domenica 24 dicembre 2017

La mia Top 11 del 2017


Eh si, la Top 10 è troppo mainstream. Eccovi gli 11 album che più mi sono rimasti di questo 2017, tenendo conto che anche ciò che sta in fondo alla classifica mi è piaciuto abbastanza per entrarci, quindi parecchio, e che l'ordine è tutt'altro che stabile (alcune posizioni si equivalgono quasi).


11: Steve Hackett - The Night Siren
Dopo la parziale delusione di Wolflight nel 2015, questo The Night Siren devo dire che ha saputo farsi apprezzare. Sarà che i brani sono in media più brevi, quindi meno ripetitivi, sarà che la consueta varietà di influenze sembra più a fuoco qui, fatto sta che ha molti elementi in comune con Wolflight ma al confronto ne esce più brillante, lucido. Non il migliore della sua carriera solista certamente, ma un buon lavoro più che rispettabile. Degne di nota l'acustica The Other Side Of The Wall, il bel flamenco di Anything But Love e In Another Life con un bellissimo finale di cornamusa.

10: Arabs In Aspic - Syndenes Magi
Grande scoperta al festival di Veruno nel 2015, da allora gli Arabs In Aspic sono un ascolto abituale per me. Una band che meriterebbe molta più fama di quella che effettivamente ha. In quest'ultimo album troviamo 3 pezzi molto estesi ed un generale rallentamento dei ritmi, portando ad una maggiore imponenza del suono. Ottimo album; lo metto al decimo posto perchè trovo che i pezzi tendano ad essere a volte un po' troppo estesi, preferendo forse in questo senso l'approccio sotto forma di canzoni dei lavori precedenti. Merita ben più di un ascolto, anche se la scelta di ricorrere alla lingua norvegese (che ha perfettamente senso vista la loro provenienza) può risultare un po' ostica ai non abituati.

9: Jeff Lynne's ELO - Wembley Or Bust
Ok, non è propriamente un nuovo album. Si tratta bensì di una registrazione live, sia audio che video, effettuata allo stadio di Wembley nell'ultimo tour dei nuovi ELO di Jeff Lynne. Merita posto in questa classifica specialmente grazie alla componente visiva, che ci permette di gustare un concerto non soltanto spettacolare sia come scaletta che come esecuzione e scenografia, ma anche per le tante e ben dirette riprese del pubblico, che ci mostrano momenti di pura gioia documentando l'evento come pochissime altre pubblicazioni live. Bellissime le esecuzioni delle inaspettate Xanadu e Twilight, ma il resto non è da meno.

8: King Crimson - Live In Chicago
Tecnicamente a pari merito con il precedente per motivi totalmente diversi, ben conscio della blasfemia di questo accostamento secondo i fan dotati di paraocchi. Ammetto che i "nuovi" King Crimson non mi hanno mai convinto del tutto: vuoi per la solita questione delle 3 batterie, vuoi per le scalette quasi totalmente improntate sul passato, vuoi per i nuovi brani abbastanza insipidi, le varie uscite come Toronto e Radical Action hanno ricevuto ben poca attenzione da parte mia. Però devo ammettere anche che in questo ultimo live, registrato a Chicago lo scorso Giugno, sembra che le cose finalmente abbiano iniziato ad incastrarsi in modo convincente. La scaletta è molto equilibrata, Epitaph, Red e In The Court, che poco mi convincevano in questa formazione, sono assenti. Spazio a Cirkus, la seconda metà di Lizard, Neurotica, Fallen Angel... Insomma tanti brani e tutti ottimamente eseguiti. Mi lascia ancora perplesso il cantato di Indiscipline, ma è una piccola parte in un live che merita una possibilità anche da chi, come me, continua a considerare questa ultima formazione inferiore alle precedenti.

7: Roger Waters - Is This The Life We Really Want?
Da qui alla prima posizione ci saranno album che ho già recensito, quindi non spenderò tante parole e vi linkerò la recensione in questione. Di questo ne ho parlato qui. Dico solo che l'ho trovato un album molto ben curato e piacevole. I testi mi piacciono, e per quanto non possa essere all'altezza di cose come Amused To Death e The Final Cut, rimane un buon lavoro con tutte le caratteristiche che ci si possono aspettare da Roger Waters, compresi i prevedibili richiami al passato (che comunque apprezzo).

6: Deep Purple - InFinite
Ne ho parlato qui. L'ho trovato un album più che rispettabile tenendo anche conto della loro età. Non privo di spunti interessanti seppur un gradino sotto al precedente Now What!?. La produzione di Bob Ezrin è forse fin troppo "spinta", ma rimane un grosso passo avanti rispetto ai lavori con Michael Bradford. Time For Bedlam, All I Got Is You, The Surprising e Birds Of Prey sono tra i pezzi migliori mai partoriti da questa formazione.

5: The Darkness - Pinewood Smile
Ho scritto un articolo sui Darkness in generale, ma parlo anche di quest'album, lo trovate qui. I Darkness, fin dal loro esordio nel 2003, mi sono sempre piaciuti per la loro miscela di hard rock classico, senso dell'umorismo, eclettismo vocale di Justin Hawkins, ed in generale belle canzoni nè vecchie nè nuove, ma assolutamente originali. Pinewood Smile è un ottimo candidato come mio album preferito della loro intera discografia, e di certo uno degli ascolti più piacevoli di questo 2017. Southern Trains è esilarante oltre che devastante, così come Japanese Prisoner Of Love e Buccaneers Of Hispaniola. Consiglio la versione deluxe anche solo per quel piccolo capolavoro che è Uniball.


4: Peter Hammill - From The Trees
Ne parlo qui. Un album intenso, pacato, il più vicino ad una dimensione da "singer-songwriter". Forse uno dei lavori più solidi e consistenti degli ultimi anni, senza nulla togliere a cose più sperimentali come All That Might Have Been. Da notare il consueto uso molto originale della voce, specialmente nei cori. Brani come The Descent, Milked, What Lies Ahead, Anagnorisis, Torpor sono picchi assoluti.

3: Steven Wilson - To The Bone
L'album di cui si è tanto discusso, ne parlo qui. Per me, anche a distanza di mesi, rimane un ottimo album. Apprezzo e rispetto chiunque faccia ciò che vuole, anche a costo di deludere i fan. Ma oltre a questo, To The Bone con le sue varie sfaccettature è un album che ancora ascolto con piacere, e molto probabilmente continuerò a farlo. Non è più prog? E chissenefrega! Mi piacciono tutti i brani che lo compongono, ma cito in particolare la title track, Pariah, Refuge, Permanating, Detonation e Song Of Unborn.

2: Procol Harum - Novum
Ne parlo qui. Non mi aspettavo molto da Novum, ed invece si è trattato, per me, del loro migliore album da Exotic Birds And Fruit del lontano 1974. La formazione è ovviamente cambiata, ma la classe di uno come Gary Brooker, che nonostante l'età mantiene una voce che ha dell'incredibile (specialmente dal vivo) colora i brani in modo immediatamente riconoscibile. E se nella prima metà l'album fatica un po' a decollare, nella seconda ci aspetta una sequenza di pezzi da novanta. Gran classe, grande album. Da ascoltare almeno Sunday Morning, Neighbour, Businessman e The Only One.

1: Sparks - Hippopotamus
Ne parlo qui. Non potevano non esserci loro al primo posto. Sono sempre stati geniali durante la loro carriera, seppur con i loro alti e bassi; ma con Hippopotamus, segnato dal ritorno alla forma canzone, si torna a combinare melodie contagiose, "semplicità" compositiva (tra molte virgolette) e testi intelligenti, surreali e spesso irriproducibili da chiunque non sia Russell Mael. Invito chiunque ad esplorare la loro vasta discografia, ma anche iniziare da qui non è una cattiva idea! Notevoli Missionary Position, Edith Piaf (Said It Better Than Me), Giddy Giddy, la title track, The Amazing Mr. Repeat e Life With The Macbeths. Ma tutto l'album è un gioiellino di pop stralunato come purtroppo se ne trova poco. E trovare originalità unita a godibilità (da non trascurare questo secondo aspetto) in album di ultrasettantenni, notando l'evidente carenza altrove, fa riflettere.

