giovedì 28 maggio 2020

Sparks - A Steady Drip, Drip, Drip (2020) Recensione

Dopo il magnifico Hippopotamus del 2017, i fratelli Mael ritornano in questo strano 2020 con un altro album. Da una parte è ovviamente difficile per ogni lavoro essere all'altezza di un predecessore di quel livello, dall'altra la storia ci ha insegnato che in molteplici casi la discografia degli Sparks viaggia con album "in coppia". Kimono My House e Propaganda, Whomp That Sucker e Angst In My Pants, Lil' Beethoven e Hello Young Lovers. Quindi ci troviamo di fronte ad un Hippopotamus 2.0? Sì e no.
Stilisticamente è fuori da ogni dubbio la somiglianza, fatta di canzoni brevi, arrangiamenti asciutti che vanno dal rock alla new wave a parentesi di elettronica, conditi da testi sempre originali, divertenti interpretati da Russel Mael con uno stile inconfondibile.
Laddove però Hippopotamus si confermava come un lieto ritorno alle canzoni dopo le sperimentazioni del decennio precedente, tendenza già mostrata nella collaborazione con i Franz Ferdinand in FFS del 2015, A Steady Drip, Drip, Drip sembra volersi spingere un po' più in là in termini di eclettismo. Ascoltando brani come Onomato Pia, Stravinsky's Only Hit o The Existential Threat, la mente del fan non può non andare a quel capolavoro assoluto che fu Indiscreet del 1975, album in cui la stranezza e l'imprevedibilità, spesso in bilico tra complessità e memorabilità, hanno fatto da padrone.
Fa certamente impressione sentire Russel cantare brani di tale complessità dopo aver già superato la soglia dei 70 anni, così come, non dimentichiamo, pensare che il fratello Ron sia ancora in grado di comporre gioiellini del genere. Il rock di I'm Toast e Self Effacing sembra far tornare la mente a Kimono My House, la genuinamente commovente e nostalgica ballata All That meriterebbe di essere un singolo, l'ennesimo scioglilingua a mo di mantra Lawnmower diverte e non si toglie facilmente dalla testa: tutto ciò che si ama degli Sparks è presente qui all'ennesima potenza.
Svariati testi risultano fortemente radicati nei tempi in cui viviamo, cosa non scontata vista l'età dei artefici, che pur si palesa nel modo in cui vengono affrontati certi argomenti. Basti pensare all'accusatoria iPhone, o a Please Don't Fuck Up My World, il cui titolo parla da solo.
Affiancato ad Hippopotamus questo album non impallidisce affatto, e sembra volersi confermare come il suo "fratello" più audace, magari imperfetto, ma che prende le cose che nel suddetto avevano funzionato alla grande, e le porta oltre. Forse avrebbe giovato di una produzione un pelo più calda, ma si tratta di piccolissimi appunti personali su un album che lotta senza troppa fatica per il titolo di migliore dell'anno per chi scrive.
Gli Sparks, insomma, continuano a stupire. Teniamoceli stretti.
Purtroppo per ora A Steady Drip, Drip, Drip è disponibile solo in formato digitale, e bisognerà attendere Luglio per potersi godere il formato fisico. Scelta discutibile ma sicuramente dettata dalla situazione che si sta vivendo.

venerdì 22 maggio 2020

Jan & Dean - Save For A Rainy Day & Carnival Of Sound, gli album perduti (e ritrovati)


Tra i maggiori esponenti di quella fase di pop californiano devota al surf dei primi anni '60 insieme ai Beach Boys, Jan & Dean con questi ultimi condividono anche un destino beffardo incontrato una volta usciti dallo stile che li aveva resi famosi.
Se da un lato è ben nota la storia di Smile dei Beach Boys, curiosamente anche Jan & Dean sono stati artefici di lavori "ufficialmente" (dopo spiegherò il perchè di queste virgolette) usciti molti anni dopo, ben due. Ma andiamo con ordine.
William Jan Berry, principale mente compositiva del duo, e Dean Ormsby Torrence, già nel 1959 ebbero la loro prima hit, Baby Talk, ma è dall'incontro con i Beach Boys (con cui hanno condiviso varie performance nel 1963), che nacque il loro interesse per la musica surf. Tale incontro diede vita a svariate hit nate da collaborazioni tra Jan & Dean e Brian Wilson, in particolare Surf City e l'importante ed inquietante, vedremo poi perchè, Dead Man's Curve, brano che racconta di una corsa automobilistica finita in un incidente nella pericolosa curva di Sunset Strip, Los Angeles.
Dopo questo picco in termini di successo, Jan & Dean tentarono vari esperimenti con il folk e con album dalla natura comica, con risultati altalenanti, fino al 1966.

