tranquillamente applicare ad ogni pezzo di questo album a dire il vero. Già da qui si può notare anche la loro propensione all'uso di armonie vocali, purtroppo qui ancora un po' acerbe e traballanti nell'intonazione, e forse proprio per questo complici nel creare un'atmosfera lisergico-psichedelica in tutto l'album.
Avranno modo di migliorare notevolmente negli album successivi sotto questo aspetto. Dopo il crescendo e l'esplosione sonora del primo brano, le acque si calmano con People Get Ready, degli Impression, che, a livello sonoro, è l'esatto opposto di Ticket To Ride nella sua pacatezza. She's Not There di Rod Argent mette di nuovo in chiaro le cose in questo arrangiamento devastante con tanto di stop and start totalmente inaspettato prima del finale. Uno dei miei preferiti dell'album. Bang Bang di Cher, scritta da Sonny Bono, è ancora oggi una ventata d'aria fresca, soprattutto alla luce delle innumerevoli cover (spesso buttate senza pietà in qualche pubblicità) piatte e senza la minima personalità. Basta l'introduzione con quella filastrocca inquietante per capire che erano "oltre". Ecco, quello che veramente non manca ai Vanilla Fudge è la personalità. La capacità di prendere pezzi altrui, stravolgerli e renderli propri; quasi al punto di chiedersi, in alcuni casi, se non si tratti di pezzi di loro composizione. E soprattutto, la loro idea di stravolgere i brani, e di conseguenza il risultato, rientra comunque nell'ampiamente ascoltabile\godibile; non come la tendenza di molte cover degli ultimi anni, che o le copiano identiche o le rendono letteralmente pessime alternandosi tra ukulele + voce sfiatata depressa o urlata all'americana. O entrambe. E se vuoi una versione "originale" spesso si sfocia nell'orribile ed irriconoscibile. Come al solito, o bianco o nero. Sad.
Ed eccoci finalmente al pezzo forte dell'album! Il loro brano forse più famoso, introdotto e chiuso da una loro breve composizione strumentale: You Keep Me Hanging On delle Supremes. Ecco, forse tra tutte le loro cover questa è la più riuscita, la più a fuoco. Tutti gli elementi del loro suono qui contribuiscono a creare una versione di questo brano non solo alternativa all'originale, ma possibilmente anche migliore. E per tanto che io possa amare questo album, non sono molti i casi in cui posso tranquillamente dire che la cover è meglio dell'originale, quanto piuttosto semplicemente un'altra bella ed interessante versione. Qui non c'è dubbio a riguardo. Take Me For A Little While di Trade Martin è un altro bel brano in linea con il resto dell'album forse oscurato dal precedente e dal successivo, comprensibilmente. Anche perchè ciò che segue, in chiusura dell'album, è forse la più grande sorpresa dell'album. Eleanor Rigby dei Beatles in una versione letteralmente irriconoscibile, anche qui introdotta da una loro composizione strumentale. Una versione rallentata, rarefatta, con atmosfera e cori inquietanti spesso "stonati". L'immagine che crea pare quasi essere ciò che sente chi ascolta l'originale dei Beatles dopo aver ingurgitato importanti quantità di LSD. Bellissimo poi il crescendo finale con le voci che si incrociano e ci portano ad una inaspettata citazione in coro a cappella di Strawberry Fields Forever: "Nothing is real, nothing to get hung about" con in lontananza agghiaccianti rumori presumo ricavati con la classica molla del riverbero dell'Hammond. Ed il tutto finisce lasciandoci una sensazione del tipo "ma cosa ho appena ascoltato?"
Ecco, pur sapendo che finirei nella banalità facendo un discorso simile, e senza nel contempo sminuire niente e nessuno: com'è che io riesco ad avere una sensazione simile con un album di cinquant'anni fa e non con uno uscito negli ultimi 10-20 anni? E uno potrebbe dire che la musica ha già esplorato tanti territori diversi, è impossibile essere totalmente originali, ed è vero; ma allora perchè trovo molta più originalità in senso assoluto (quindi non legato alla data di uscita) in album di 40-50 anni fa? Teoricamente avendo già ascoltato musica uscita successivamente non dovrebbe suonarmi originale. E invece... La mia teoria è che oggi ci accontentiamo troppo facilmente, si sono abbassati gli standard, prendiamo ogni cosa che suona un po' fuori dal "mainstream" (qualunque cosa sia oggi) come qualcosa di ottimo a prescindere. Non lo so, potrei sbagliarmi, e tutti i gusti sono validi e rispettabili, però non posso fare a meno di pormi certe domande...
I Vanilla Fudge continuarono a sfornare album, e se il secondo The Beat Goes On è una curiosità piuttosto sperimentale che lascia poche tracce, il successivo Reinassance porta invece a compimento il discorso iniziato con i primo album, consolidando in modo ottimo il loro stile; lo consiglio caldamente. Questo primo album omonimo invece è Storia, andrebbe ascoltato o riscoperto da chiunque, perchè c'è molta carne al fuoco e molto da imparare. Non ho citato i singoli musicisti ma ovviamente sono tutti ottimi: in particolar modo Mark Stein all'Hammond, che ha praticamente inventato un modo di suonare, e Carmine Appice alla batteria, che oggi potrà non sembrare nulla di che essendo abituati a ben altro, ma ricordiamoci che è un album del 1967 e allora non erano in molti a suonare così. Un gran bell'album che merita un 8,5.


Nessun commento:

Posta un commento