Ed è tutto per quest'anno, alla prossima!

venerdì 22 dicembre 2017

Iron Butterfly - The Triple Album Collection (recensione)

Trovato ad un prezzo irrisorio in un normale negozio di elettronica, come potevo dire di no? Gli Iron Butterfly sono uno di quei gruppi che ho sempre snobbato, nonostante la loro appartenenza ad un periodo storico che, per me, è stato uno dei più importanti per la musica pop/rock. I motivi per cui non li ho mai ascoltati sono principalmente 2: l'organo Vox Continental (uno dei suoni più irritanti che io conosca, specialmente basandomi su come veniva usato dai Doors, gruppo che non sopporto), e la loro provenienza d'oltreoceano (ho sempre preferito il movimento psichedelico inglese a quello americano, che trovo del tutto privo di senso dell'umorismo ed imprevedibilità). Quindi, nel momento in cui ho potuto apprezzare l'uso più creativo da parte di Doug Ingle del suddetto organo, ho capito che meritavano una chance. 
In questo "mini-cofanetto" troviamo i primi 2 album della band, Heavy e In-A-Gadda-Da-Vida, e Live del 1970 (saltando Balls purtroppo, ma non si può avere tutto). 

Heavy è un album purtroppo molto breve, ma anche discretamente solido, con molte indicazioni sull'identità del gruppo ed un suono in gran parte già formato. Apertura veramente convincente con Possession e Unconscious Power, due dei brani che più apprezzo in questo album insieme alla particolare So-Lo, You Can't Win, Fields Of Sun e sopratutto la conclusiva Iron Butterfly Theme: brano strumentale che mette perfettamente in chiaro le tendenze del futuro prossimo. Il resto dell'album oscilla tra tendenze blues e brani un po' sbiaditi, ma rimane un lavoro molto solido, specialmente essendo il disco d'esordio.

Ciò che segue è ovviamente l'album per cui vengono tutt'oggi ricordati, In-A-Gadda-Da-Vida. Un album che sicuramente tanto deve alla title track, che con i suoi 17 minuti di organo, chitarre, assoli di batteria e psichedelismi vari, contornati dall'enigmatico titolo frutto della particolare pronuncia di Ingle, serve da "impronta" per molti gruppi rock del decennio successivo, specialmente in sede live. Si, perchè se è vero che nessuno si faceva mancare assoli infiniti ai propri concerti, estendendo così i loro brani a minutaggi vertiginosi, pochi ebbero il coraggio di fare ciò in un album in studio. E sicuramente quasi nessuno prima di queste farfalle di ferro! C'è da dire che, nonostante qualunque cosa sbiadisca al confronto con un simile brano, dall'altro lato troviamo comunque pezzi che non meritano di essere lasciati in disparte. Non per nulla Are You Happy? sarà presente quasi sempre in sede live, e tra gli altri segnalo l'apertura di Most Anything You Want e la psichedelia dalla vena più pop di Flowers And Beads. Ma non che My Mirage e Termination siano tanto da meno (specialmente la prima).

Come anticipato, prima del Live qui presente ci sarebbe l'album Balls del 1969, ma non essendo qui presente purtroppo non ne posso ancora parlare. Quello che posso dire è che i brani tratti da Balls presenti in Live sono a dir poco magnifici. Specialmente In The Time Of Our Lives e Filled With Fear, tra le cose più belle uscite da questo gruppo. Un gradino sotto Soul Experience, ma sempre su livelli più che buoni. Troviamo poi 2 estratti dai primi album, You Can't Win e Are You Happy? dove quest'ultima in particolar modo viene "spinta" parecchio rispetto alla versione in studio. Quale sia meglio è pura questione di gusti. Ovviamente non poteva mancare In-A-Gadda-Da-Vida, in una versione che riesce ad essere sia meglio che peggio di quella in studio. Mi spiego: la canzone vera e propria è resa con una carica e potenza decisamente superiori alla controparte dell'album, ma poi ci aspetta un assolo di batteria ancora più lungo e una sezione in meno. Quindi parte in modo ottimo e poi si "perde un po'" secondo me. Rimane una valida versione alternativa senza dubbio. Ed in quanto a Live come testimonianza dal vivo di questa band è sicuramente valida e piacevole, ma non quanto avrebbe potuto esserlo, purtroppo. Il live al Marquee del '68, uscito postumo, è lì a testimoniarlo.

Quindi, un ottimo modo per scoprire una band figlia dei suoi tempi, che forse necessita un po' di immedesimazione nella mentalità e nella cultura di quei tempi per coglierne l'importanza, ma che può ancora insegnarci qualcosa.
La confezione di questa Triple Album Collection è, comprensibilmente, piuttosto spartana; ma quando si hanno 3 album del genere al prezzo di uno, come ci si potrebbe lamentare?



giovedì 14 dicembre 2017

Etichette discografiche: il mio punto di vista.

Io sono un musicista, o almeno provo ad esserlo. Compongo, fin troppo rispetto alla media, suono tutto o gran parte di ciò di cui ho bisogno per realizzare canzoni e album, scrivo testi, non sono un grande cantante ma grazie alla collaborazione con la mia ragazza quell'aspetto è coperto più che egregiamente, e me ne intendo un po' di produzione e mastering. Perchè questa premessa? Semplicemente per esporre la mia situazione e correlarla alla situazione della musica nel 2017, alla luce di tante cose che leggo in giro. Ovviamente io mi auto-produco, pubblico e distribuisco la musica in modo indipendente, e non sono certo l'unico. Si, perchè, contrariamente a quanto molti ancora credono, è molto facile distribuire la propria musica online al giorno d'oggi, tutti lo possono fare! E con un investimento neanche esagerato potete anche stampare i CD, tra l'altro... Il che è sia un'ottima cosa che un problema. Perchè se da un lato ciò permette libertà di espressione, ed essendo la musica un'arte ha perfettamente senso, dall'altra crea un ambiente sovraffollato. Annullando quindi una qualsivoglia selezione prima di arrivare alla pubblicazione. Ed è qui che molti, soprattutto chi ha un'etichetta, si lamentano. Perchè sostanzialmente si crea "concorrenza sleale", qualcosa come i guidatori Uber per i tassisti insomma. Peccato che non ci sia scritto da nessuna parte che uno debba far parte di un'etichetta per avere il diritto di pubblicare le proprie creazioni. Specialmente quando, come nel mio caso, si vede la propria musica come espressione e soddisfazione personale, e non necessariamente come un prodotto commerciale che paga la pagnotta. E questo anche in luce del fatto che oggi vivere delle proprie creazioni è praticamente impossibile, etichetta o no. Nonostante questo però è sbagliato vedere le pubblicazioni totalmente indipendenti come qualcosa di inferiore, solo perchè dal punto di vista dei professionisti "basta avere un programmino da 2 soldi e ti sei fatto l'album". Se è così semplice allora perchè non lo fanno anche loro? O forse lo fanno e non lo ammettono... In un album prodotto professionalmente ci sono musicisti, arrangiatori, produttori, un addetto al mastering e probabilmente anche altri, mentre in un caso affine al mio tutto ciò è fatto, molto spesso, da una singola persona. E voi direte "è per quello che è per forza inferiore, non puoi confrontarti con dei professionisti specializzati", e probabilmente avreste anche ragione in molti casi. Sempre se il vostro obiettivo è sminuire il lavoro altrui piuttosto di far lo sforzo di capire ed apprezzare la mole di impegno necessaria. Ma sapete perchè io non vorrò mai stare sotto un'etichetta? Vi faccio un elenchino veloce:
1 - Totale libertà: io in un anno ho pubblicato un album solista, 2 album con la mia ragazza alla voce e un EP natalizio. Per un'etichetta qualunque sarebbe stato suicidio commerciale e me l'avrebbe impedito sventolandomi il contratto in faccia. Ma se io compongo tanto, perchè devo limitarmi? Perchè uccidere l'arte per logiche di mercato? Specialmente quando il suddetto mercato è morente? E oltre a questo, se io voglio fare un album progressive lo faccio, se dopo voglio fare un album pop lo faccio, se voglio fare un album con un genere diverso per ogni pezzo che lo compone lo faccio (e l'ho fatto): un'etichetta trovandosi lavori dall'approccio simile per le mani cosa farebbe? Ma poi quale etichetta? Visto che ormai anche loro si specializzano nei singoli generi, specialmente quelle più piccole che paradossalmente potrebbero essere più libere...
2 - La qualità: ebbene si, ho avuto il (dis)piacere di ascoltare alcuni album di band emergenti registrati in studio, con un produttore, un direttore artistico, musicisti professionisti a dare una mano negli arrangiamenti, che suonava piatto, senza dinamiche, freddo, con evidenti errori di produzione e mastering e arrangiamenti dilettanteschi (cose tipo "ok ho 3 pezzi e voglio farne una suite, studio dei collegamenti? Naaaahh: finisce uno, silenzio, e poi parte l'altro", ma mi rendo conto che quest'ultimo punto sia soggetto a gusti). In sostanza suonava peggio del mio home recording da poveraccio. Ovvio, si tratta di casi singoli e non della maggioranza, ma in sostanza io firmo un contratto, vado in studio, seguo direttive di professionisti, divido il ricavato, magari spendo anche di tasca mia, e non ho la certezza di un prodotto finale di qualità? Ognuno tragga le sue conclusioni.
3 - Stigmatizzare l'home recording. Si sa che non è visto benissimo da molta gente nel settore. Una volta per presentarti all'etichetta di turno facevi il demo, e già negli anni '70 gente come Pete Townshend con dei demo casalinghi ci ha fatto praticamente un album (Who Came First), e più di quarant'anni dopo con la tecnologia che c'è, ha senso fare un demo che poi muore lì? Oppure con un po' di impegno in più si potrebbe praticamente creare un prodotto finito? E se io creo un prodotto considerabile finito, perchè devo ri-registrarlo? Perchè devo sottoporlo ad altri? A che pro? Forse perchè, specialmente in Italia, si vive ancora mentalmente negli anni '70 con demo su registratori a nastro a 2 tracce ed iscrizione alla SIAE...
In sostanza, invece di lamentarsi della concorrenza, di chi fa gli album in casa con programmini da due soldi,  o di fidarsi ciecamente nei confronti di un artista e\o di un album con "la spintarella" di gente affermata nel settore, dovremmo forse imparare a giudicare il valore di qualcosa indipendentemente da ciò che ci sta dietro; perchè se così fosse, tutta la concorrenza andrebbe a farsi benedire, lasciando al pubblico (supponendo che sia in grado di ragionare con la propria testa) l'ultima parola. Oltre a riconoscere che la musica è espressione e non scienza esatta, quindi dar più valore ai gusti personali, ma qui nascerebbe un discorso potenzialmente infinito quindi lascio perdere per ora.