L'incidente di Jan Berry e l'album di Dean Torrence, Save For A Rainy Day

Nei primi mesi dell'anno Jan iniziò a buttare giù qualche idea per dei nuovi brani, ma il 12 Aprile finì coinvolto in un terribile incidente con la sua Corvette, che, come per un sadico scherzo del destino, uscì di strada proprio nella cosiddetta Dead Man's Curve. Jan rimase in coma per ben due mesi, e quando ne uscì dovette convivere con un importante danno cerebrale che gli impedì di parlare per mesi.
Proprio durante quel periodo Dean si prese sulle spalle il fardello di continuare l'opera del duo, nonostante non avesse di fatto mai composto nulla. Tutto iniziò quando un suo amico, Gary Zekley gli fece ascoltare un suo nuovo brano intitolato Yellow Balloon, il cui riferimento nel testo ad un piovoso pomeriggio accese una lampadina in testa a Dean. Fu così che ebbe l'idea di iniziare a lavorare lui stesso, vista l'assenza di Jan (che proprio in quel periodo, a Giugno, era tornato a casa), ad un album con alla base il tema della pioggia. Facendosi quindi aiutare da svariati collaboratori sia per la composizione di una manciata di nuovi brani, sia per suonarli, pensò di realizzare un album dai toni più malinconici, certamente sulla scia di Pet Sounds dei Beach Boys. Quindi riunì tutti questi suoi amici e collaboratori in un garage, e registrò cinque brani nuovi e cinque cover, tutti con la pioggia come tema, il cui suono tra l'altro sarebbe stato presente come collegamento tra le canzoni. Le registrazioni furono di natura molto lo-fi, in mono, probabilmente realizzate con l'intenzione di rimetterci su le mani successivamente, magari quando Jan si sarebbe ripreso. I nuovi brani portavano il sound verso toni più barocchi, con arrangiamenti più complessi, che quasi contrastavano con le registrazioni lo-fi, ma che indubbiamente portavano il duo verso nuove sonorità più in linea con i tempi. Dean credeva molto nel progetto, tanto da occuparsi lui stesso di tutte le parti vocali, ma qualcosa andò storto.
Fin dall'inizio l'associazione che gestiva legalmente le pubblicazioni a nome Jan & Dean, la Screen Gems, aveva impedito ogni mossa di Dean, in quanto legalmente lui da solo non avrebbe potuto fare nulla con il nome del duo, che di fatto era dipendente dal contributo compositivo e dalla firma di Jan. Se a questo ci si aggiunge il fatto che lo stesso Jan pare che non apprezzò il risultato del lavoro di Dean, si può ben intuire la difficoltà della situazione. Ma Dean tentò comunque di portare avanti il suo album. La Columbia aveva dubbi a riguardo, specialmente alla luce del relativo fallimento in termini di vendite, almeno in America, di Pet Sounds dei Beach Boys, ma pubblicò comunque il singolo Yellow Balloon con Taste Of Rain come lato B nel 1967. I risultati furono deludenti, e la Screen Gems intervenne stoppando la produzione del singolo, ed impedendo alla Columbia di pubblicare l'ormai pronta versione stereo dell'album, lasciando di conseguenza il solo Dean a decidere di pubblicare il risultato con il nome di Save For A Rainy Day, in mono, con la sua etichetta J&D Records Co., in appena 1500 copie, nonostante la Screen Gems tentò di bloccare anche quella.