giovedì 7 dicembre 2017

The Who - Purple Hearts & Power Chords (recensione DVD bootleg)

Anni fa ho avuto una lunga fase di fissazione per i bootleg, specialmente per band come Pink Floyd, Genesis, Led Zeppelin, Queen.. Insomma, band con enormi "buchi" da coprire nella loro storia concertistica, sia in video che audio. Negli anni ho un po' perso interesse, sia perchè alcuni (Pink Floyd) hanno poi rilasciato molte cose ufficialmente, rendendo i bootleg inutili, sia perchè c'è talmente tanta musica meritevole di essere scoperta, che fossilizzarsi maniacalmente su solo alcune band mi pareva uno spreco. Ultimamente però ho un po' ripreso la ricerca, e curiosando su siti molto forniti ho trovato questo magnifico doppio DVD degli Who. Ora, per quanto mi riguarda c'è sempre stato un amore profondo nei loro confronti, specialmente per quanto riguarda le esibizioni live e i video. E ce ne sono parecchi! Dopo aver consumato il film-documentario The Kids Are Alright era quasi ovvio voler di più. E così incominciai a collezionare DVD di varia provenienza, ma mai avevo sentito parlare di questo Purple Hearts & Power Chords.
Trattasi sostanzialmente di una raccolta contenente tutti (o quasi) i video degli Who anni '60. Quindi tante apparizioni televisive, spezzoni di concerti, questo genere di cose insomma. Per forza di cose ci sono parecchie mancanze nel 1969, ma è anche vero che tra Woodstock, isola di Wight (è recentemente emerso un video in bianco e nero del festival del '69, non mi sto confondendo con quello, più noto, del '70), Coliseum, frammenti di Leeds; per tutto questo ci andrebbe ben più di un altro Dvd dedicato! In compenso c'è comunque un frammento di Woodstock ed una serie di video in playback da Tommy correlati da interviste a rappresentare quell'anno. Ma andiamo con ordine. Molti video sono ben noti a dire il vero, proprio grazie al già citato The Kids Are Alright; anche vero però che alcuni non erano completi, quindi la cosa non mi dispiace sinceramente.
Possiamo così passare dalle primissime apparizioni a Ready Steady Go, filmati promozionali vari, l'intera apparizione in playback a Popside per la tv svedese (con pezzi meno noti come Daddy Rolling Stone, Bald Headed Woman e It's Not True). Abbiamo poi una bellissima sezione di 3 pezzi FINALMENTE dal vivo al Marquee nel '67, tra cui la magnifica So Sad About Us, poi un interessantissimo frammento in studio filmato durante la registrazione di Picrures Of Lily, seguito poi da 2 versioni della suddetta prima in playback e poi al festival di Monterey in un filmato scartato da quello "ufficiale" (e quindi di qualità inferiore). Festival comunque presente nel secondo DVD insieme a A Quick One While He Is Away al Rock And Roll Circus, poi la famosa ed esplosiva apparizione da Smothers Brothers...
Insomma, veramente (quasi) tutto da questa magnifica, creativa e colorata (nonostante il bianco e nero predominante) fase della carriera degli Who. Ovviamente la qualità dei video non è perfetta, e ci sono casi in cui è proprio pessima, però è anche vero che in alcune raccolte ufficiali (come 30 Years Of Maximum R&B) siamo pressochè agli stessi livelli; mi chiedo quindi se si possa effettivamente fare di meglio oppure no... Guardandolo però la solita domanda che spesso si fa viva in questi casi è arrivata: "ma perchè una cosa del genere non può essere un'uscita ufficiale?" Certo, non si può neanche accusare troppo gli Who che di pubblicazioni d'archivio ne hanno rilasciate parecchie, però la domanda rimane e si fa particolarmente rilevante in altri casi (Queen). Comunque, questo Purple Hearts & Power Chords lo consiglio a tutti i fan sfegatati di questa magnifica band ed in particolare di questo periodo storico. Ovviamente trovarlo può causare qualche grattacapo, ma se ne avete voglia e tempo, perchè no?
Qui sotto riporto il contenuto nel dettaglio per gli interessati.

Disc 1

01. Anyway, Anyhow, Anywhere (Ready Steady Go - July 2, 1965)
02. Shout And Shimmy (Ready Steady Go - July 2, 1965)
03. I Can't Explain (Ready Steady Go - August 3, 1965)
04. My Generation (Ready Steady Go - August 3, 1965)
05. Daddy Rolling Stone (Ready Steady Go - August 3, 1965)
06. Anyway, Anyhow, Anywhere (Richmond Jazz Festival - August 6, 1965)
07. Shout And Shimmy (Richmond Jazz Festival - August 6, 1965)
08. I Can't Explain (Promotional Film Montage 1965)
09. Out In The Street (A Whole Scene Going - December 1965)
10. Heatwave / Pete Interview (A Whole Scene Going - January 5, 1965)
11. It's Not True (A Whole Scene Going - January 5, 1965)
12. Substitute (Promotional Film : US Version - March 18, 1966)
13. Substitute (Where The Action Is - March 18, 1966)
14. I Can't Explain (Where The Action Is - March 18, 1966)
15. Substitute (Promotional Film : UK Version - March 21, 1966)
16. Intro To Popside (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
17. The Ox (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
18. Daddy Rolling Stone (Popside Swedish Televison - June 3, 1966)
19. It's Not True (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
20. Bald Headed Woman (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
21. The Kids Are Alright (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
22. Substitute (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
23. My Generation (Popside Swedish Television - June 3, 1966)
24. Substitute (Take Thirty In London Canadian TV - July 9, 1966)
25. C.C. Rider (Take Thirty In London Canadian TV - July 9, 1966)
26. My Generation (Take Thirty In London Canadian TV - July 9, 1966)
27. The Kids Are Alright (Promotional Film - July 1966)
28. Happy Jack (Promotional Film - December 19, 1966)
29. I'm A Boy (Beat Club - January 15, 1967)
30. Heatwave (Beat Club - January 15, 1967)
31. Happy Jack (Beat Club - January 15, 1967)
32. Bucket T (Promotional Film - 1966)
33. Happy Jack (Marquee Club, London - January 15, 1967)
34. So Sad About Us (Marquee Club, London - January 15, 1967)
35. My Generation (Marquee Club, London - March 2, 1967)
36. Pictures Of Lily (Promotional Film - April 5, 1967)
37. Pictures Of Lily (Beat Club - April 19, 1967)
38. Pictures Of Lily (Monterey Pop Festival Out-take - June 18, 1967)
39. Anyway, Anyhow, Anywhere (Promotional Film 1967)