Il disco, tra l'altro, fece comunque in tempo a fare capolino nei cataloghi di dischi della Columbia, anche se di fatto non era poi stato prodotto e risultava irreperibile.
Curiosamente, dopo tali controversie, la Screen Gems pare che tentò di riunire tutte le parti tirate in causa, permettendo da una parte l'uscita di Rainy Day (seppur intitolato Yellow Balloon), a condizione che la Columbia acquisisse i master di alcune nuove tracce di Jan che sarebbero state parte di una futura uscita, ma in quel caso fu Dean a rifiutare, rinunciando all'ultima possibilità per il suo album.
Inutile dire quanto questi dischi con etichetta J&D siano diventati pezzi da collezione nel tempo. Bisognerà aspettare il 1996 per vedere Rainy Day pubblicato ufficialmente, anche su CD, grazie all'etichetta Sundazed, che successivamente pubblicherà anche un'ulteriore versione con svariate bonus track, di cui alcune anche in stereo.
Una piccola curiosità è la presenza, un po' in tutti i pezzi, di quello che sembra essere un Mellotron, ma in realtà è un Chamberlin. Harry Chamberlin fu infatti l'effettivo ideatore della tecnologia poi resa famosa dal Mellotron, aveva una fabbrica ad Upland, California, e aveva ai tempi fatto un accordo con la Streetly Electronics, produttori del Mellotron (che di fatto aveva copiato la tecnologia del Chamberlin), che gli garantiva l'esclusiva sul mercato americano, dove infatti il Mellotron non fu in vendita fino ai primi anni '70. Entrambi gli strumenti utilizzano nastri su cui erano registrati vari strumenti, ma l'unico nastro in comune tra i due è il classico "3 Violins", gli altri sono tratti da registrazioni diverse (quelli del Mellotron sono stati registrati all'IBC Studios nel 1964, mentre quelli del Chamberlin da Harry stesso nel suo garage nel 1958). Tra i pochi che tentarono di importare il Mellotron in America nel 1968 ci fu il futuro membro dei Cheap Trick Rick Neilson, fino all'accordo raggiunto con la Dallas Arbiter per la normale distribuzione nel 1970.
Un'altra curiosità è che la canzone Yellow Balloon venne anche registrata e pubblicata dall'omonima band formata dal compositore Gary Zekley, che pubblicò un solo album nel 1967, la cui versione di quella canzone, a sua volta uscita come singolo, ebbe decisamente più successo di quella a nome Jan & Dean, raggiungendo il venticinquesimo posto in classifica. L'album in questione venne anch'esso ripubblicato dalla Sundazed nel 1998.