Disc 2
01. Arrival And Interview (Helsinki, Finland - May 1, 1967)
02. Substitute (Helsinki, Finland - May 1, 1967)
03. My Generation (Helsinki, Finland - May 1, 1967)
04. Introduction (Monterey Pop Festival - June 18, 1967)
05. Substitute (Monterey Pop Festival - June 18, 1967)
06. Summertime Blues (Monterey Pop Festival - June 18, 1967)
07. A Quick One While He's Away (Monterey Pop Festival - June 18, 1967)
08. My Generation (Monterey Pop Festival - June 18, 1967)
09. I Can See For Miles (Twice A Fortnight - October 16, 1967)
10. I Can See For Miles (Smothers Brothers - September 17, 1967)
11. My Genration (Smothers Brothers - September 17, 1967)
12. I Can See For Miles (Promotional Film - September, 1967)
13. Call Me Lightning (Promotional Film - February 26, 1968)
14. Magic Bus (Beat Club - October 7, 1968)
15. Mary Anne With The Shaky Hand (All My Loving - November 3, 1968)
16. My Generation (All My Loving - November 3, 1968)
17. A Quick One While He's Away (Rock And Roll Circus - December 10, 1968)
18. I'm A Boy (Surprise Partie - December 31, 1968)
19. I Can See For Miles (Surprise Partie - December 31, 1968)
20. Magic Bus (Surprise Partie - December 31, 1968)
21. Introduction (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
22. Pinball Wizard (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
23. Pete Interview (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
24. Tommy, Can You Hear Me? (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
25. Smash The Mirror (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
26. Pete Interview (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
27. Sally Simpson (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
28. I'm Free (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
29. Interview (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
30. Tommy's Holiday Camp (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
31. We're Not Gonna Take It (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
32. See Me, Feel Me (Beat Club Tommy Promos - August 27-28, 1968)
33. Pinball Wizard (Woodstock Festival - August 16, 1969)
34. I Can See For Miles (Pop Goes The Sixties - December 31, 1969)
35. Pinball Wizard (This Is Tom Jones - April 18, 1969)

domenica 3 dicembre 2017

Peter Hammill - From The Trees (recensione)


Eccomi finalmente a parlare dell'ultimo album di Peter Hammill, From The Trees, uscito ormai quasi un mese fa. Per la prima volta nella sua carriera, che io sappia, l'album è stato anticipato da un ep contenente 5 canzoni registrate dal vivo, dal titolo V. Canzoni allora in versione embrionale, poi rivedute e corrette in studio e presenti in questo From The Trees. Innanzitutto quello che si può subito notare all'ascolto è che, cori e sovraincisioni vocali a parte, i brani sono molto essenziali a livello di arrangiamento, come se fossero pensati per essere eseguiti poi in concerto senza troppe modifiche. Il che ovviamente è un po' un rischio, è molto facile partorire un lavoro piuttosto piatto con queste premesse. Ma è di Hammill che stiamo parlando! Ed infatti ci troviamo di fronte un album si molto pacato nei toni, ma assolutamente carico di fascino. Tutti i pezzi sono sorretti da piano o chitarra, con pochissime aggiunte ed ornamenti di archi sintetizzati e poco altro; il tutto suonato da Hammill ovviamente. A livello vocale è ormai noto che negli ultimi anni in studio è difficile che si lasci andare a performance alla Arrow o a qualche reminiscenza del signor Nadir. Infatti anche in quest'album l'interpretazione dei brani è quasi sempre pacata, a tratti sussurrata, mai urlata (stupisce infatti sentire le sue convincenti prestazioni nell'ultimo tour italiano, dove sembrava ringiovanito di 20 anni). Quello che però può non essere evidente al primo ascolto è l'enorme lavoro fatto alle voci secondarie, quasi sempre presenti. Si perchè non si tratta di semplici intrecci o armonie vocali, ma di vere e proprie tele fittissime di voci che interagiscono e si accompagnano in modo eccelso, pur con il rischio di sembrare "troppo" a tratti, ma qui entrano in gioco i gusti. C'è ovviamente chi avrebbe magari preferito interpretazioni con solo una linea vocale come si possono ascoltare ai suoi concerti; ma intanto 5 dei 10 brani si trovano già in V in versione live, e per gli altri chissà che non ci scappi un intero album dal tour appena ultimato... E poi non fa mai male averne versioni alternative, no?
Non è certo mia intenzione andare ad analizzare i testi di quest'album, non ne sarei minimamente in grado. Posso però dire che le tematiche presenti sono familiari nella produzione più o meno recente di Hammill, come la vecchiaia, la fama e la relazione artista-pubblico ad esempio; tutto trattato con la consueta classe e poesia. Personalmente sono stato colpito fin da subito da Milked e la conclusiva The Descent: due magnifici brani che sicuramente lasceranno il segno nella usa sterminata produzione. Pian piano ho potuto notare egual bellezza in brani come Torpor, What Lies Ahead, il bel valzer di Reputation, e nella non troppo evidente complessità di Girl To The North Country.
Ammetto di non conoscere (ancora) ogni suo album, ma questo From The Trees, unito alla bellissima esperienza di vederlo in concerto a Milano (qui la recensione), lascerà sicuramente il segno. Così come fece Thin Air qualche anno addietro, il suo primo album solista che comprai. Per me è un solido album carico di classe che meriterebbe molto più di quanto, per forza di cose, otterrà. Come voto credo si aggiri sull'8 - 8,5.

lunedì 27 novembre 2017

Queen - News Of The World 40th Anniversary boxset (pseudo recensione)

Come ogni anno ormai da un po' di tempo, i Queen (o ciò che ne rimane) devono "regalarci" un'uscita per il periodo natalizio. Il che dovrebbe far gioire chiunque, ma è dei Queen che stiamo parlando, una delle pochissime band che "le cose le abbiamo, è legittimo aspettarsene la pubblicazione, ma sappiate che rimarrete delusi". Vero però che qualche anno fa con il live al Rainbow avevano fatto un lavorone combinando i 2 concerti datati 1974 in cd e dvd, un po' meno l'anno dopo con Hammersmith '75 dalla copertina orrida e il contenuto meno sostanzioso, ma d'altronde quello avevano, non tiriamo troppo la corda. Poi? Qualcosa dal '76? Magari Hyde Park? Naaahh, beccatevi le bootleggatissime BBC sessions in 6 cd con 2 cd di sessioni varie, un cd con 3 concerti monchi stipati in 80 minuti e TRE CD di interviste! E già qui a me suonava tanto come (specialmente il terzo cd): "le cose le abbiamo ma non ve le diamo, o se ve le diamo accontentatevi di frammenti col contagocce." Ma arriviamo al 2017, anno in cui era un pochino lecito aspettarsi magari un bel concerto del 1977 essendocene ben 2 molto noti e diffusi non ufficialmente, ma pur sempre di ottima qualità. No, versione del quarantennale di News Of The World. Cheeee? Cioè, perchè? Nel senso, è un ottimo album, ma perchè proprio di questo volete fare l'edizione speciale? Sarebbe come farla di Houses Of The Holy dei Led Zeppelin, o Animals dei Pink Floyd, ottimi album ma non certo i più celebrati della discografia! Oh beh, questo è ormai... Andiamo ad analizzare il contenuto.
Il primo cd è l'album vero e proprio. Non un remix, non una nuova (ed inutile per carità) rimasterizzazione, ma la stessa identica versione che è nei negozi dal 2011. Iniziamo bene. Il secondo cd è probabilmente l'unica cosa veramente interessante del lotto: trattasi di una sorta di "versione alternativa dell'album", composta da versioni embrionali dei pezzi dell'album. E devo ammettere che alcuni pezzi risplendono di una luce completamente nuova in queste versioni, comprese le stra-note We Will Rock e We Are The Champions, specialmente questa seconda che è anche in una versione più estesa! All Dead, All Dead è forse una delle sorprese più grandi essendo cantata da Freddie Mercury ed avendo un inizio e un testo diverso. Finalmente qualcosa di bello! Si prosegue poi con altre versioni alternative interessanti (a parte Sheer Heart Attack in una inutilissima versione strumentale), una Get Down Make Love orfana della parte rumoristica centrale ma con una sezione "jammata" in più, fino ad arrivare alla (mi si perdoni il francesismo) bastardata per eccellenza. Sleeping On The Sidewalk versione live cantata da Freddie Mercury in una qualità audio eccellente. Ora, come ho anticipato poco sopra, c'erano 2 potenziali concerti pubblicabili del '77: Earls Court e Houston; ma in nessuno di questi 2 fu suonata la suddetta canzone. Infatti è stata in scaletta in non più di 2 o 3 date nel tour americano di fine '77. Questo cosa vuol dire? Beh, non solo che non hanno pubblicato i concerti citati per motivi che sanno loro, ma ci hanno dato una canzone,  UNA SOLA CANZONE da quello che evidentemente è un ulteriore concerto registrato in modo professionale di cui nessuno sapeva nulla! Ma allora volete veramente farci soffrire si? Non oso neanche immaginare quante cose hanno nascoste negli archivi che probabilmente non vedremo mai. E dire che anche solo basandosi sui bootleg riescono a deludere, figuriamoci pensandola in questi termini. Non ho parole.
Dopo la gioia amara di questa scoperta, il cd arriva alla fine rimanendo la cosa più valida e ben fatta di questo cofanetto. Andiamo al terzo cd. Un'accozzaglia di cose buttate a casaccio: il contenuto del cd bonus della versione del 2011, qualche versione strumentale dei pezzi dell'album, altre versioni live dei brani dell'album prese da live stra-noti come Live Killers e Montreal, insomma un'altra occasione sprecata. Nel cofanetto poi si può trovare la versione in vinile dell'album, presa direttamente dai master originali, non mi pronuncio a riguardo visto il mio interesse nullo per il vinile. Abbiamo poi un DVD con un documentario sul tour americano del 1977, e siccome ormai "oltre al danno la beffa" sembra essere un motto, questo documentario è letteralmente pieno di frammenti del concerto di Houston. Anche qui, di pubblicare l'intero concerto un po' ripulito non se ne parla, ma usarne frammenti COMUNQUE RIPULITI nel documentario si. Ma siccome il documentario è della BBC è chiaro che sia stata la suddetta a ripulire i filmati, quindi perchè sobbarcarsi del lavoro in più andando a metter le mani sull'intero filmato? Bravi!
Ovviamente poi si trova anche un libro di 60 pagine, comunicato stampa, poster, replica di un biglietto a caso, un adesivo, insomma (libro a parte) tutte cose la cui utilità sta nel far lievitare il prezzo. Prezzo che supera i 100 euro ovviamente. Che se confrontati, puramente a livello di contenuto, con ad esempio la nuova edizione di 1987 dei Whitesnake in 3 cd + dvd con album, remix, versioni embrionali delle canzoni, un intero live inedito dell'epoca (loro ce l'hanno fatta, vedete?) e un dvd con filmati e documentario, il tutto a 40 euro beh, traete le vostre conclusioni.
Niente voto stavolta per l'affetto residuo nei confronti di una band che mi ha cresciuto e formato come nessun'altra. Solo un po' di tristezza ed una domanda che mi risuona nella testa: ma questo cofanetto, a che pubblico si rivolge? Fan occasionali? Non credo proprio visto il prezzo. Fan ossessionati? Forse, ma non ne sono molto sicuro viste le riflessioni di cui sopra. Fan ossessionati ricchi? Ecco, forse ci siamo. 