La lenta ripresa di Jan Berry ed il suo Carnival Of Sound


Se da un lato abbiamo Dean con il suo Save For A Rainy Day, dall'altro c'è Jan, che lentamente si sta riprendendo dall'incidente e, seppur con mille difficoltà e l'aiuto di svariati amici e collaboratori, ricomincia a pensare a nuova musica. In realtà già a Marzo 1966, prima dell'incidente, le primissime idee avevano iniziato a prender forma. In particolare una canzone intitolata Only a Boy fu registrata quasi per intero, rivelandosi di fatto poi essere l'ultima canzone con Jan alla voce nella sua versione definitiva, e si era iniziato a lavorare sulla cover di Louisiana Man. Proprio da lì Jan ripartì nell'aprile 1967. Ovviamente, viste le sue condizioni (difficoltà nei movimenti e nella comunicazione), Jan si limitò alla direzione dei lavori e alla composizione, facendosi aiutare da Roger Christian per la scrittura dei testi e da molteplici cantanti, tra cui Glenn Campbell, per le svariate parti vocali, escludendo del tutto Dean. Tolta la già citata Only A Boy, l'unica registrazione di Jan alla voce di quel periodo è il demo di Laurel And Hardy, brano dedicato al celebre duo comico che ha allietato il periodo di ospedalizzazione di Jan, dove lo si può sentire alle prese con la melodia senza parole. Ovviamente nella versione definitiva la parte vocale non fu realizzata da lui.
Tutti i brani di quelle session sono pienamente immersi nei tempi, con una costante presenza di sitar a dare toni orientali anche in casi non necessari, spesso in contrasto con caratteristiche compositive non lontane dai tempi del surf, seppur più complesse.
Già tra Luglio ed Agosto 1967 Jan tentò di pubblicare, tramite l'etichetta J&D Records Co. due singoli: Hawaii/Tijuana (quest'ultima una ri-registrazione di Little Old Lady From Pasadena con testo diverso) e Fan Tan/Love and Hate. Queste tracce non erano ancora del tutto ultimate, e la Screen Gems fermò la loro produzione, e poco dopo approvò la firma di un contratto con la Warner fino al 1970, che acquisì i master delle suddette canzoni. Questo consentiva loro di pubblicare un lavoro a nome Jan & Dean con o senza Dean, che lo stesso Dean firmò. A quest'ultimo fu però consentito di operare in tutto ciò che riguardava l'artwork.
La prima uscita fu il singolo Only A Boy/Love And Hate a Novembre nel 1967, la prima con ancora Jan a cantare e la seconda realizzata dopo l'incidente senza Dean.
Purtroppo però le session per l'album andavano avanti a rilento, anche e soprattutto perchè Jan da dopo l'incidente soffriva di un disturbo nel controllo degli impulsi, che di certo rendeva difficile per chiunque lavorarci insieme.
Ad Aprile 1968 gran parte dei brani aveva raggiunto un buon punto, e i titoli iniziavano ad essere definitivi, mentre a Luglio la Warner pubblicò il singolo I Know My Mind con Laurel and Hardy sul lato B. Purtroppo però le difficoltà nella lavorazione dell'album causate dallo stato di Jan ed il conseguente aumento spropositato delle spese per le registrazioni, che ormai si protraevano da ben più di un anno, portò la Screen Gems a terminare il suo contratto con Jan nell'Agosto del 1968. La Screen Gems lamentava l'incapacità di Jan di presentare loro un master completo al mese, come invece avrebbe previsto il contratto.
Nonostante questo Jan continuò a lavorare all'album, ma a Novembre 1968 anche la Warner decide di recidere il contratto, sia a causa dei lunghi tempi di lavorazione e delle spese, sia a causa dell'uscita di scena della Screen Gems qualche mese prima, di fatto cancellando l'uscita di Carnival Of Sound. Jan tentò comunque di portare a termine qualche brano, in particolare Girl You're Blowing My Mind, ma pian piano iniziò a concentrarsi su altro.
Per decenni i fan tentarono di assemblare una versione di Carnival Of Sound usando i singoli usciti e varie registrazioni su acetato, spesso di pessima qualità, in un modus operandi non lontano da ciò che si stava facendo con Smile dei Beach Boys, seppur con le dovute differenze sia nel formato che nelle fonti di materiale. La speranza di vedere un giorno un'uscita ufficiale di Carnival Of Sound continuò ad esserci, specie vista la volonta di Brian Wilson di mettere le mani su Smile nei primi anni 2000, ma la morte di Jan nel 2004 sembrò mettere la parola fine a questa storia, specialmente visto che il superstite Dean ovviamente non si sa quanta voce in capitolo o anche solo interesse potesse avere a riguardo.
E invece nel 2010 ecco che finalmente, dopo 3 anni di ricerche e lavoro del produttore Andrew Sandoval, Carnival Of Sound viene pubblicato ufficialmente, con un artwork creato da Dean per l'occasione. La tracklist non tenta di riproporre una possibile versione dell'epoca, in quanto Jan realizzò diversi acetati ma mai una tracklist definitiva, ma raggruppa nella prima parte le registrazioni post-incidente, e conclude con quelle realizzate, o perlomeno iniziate, prima. Non mancano svariati bonus come demo e mix alternativi.
Entrambi questi album, checché se ne dica, sono decisamente godibili, ed avrebbero sicuramente meritato una pubblicazione ai tempi, sia per la loro effettiva qualità, sia per l'effetto che avrebbero avuto sull'immagine di Jan & Dean. Invece siamo di fronte all'ennesimo esempio di quanto etichette e questioni burocratiche totalmente esterne all'arte possano uccidere quest'ultima, e quanto quindi sia necessario, specialmente oggi, uscire da certe logiche ormai totalmente obsolete. Molti lo stanno già facendo, molti di più dovrebbero farlo.