domenica 19 novembre 2017

Peter Hammill live a Milano 14/11/17

Dopo essermi perso le date italiane dei Van Der Graaf Generator nel 2013, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di vedere finalmente uno degli artisti più importanti sia per me che per la mia ragazza Martina. Dopo aver considerato varie possibilità la scelta cade sulla data milanese, seppur alla cieca per quanto riguarda l'effettivo luogo del concerto, di cui parlerò dopo. Questo tour italiano è stato caratterizzato da una incredibile e quasi senza precedenti varietà nella scelta dei brani suonati: 96 in totale a quanto pare, con poche ripetizioni nell'arco delle 7 date effettuate in poco più di una settimana. Non male per un sessantanovenne! Il tour è partito praticamente in concomitanza con l'uscita dell'album "From The Trees", che ho avuto la fortuna di acquistare in tempo nella speranza di un autografo (ci tornerò dopo). Ma parlerò più in dettaglio dell'album in una recensione dedicata.

Arriviamo a Milano più di un'ora prima come nostro solito, abbastanza da goderci il bel freddo novembrino in coda fuori alla Salumeria Della Musica. Locale che sulla carta pareva valido, ma in pratica l'ho trovato non molto adatto a questo tipo di eventi. Perchè ok, l'idea di ristorante con palco per concerti ci può anche stare, ma non per concerti come quelli di Peter Hammill, dove l'ultima cosa che vuoi è sentire rumori di stoviglie e aria condizionata negli (importantissimi) momenti di quasi silenzio sparsi qua e là. Per non parlare del gracchiare delle casse sulle note basse del piano oltretutto. Insomma, non le migliori premesse; ma nonostante questo abbiamo assistito ad uno dei migliori concerti che io abbia mai visto.
Si perchè per qualche motivo in questo tour l'esecuzione di alcuni brani è risultata più sicura, potente, convinta rispetto ad altre in anni recenti (ovviamente è una considerazione puramente personale basata sugli album live e sui video apparsi su YouTube). Curioso anche notare il fatto che Peter abbia iniziato il concerto alla chitarra a Milano, mentre noto leggendo in giro che è solito iniziare al piano. Quindi dopo un inizio con le belle I Will Find You e Shingle Song, ecco un'interpretazione incredibile di Sitting Targets con un Hammill che sembra di colpo ringiovanito di 20 anni! Segue Torpor dove, complice forse il fatto che si tratti di un pezzo nuovo, sono evidenti le sbavature, specialmente alla chitarra; ma chi viene ad un concerto di Peter Hammill aspettandosi perfezione tecnica ha sbagliato tutto... Sta tutto nell'interpretazione, nell'atmosfera, qualcosa di non descrivibile a parole.
Dopo Happy Hour (pezzo che conoscevo poco ed ho avuto di approfondire), eccolo che passa al piano per After The Show, Milked (bellissima versione di questo brano nuovo), Nothing Comes, una versione un po' zoppicante di Autumn, una bella Gone Ahead ed una magnifica The Siren Song, davvero ben suonata. Di ritorno alla chitarra ecco Primo On The Parapet, versione da pelle d'oca come poche altre, e la nuova Charm Alone. Dopodiché ecco la sorpresa, con Peter che dice qualcosa come (vado a memoria): "per qualche ragione 3 giorni fa mi è tornata in mente questa canzone, che non suono da almeno 30 anni. Ho deciso di re-impararla per suonarla questa sera: ecco Rubicon". Quale artista decide dal nulla di tirare fuori pezzi che non suona da decenni? A Roma pochi giorni prima ha tirato fuori La Rossa, a Milano Rubicon. E che versione! Per essere un pezzo imparato in poco tempo, tanto di cappello! E come se non bastasse, a seguire ecco Skin, altra sorpresa! Forse la migliore versione live di questo pezzo che io abbia mai avuto il piacere di ascoltare (non che ne esistano poi tantissime oltretutto). E quando ormai potevamo ritenerci già più che felici, attacca con Modern: uno dei nostri pezzi preferiti. Ovvio, le versioni anni '80 e '90 rimangono inarrivabili, ma anche questa suonata a Milano è stata veramente potente e ben riuscita. Solito "under water" finale che tira giù i muri e standing ovation da parte del pubblico mentre lascia il palco. Tutti si aspettano un bis, è normale, ed infatti poco dopo eccolo ritornare per suonare una intensa Vision. Non era difficile notare tanti occhi lucidi tra il pubblico alla fine del pezzo; un bellissimo momento a chiudere un magnifico concerto.
Giusto il tempo di riprenderci e decidiamo di aspettare l'uscita di Peter, sperando di non infastidirlo troppo visto anche il numero di persone oltre a noi ferme ad aspettare di fianco al palco. Tutti armati di vinili pluri-firmati, abbastanza da far quasi intimidire 2 poveretti al primo concerto con dei miseri CD... Durante l'attesa notiamo anche come nella migliore delle ipotesi gran parte delle persone presenti (a parte rare e sparute eccezioni) si aggirino intorno a circa il doppio dei nostri anni: prevedibile sicuramente, un po' triste forse... Ecco però che poco dopo arriva questo gracile signore, che mai si noterebbe in mezzo ad un folla, a firmare autografi. Incredibile il contrasto tra l'uomo in bianco visto poco prima sul placo in tutta la sua imponente presenza e quello davanti a noi con cappello e occhiali da vista. Ovviamente si affretta a specificare "uno solo per uno", e giustamente aggiungerei vista la calca che si era venuta a creare. Con mani tremanti arrivo a porgere la mia copia di From The Trees per farmela firmare seguito da un timido e flebile "thank you", così come la mia ragazza con la sua copia di Silent Corner; e credo di aver scorto uno sguardo quasi di sorpresa nel vedere fan così giovani al suo cospetto.
Ci allontaniamo a fatica dalla calca lasciando così il locale dopo una delle esperienze più indimenticabili della nostra vita. Chissà se in futuro avremo la fortuna di ripeterla, con o senza i VDGG. Di certo siamo più che felici di aver avuto questa occasione.
Vi lascio il link alla playlist su YouTube dove potete trovare tutti i video che ho ripreso in questa serata. Ovviamente non c'è tutto il concerto, ma credo che siano abbastanza per farsene un'idea.






lunedì 30 ottobre 2017

Roger Waters - Is This The Life We Really Want? (recensione)

25 anni senza un album "canonico" sono tanti per chiunque. I tour e i vari album e video live ricavati da essi lasciano il tempo che trovano quando entra in gioco la possibilità di ascoltare nuova musica dal "cervello dei Pink Floyd". La sua carriera è stata quantomeno altalenante... Pros And Cons è un album che ho adorato così come Radio Kaos, ma tra ripetitività e sonorità plasticose anni '80 sono album lontani dall'esser perfetti. Con Amused To Death sembrava invece aver trovato un equilibrio tra passato e presente, sfornando un album che se non è un capolavoro poco ci manca. Se proprio vogliamo, soffre solo della "sindrome anni '90", che si può riassumere in "wow ora abbiamo i cd, non facciamo più album da 40/50 minuti! Buttiamo dentro di tutto e di più fino a 80 minuti", risultando in album eccessivamente lunghi e farciti di riempitivi poco più che inutili. Dopodiché il nulla per anni a parte l'opera Ça ira. Quindi all'annuncio di Is This The Life We Really Want? quasi non ci si credeva! E invece eccolo fra noi, ormai da qualche mese. Un album che ho visto amare e odiare, spesso per gli stessi motivi. Non tenterò neanche di fare un track by track, premetto.
Innanzitutto è un album permeato dalla sensazione di deja vu. Si, perchè sostanzialmente potete prendere una Mother, una Pigs On The Wings, qualche spruzzatina di Sheep, testi di critica sociale e politica ed ecco l'album! Si ok, ho semplificato, è vero, però siamo lì.. E alla fine tutto si riduce a quanto ci disturba l'auto-plagio e quando ci troviamo in linea con i testi. Per quanto riguarda i testi ovviamente sono una componente fondamentale e beh, si spiegherebbe il perchè delle critiche all'album diffuse in Italia (non ce la fanno a capire l'inglese, neanche nel 2017), mentre all'estero ovviamente dipende dall'orientamento politico suppongo. Perchè è ovvia la posizione anti-Trump di Waters, ma c'è anche molto altro. C'è un finale positivo, si guarda all'importanza dell'Amore, il che rimanda un po' a Radio Kaos con il suo finale di speranza, una luce in fondo al tunnel? Ma per il resto è un album molto oscuro, tetro, con un Waters sempre carico di rabbia nonostante l'età, sincero, a tratti commovente se ci si trova in linea con i concetti espressi. E la musica aiuta, perchè è vero che guarda tanto al passato, ma con una produzione più moderna in contrasto con l'uso di synth tipicamente "settantiani" (che rimandano tanto ad Animals). Insomma un album rischioso, di cui non è quasi possibile dare giudizi oggettivi. Perchè insomma, è roba già sentita, ma se questa roba già sentita ti colpisce beh, poco da fare; così come nel caso contrario. E poi personalmente credo che pezzi come Deja Vu (titolo ironico?), Picture That, Broken Bones, la title track, Bird In A Gale, siano ottimamente concepiti ed arrangiati. C'è chi ha criticato il cantato, ma probabilmente non ha mai ascoltato altre sue cose soliste. Altri hanno criticato la mancanza di assoli di chitarra; io invece ho adorato questa scelta coraggiosa. Volete gli assoli? Mettete su Rattle That Lock di Davidone amico suo.
A me personalmente Is This The Life... piace, e sono contento di poter risentire Waters fare ciò che è "suo" per natura e concezione. E personalmente, preferisco un artista che plagia cose sue (per di più a 74 anni, dategli tregua!) piuttosto che uno stuolo di gruppi giovani che si appoggia totalmente sul passato. Non sarà il capolavoro che, dopo tutto questo tempo, era quasi lecito aspettarsi; non sarà ai livelli di Amused To Death (poche cose lo sono); ma per me è un album più che rispettabile. Spero che non sia l'ultimo... Se dovessi dargli un voto saremmo sul 7-7,5.
Ah, e sulla questione "copertina-Isgrò" di cui tanto si era parlato, personalmente io ci vedo l'ennesima figura da poveracci tipica di noi italiani. Che ovviamente di roba nostra a livello artistico negli ultimi 100 anni ne abbiam fatta ben poca senza "prendere ispirazione" da altri, quindi appena notiamo mezza cagata che altri magari hanno copiato senza neanche conoscere l'originale alè, apriti cielo. Che poi Isgrò stesso non sia stato l'inventore di questa "tecnica" aggiunge solo alla ridicolaggine della questione. Viva l'Italia.

giovedì 26 ottobre 2017

Chicago - Chicago Transit Authority (recensione)

So benissimo che molti, specialmente in Italia, conoscono i Chicago grazie alla loro fase anni anni '80 (anche se iniziò un po' prima) piena di cose smielatissime. Però nei primi anni erano uno dei gruppi più originali d'oltreoceano grazie al loro misto tra pop, rock\blues e l'uso estensivo di fiati. All'inizio pubblicavano album doppi a raffica (si, doppi!), uno all'anno, e almeno i primi 5 sono davvero ottimi.
Oggi però voglio parlare del loro primo album, Chicago Transit Authority, del 1969.
Introduction mette subito in chiaro il sound che caratterizza i primi Chicago, tanti fiati usati in modo assolutamente originale su una base spudoratamente americana, enfatizzata oltretutto dalla voce "nera" di Terry Kath, uno dei migliori chitarristi della sua generazione, tristemente poco celebrato. Il brano si districa poi calmandosi fino al bellissimo assolo del già citato Kath che ci porta alla ripresa della parte cantata: un inizio a dir poco spettacolare. Segue uno dei loro primi successi, Does Anybody Really Know What Time It Is?, che si differenzia dalla versione del singolo grazie all'introduzione di piano. Uno squisito brano che potrebbe essere cantato da Frank Sinatra, tanto da rendere l'idea. Un bel contrasto insomma! Ammetto che non si tratta proprio del "mio genere", ma in questo contesto non fa altro che evidenziare l'originalità di questa band. Beginnings è un altro pezzo celebrato e molto rappresentativo grazie anche ai cori in cui si nota la squillante voce di Peter Cetera (che in futuro guadagnerà molto più spazio). Uno dei miei pezzi preferiti è Question 67 And 68: magnifico pezzo rock con passaggi mozzafiato di Terry Kath alla chitarra, intrecci di fiati e Cetera finalmente come voce solista. Un bellissimo pop beatlesiano. Listen è un'altra canzone ben riuscita ma un po' persa in mezzo al resto, soprattutto in vista della successiva Poem 58, primo vero e proprio "showcase" per l'estro di Terry Kath nella prima metà (davvero spettacolare) per poi lasciare spazio ad una sorta di inquietante riff ad introdurre la parte cantata, sempre però coronata da intermezzi chitarristici riuscitissimi. E se ancora non ne avete avuto abbastanza, ecco Free Form Guitar: quasi 7 minuti in cui Kath tira fuori ogni suono possibile dalla sua Stratocaster. Un esperimento cacofonico che è la perfetta dimostrazione di come ottima composizione, arrangiamenti interessanti, effettive idee e sperimentazione fine a sé stessa potessero tranquillamente convivere in un solo album nel lontano 1969. South California Purples è il bluesaccio di rito (dai, sono pur sempre americani), e pur non essendo un grande fan del blues, ammetto che questo è davvero ben concepito ed ottimamente suonato. A questo punto è ora di alleggerire un po' dai; ecco quindi una cover di I'm A Man dello Spencer Davis Group. Ok, da un lato non c'è Winwood, ma in tutto il resto questa versione è nettamente superiore all'originale a mio parere: dalle percussioni ai lick di chitarra indescrivibili, si può anche perdonare loro qualche parola sbagliata nel testo, no? 8 minuti spettacolari. Seguono 2 pezzi collegati fra loro: Prologue e Someday (August 29, 1968), dove la prima è una registrazione tratta dalla protesta contro la guerra effettuata fuori l'hotel Hilton di Chicago ("The whole world is watching"). Facile poi immaginare di cosa tratti la successiva Someday, che per me è uno dei pezzi migliori dell'album e mostra quasi la direzione che seguiranno negli album successivi. L'album si chiude con i 15 minuti di Liberation, che alla fine altro non è che un brano in gran parte improvvisato e un'altra occasione per "mostrare i muscoli". Pesantuccio forse ma estremamente godibile, uno dei punti più alti dell'album.