domenica 10 maggio 2020

Harry Nilsson - Pussy Cats (1974) Recensione

Dopo una serie di album ottimi seppur diversissimi tra loro, la carriera di Harry Nilsson arriva definitivamente ad un punto di non ritorno. Se già dopo Nilsson Schmilsson del 1971, segnato dal successo di Without You e Coconut, Harry aveva preso direzioni non proprio commerciali, (dapprima con l'eclettico Son Of Schmilsson e poi con il primo album di cover di classici standard, che diventerà d'obbligo per molti interpreti solo nei decenni successivi, A Little Touch Of Schmilsson In The Night), qui la sua musica esce definitivamente dal mainstream.
Curiosamente ciò coincide con quella che forse per Nilsson pareva essere una collaborazione di grandissima importanza, una a cui ambiva da tempo ma neanche osava sperare: la produzione di John Lennon.
Lennon si trovava a Los Angeles, nel pieno del periodo lontano da Yoko Ono, il cosiddetto lost weekend, e Nilsson era diventato suo fedele compagno di bevute e bagordi. Harry doveva pubblicare un nuovo album, ma non aveva molte idee ed oltretutto l'RCA era intenzionata a scaricarlo. Da buon amico quale era, Lennon non solo si offrì di dare una mano con l'album, ma ebbe una certa importanza nella rinegoziazione del contratto con la casa discografica, facendo intendere alla suddetta che lui o altri ex Beatles potevano essere intenzionati ad entrarci a loro volta, cosa ovviamente poi mai successa. Fatto sta che ciò funzionò, ed i lavori per l'album iniziarono.
Purtroppo i bagordi iniziarono a presentare il conto a Nilsson, che finì per danneggiarsi le corde vocali, perdendo così gran parte della voce che tanto aveva fatto la sua fortuna fino a quel momento. Harry nascose il fatto a Lennon, fino a che lui lo scoprì e si arrabbiò non poco. La lavorazione all'album fu decisamente difficile, nonostante il grande spiegamento di forze utilizzate nelle registrazioni (Da Ringo Starr a Keith Moon a Klaus Voorman). Lennon così decise di ultimare la produzione a New York, lontano dal tossico ambiente di LA, e ciò che ne uscì fu un album quantomeno discutibile.
Quasi diviso a metà tra nuovi brani e cover, Pussy Cats risente fortemente dello stato della voce di Harry Nilsson, quasi quanto ne risente Dark Horse di George Harrison per gli stessi motivi. Il sound spectoriano dato da Lennon tende a cammuffare le pecche, ma ciò che manca sono anche un po' di brani veramente memorabili.
Per carità, la collaborazione compositiva tra Nilsson e Lennon in Mucho Mungo\Mt. Elga non è niente male, così come la cover di Many Rivers To Cross posta in apertura, cantata insieme da entrambi (tra l'altro con un arrangiamento di archi di Lennon poi ricalcato nella sua #9 Dream) e le ottime ballate Don't Forget Me (uno dei pochi episodi con un Nilsson dotato di voce), l'orchestrale Black Sails e Old Forgotten Soldier. Quest'ultima però risente pesantemente del deterioramento vocale di Nilsson, e l'apprezzamento o meno di questa interpretazione dipende da quanto la si voglia vedere come una sua immedesimazione nel ruolo del protagonista della canzone, appunto un vecchio soldato. Se invece si vuole sentire una versione cantata decisamente meglio a livello tecnico, si trovano in giro un paio di demo di qualche anno prima. Discorso simile per la cover di Save The Last Dance For Me, il cui demo pare essere una delle ultime registrazioni prima del tracollo vocale, mentre quella sull'album, pur essendo carica di fascino, risente della sua condizione. La particolare All My Life è forse uno dei picchi dell'album, mentre il resto lascia un po' il tempo che trova, lasciandosi andare in pieno in uno stile goliardico in cover come Loop De Loop, Subterranean Homesick Blues e Rock Around The Clock.
Un album di cui è difficile avere una chiara opinione, e che pertanto può oscillare tra l'ascolto piacevole, divertente e divertito e la sofferenza nel sentire le performance vocali di Harry, specie avendo in mente il suo passato. L'album è comunque vario, scorre discretamente, ma di fatto rappresenta la fine della fase più creativa della carriera di Nilsson, che, a parte qualche ottimo episodio sparso nei successivi tre album, avrà un ultimo sottovalutatissimo colpo di coda nel 1977 in Knnillsson.
C'è da dire però che Pussy Cats può guadagnare fascino se visto come un ulteriore tassello nella rappresentazione sonora di quel 1974 di Los Angeles, insieme a Walls And Bridges e Rock And Roll (almeno nella sua prima, scartata, versione) di Lennon, Two Sides Of The Moon di Keith Moon, Goodnight Vienna di Ringo Starr ed il bootleg A Toot And A Snore in '74. Quest'ultimo, per chi non lo sapesse, è la testimonianza dell'incontro tra Lennon e McCartney, che improvvisarono qualche brano insieme ad altri musicisti, tra cui Stevie Wonder e lo stesso Nilsson, proprio durante le sessioni di Pussy Cats.
Ma poi quanto è bella la copertina? Con Nilsson e Lennon insieme ed il gioco di parole sotto al tavolo D-Rug (tappeto in inglese)-S. Geniale.