Insomma, per molti è il loro album migliore, io gli preferisco il successivo Chicago II: lo trovo più a fuoco, con più canzoni nel vero senso del termine e meno divagazioni. Chicago Transit Authority è però un perfetto biglietto da visita per la loro primissima fase, stranezze e sperimentazioni comprese. E per essere un primo album, chapeau!
Un 8 per me.

martedì 24 ottobre 2017

Beggar's Opera - Act One (recensione)

Tempo fa fui ben felice di trovare i primi 2 album dei Beggar's Opera in un'unica confezione: quello di cui parlerò oggi, Act One, ed il successivo Time Machine. Due album molto diversi che non potrei mai raggruppare in un'unica recensione. Quindi magari prossimamente passerò al secondo, ma per ora soffermiamoci su Act One, che è oltretutto il loro album più "celebrato".
Dunque che dire, la cosa che subito colpisce della prima Poet And Peasant è un suono molto in linea con ovvi nomi “quasi contemporanei” (il quasi lo spiego dopo) come i Nice e i primissimi Deep Purple (la mark 1 dei primi 3 album); quindi aspettiamoci sostanzialmente quintalate di organo Hammond (a cura di Alan Park) e citazioni classiche a go-go. Ma siccome io adoro letteralmente queste cose, non posso che esserne felice! Poet And Peasant scorre bene con cambi di tempo, assoli davvero molto sullo stile dei Deep Purple grazie anche alla presenza anche di Ricky Gardiner alla chitarra (che collaborò anche con Bowie in Low). Da notare anche la notevole voce di Martin Griffiths. Anche il secondo Passacaglia procede sugli stessi binari, tra atmosfere classiche e assoli spesso più di circostanza che altro, ma indubbiamente ben suonati e raramente noiosi. Memory sembra essere la traccia più “normale” nei suoi 4 minuti scarsi di durata e l’assenza di citazioni classiche. Insomma un brano più “straight forward rock” che alleggerisce i toni prima dell’infinita cavalcata del secondo lato dell’album. Secondo lato occupato per metà da Raymond’s Road, che sta ai Beggar’s Opera come Rondo sta ai Nice e successivamente agli ELP: sostanzialmente è un calderone in gran parte improvvisato pieno di citazioni classiche a raffica (che da Rondo prende anche palesemente il ritmo). A sto punto o si adorano queste cose e ci si ritrova a sbavare letteralmente, o si aspetta impazienti la sua fine, a seconda dei nostri gusti; io tendo più al primo caso. La successiva Light Cavalry pare partire su binari simili alla precedente, con tanto di citazioni al can-can e altre cose belle, ma poi prende vie diverse con l’entrata della voce e numerosi cambi: a mio parere uno dei punti più alti del’album.

Un album che soffre un po’ del fatto di essere arrivato secondo me un po’ in ritardo, essendo stato pubblicato nel 1970. Insomma quando i già citati Nice e Deep Purple avevano già esplorato territori affini 2 o 3 anni prima (ecco spiegato il "quasi contemporanei" di inizio recensione), e si erano quindi già allontanati da lì, o addirittura sciolti. Ma chi ama quel tipo di sonorità grezze, le citazioni classiche, le improvvisazioni e l’organo Hammond (e magari è già fan delle band sopra citate) non potrà non amare quest’album. Un 7,5 per me.


lunedì 23 ottobre 2017

Genesis - Abacab (recensione)

Ho deciso di parlare di quest'album principalmente perchè lo vedo criticato ovunque, specialmente nel "mondo prog", mentre secondo me dei meriti li ha, e l'idea che se ne fa la gente è filtrata attraverso l'ottica del "tradimento del prog, colpa di Phil Collins, si sono svenduti" e via discorrendo. Cerchiamo di contestualizzare un attimo: siamo nel 1981, il prog è "roba superata", chiunque ne è rimasto ancorato si è visto il gruppo sciogliersi come ghiaccioli al sole sotto i colpi di punk e new wave. E fu così che gruppi come Gentle Giant, e ELP, fra chi tentò invano la strada della semplificazione e chi rinunciò prima, la morte fu comunque inevitabile. In sostanza, non è mai facile reinventarsi, ed è ancora più difficile farlo e acquistare nuovo pubblico! Si perchè anche i già citati Gentle Giant ci hanno provato a fare alcune cose pop, ma non hanno fatto certo i soldi (a dimostrazione del fatto che, a differenza di come molta gente ignorante crede, semplificare la propria musica non equivale ad avere facile successo). E poi ci furono i Genesis, orfani di coloro che, a torto, vengono tutt'ora definiti come i principali artefici del "suono Genesis" (Gabriel e Hackett), che già stavano mietendo ben più successo che in passato, e che ora si preparano a fare il grande salto. Ma quale sarebbe questo grande salto? No cari miei, non si tratta di lasciare carta bianca al signor Collins dalla brillante carriera solista nascente, quanto piuttosto di consolidare i loro metodi democratici (assenti negli anni '70 ironicamente), e di fare un conscio passo avanti stilisticamente. Quindi, come è ben documentato, via tutte le cose che "suonano come i vecchi Genesis", via i lunghi strumentali atmosferici e romantici, e spazio a ritmi squadrati e composizioni più concise in linea con i tempi. E sfido chiunque a fare un passo del genere e riuscirci. E fu così che l'unica suite, composta (nelle intenzioni iniziali) da Dodo, Lurker, Submarine e Naminanu, rimane orfana delle ultime 2 parti (uscite nei vari singoli) e si trasforma in un pur ottimo compromesso tra epicità genesiana e sonorità moderne. Tendenza evidente anche nella lunga Abacab, in cui la struttura e le sonorità spigolose fanno da padrone. Entrano i fiati in No Reply At All, cosa che molti progsters trovano insopportabile, ma andate a sentirvi le parti di basso del buon Rutherford in quel pezzo. Poi altri pezzi solidi come Me And Sarah Jane, Like It Or Not... Ovvio che una volta arrivati a Keep It Dark e, soprattutto, Who Dunnit? il vecchio fan toglie definitivamente il disco. Ma una volta il progressive non significava progredire? No perchè mentre i celebrati Marillion e IQ (che ovviamente adoro in ogni caso) facevano evidenti passi indietro segnando il primo revival della storia prog (creando in sostanza un genere che è un ossimoro vivente), i tanto odiati Genesis NON guidati da Phil Collins (ci torno dopo su questo) tentavano strade nuove. Ma poi dai, per una volta, riuscite a farvela una risata? A togliervi un po' la scopa dal deretano e godervi l'assurdità voluta di Who Dunnit? No? Volete il mellotron e la suite? Ok, contenti voi... Per me gli unici pezzi un po' debolucci sono Man On The Corner e Another Record, sopratutto quest'ultima. Quindi insomma, 2 pezzi su 9 non è poi malaccio no?
Altra cosa importante, visto che leggo ovunque che è colpa di Phil Collins, che è artefice del cambio di direzione e altre amenità simili; leggetevi i crediti dell'album. Anzi sai cosa? Visto che siete pigri, ve li copio io qui sotto:

Abacab (Banks/Collins/Rutherford) - 6:56
No Reply at All (Banks/Collins/Rutherford) - 4:37
Me and Sarah Jane (Banks) - 5:58
Keep It Dark (Banks/Collins/Rutherford) - 4:29
Dodo / Lurker (Banks/Collins/Rutherford) - 7:27
Who Dunnit? (Banks/Collins/Rutherford)- 3:23
Man on the Corner (Collins) - 4:23
Like It or Not (Rutherford) - 4:51
Another Record (Banks/Collins/Rutherford) - 4:20

Solo io noto una perfetta divisione in 3 parti? Tutti pezzi "di gruppo" e uno a testa individuale. Dai, dite ancora che sono la Phil Collins band!
Per me Abacab è un discreto album, non un capolavoro ovviamente, ma comunque più che valido se contestualizzato nei tempi in cui uscì (e oltretutto se preso come album pop ed affiancato ad uno qualunque considerabile pop oggi beh, sapete cosa voglio dire...). Ed in tal senso anche la copertina la trovo perfetta. Rappresentativa, riconoscibile, sicuramente più originale di molte copertine di album prog degli ultimi 20 anni.
Aggiungo che fu proprio grazie a Phil Collins che io scoprii il prog. Si, avete letto bene! Avevo delle cassette di album suoi solisti da piccolo, che mi portarono a scoprire i Genesis con lui alla voce e poi, di conseguenza, a quelli con Gabriel. Ironico vero? O forse ha fatto si che io veda in modo diverso certi album. Il che spiegherebbe molte cose. Certamente ha contribuito al fatto che io ammiri gli artisti che si sanno rinnovare e trovi noioso e ridondante chi va avanti a "more of the same", che è un po' ciò che è diventato negli anni il prog (motivo per cui ascolto ben più volentieri un Abacab di un Genesis Revisited del buon Hackett di cui sono fan, quando però fa album nuovi e non cover). Quindi è ovvio che chi apprezza quel tipo di cose odierà tutt'ora Abacab, così come i loro album successivi, ed è un gran peccato a mio modesto parere. Ma immagino che il mondo sia bello in quanto vario. L'importante è non permettere a limiti mentali auto-imposti di condizionare i nostri gusti.
Per me un solido 7.

domenica 22 ottobre 2017

Van Der Graaf Generator - Do Not Disturb (recensione)

Si sa che il signor Hammill non sa stare fermo, raramente passa un anno senza una sua pubblicazione con i VDGG o da solista. La cosa assurda è che nel peggiore dei casi ci si trova di fronte un lavoro di poco meno valido di altri, magari con elementi che non stupiscono, "già sentiti", ma mai un lavoro brutto. E quest'album non è da meno! Si perchè i VDGG dopo l'abbandono di David Jackson nel 2005 hanno deciso di continuare in 3, e questo comporta un aggiustamento del suono ovviamente. Aggiustamento che, a mio parere, arriva finalmente a compimento qui, dopo 2 album validissimi ma un po' meno a fuoco. Siamo di fronte ad un album che rappresenta perfettamente la band ora, con tanto di testi che riflettono la loro età. Ed ovviamente questo si ripercuote anche sulla musica, intensa, oscura, triste e malinconica a tratti, ma assolutamente matura (ed è forse ciò che differenzia questi VDGG da quelli di Pawn Hearts). Aloft dà perfettamente l'idea di ciò che la seguirà: atmosfere oscure tipiche seguite da cambi che li riporta in territori più progressive. E se la produzione è forse inferiore ai precedenti lavori e a tratti confusa, la costruzione dei pezzi segna un deciso passo avanti; tanto che gran parte dei pezzi possono essere visti come mini-suite, sempre segnati da cambi inaspettati. Bellissimi anche i pezzi più "lineari" come Alfa Berlina, in ricordo dei loro viaggi per i concerti in Italia negli anni '70, la più "pesante" Forever Falling che sembra riprendere The Hurlyburly da Trisector aggiungendoci testo e variazioni per renderla una vera e propria perla che sembra uscita da Nadir's Big Chance. Discorso simile per la devastante (Oh No I Must Have Said) Yes, malatissimo pezzo che poi si evolve in un intermezzo jazz veramente inedito per loro (riuscito o meno è difficile da dire, certo è originale). Poi Brought To Book, Almost The World e Room 1210 sono accomunate da atmosfere fosche e malinconiche come anticipavo prima, e sembrano quasi pezzi presi da un album solista di Hammill degli ultimi anni ed ampliati grazie al "trattamento VDGG" che li rende semplicemente sublimi, non saprei veramente trovare altre parole. Ed il tutto si conclude con Go, che alla luce dell'ipotesi che questo possa essere il loro ultimo album, è tanto appropriata quando commovente.
Non mi aspettavo molto da quest'album dopo gli ultimi 2 (seppur belli non erano capolavori), ma dopo qualche ascolto ho iniziato ad adorarlo quasi quanto i loro album classici. La cosa curiosa è che se si passa da un qualunque album anni '70 a questo, se non fosse per la voce di Hammill, sembra di sentire 2 band completamente diverse. Questo perchè, complice anche l'abbandono di Jackson, i VDGG sono uno dei pochissimi gruppi che non si è mai guardato indietro, che ha continuato per la sua strada imperterrito. Ed alla luce di questo per me sono l'ultimo grande gruppo progressive storico. Una volta lo dicevo anche dei King Crimson, ma ormai sono un'orchestra percussiva itinerante...
Ma comunque, un bellissimo album che forse colpirà più le persone avanti con gli anni viste le tematiche, che sicuramente si troveranno in linea con concetti e sentimenti espressi; ma che può piacere anche a tanti gggiovani sensibili a certe sonorità ed atmosfere, ne sono sicuro. Un 8,5 per me. Vi lascio il link a Spotify per ascoltarlo, ma per chi non è iscritto qui sotto trovate un paio di pezzi da Youtube.
P.S. A quanto pare il vinile ha meno canzoni ed in ordine diverso, siete avvisati. Per fortuna che io non seguo le mode e rimango fedele ai cd eheh.


sabato 21 ottobre 2017

Small Faces - Ogdens' Nut Gone Flake (recensione)

Terzo album di questa band inglese oltre che l'unico in mio possesso (per ora). Gli Small Faces sono una scoperta recente per me, e per puro caso oltretutto! Si perchè ho sempre pensato che fossero l'ennesimo gruppo pop-rock di fine anni '60 con cose carine ma non imprescindibili. Mi sbagliavo. Perchè se questa definizione si può applicare ai loro precedenti album, qui siamo su ben altri livelli! Non per niente la band si sciolse dopo questo lavoro, quasi a voler dire "ok, oltre non si può andare", e non avrebbero poi tutti i torti. Ogdens' Nut Gone Flake ricade in quel calderone di album in lizza per il titolo di "primo concept album della storia", anche se di concept c'è solo il secondo lato... Ma poco importa perchè tutto l'album è tanto figlio dei suoi tempi quanto incredibilmente godibile e pieno di trovate originali. Già l'apertura con la title track strumentale mette in chiaro che non si è di fronte ad un semplice album pop, grazie all'uso intelligente dell'orchestra su una base spudoratamente psichedelica (parola che userò molto, vi avviso). Il primo lato scorre bene con due picchi in particolare per quanto mi riguarda: la spettacolare Afterglow (Of Our Love) in cui svetta il cantato molto intenso di Steve Marriott, e l'inglesissima Lazy Sunday (con tanto di accento marcatissimo e modi di dire difficilmente comprensibili a chiunque non sia dell'est di Londra). Long Agos and Worlds Apart e Song Of A Baker riprendono un po' il loro tipico suono grezzo tinto di psichedelia che affiora qua e là in tutto l'album, mentre Rene è un po' la sorella di Lazy Sunday. Già a sto punto l'album mette in fila un pezzo più riuscito dell'altro (si perchè anche se non ho molto da dire su alcuni, sempre gran bei pezzi sono), ma ecco che arriva il secondo lato, quello "concept".

La voce di Stanley Unwin introduce la storia tra il fantasy e il surreale di Happiness Stan: "Are you all sitting comfy-bold two-square on your botty? Then I'll begin". Geniale. La storia racconta del viaggio di Stan alla ricerca della metà mancante della luna, a causa del fatto che vide solo metà luna una notte. In viaggio incontra una mosca che stava morendo di fame e la salva, in cambio la mosca dice a Stan di conoscere qualcuno in grado di aiutarlo e anche di dirgli il senso della vita! Così Stan, con una formula magica, fa ingrandire la mosca così da farsi trasportare in un viaggio alla caverna di Mad John, il quale rivela a Stan che la parte mancante della luna è solo un fatto temporaneo, indicando in cielo verso la luna piena. Stan aveva speso così tanto tempo nel suo viaggio che ora la luna era di nuovo piena! Dopodiché Mad John canta una gioiosa canzone sul senso della vita che chiude l'album.

Se c'è una cosa che adoro di certe cose psichedeliche inglesi di fine anni '60 è quella sorta di infantilismo innocente, presente anche in molte cose di Syd Barrett. Parlando della musica invece, questa seconda metà di album si apre con Happiness Stan, un bellissimo pezzo che introduce il tutto con tanto di clavicembalo per poi virare su sonorità più spinte e voce con il leslie: uno spettacolo. Tutti i pezzi sono intervallati da parti narrate dal già citato Unwin, anch'esse in uno stupendo slang che rende il tutto ancora più surreale. Tra il rock spinto di Rolling Over, le sonorità acustiche di The Hungry Intruder, la psichedelia che riaffiora in The Journey e il magnifico folk di Mad John si arriva alla gioiosa HappyDaysToyTown, perfetta chiusura di un magnifico album.

Album che consiglio a chiunque, come me, ami questo periodo storico musicalmente parlando. Un periodo in cui l'inventiva era su livelli mai più raggiunti, la musica prodotta riusciva ad essere sperimentale ma non ostica, godibile ma mai banale. Un equilibrio che non è mai più stato raggiunto. Oltre all'importanza dell'arte visiva, che in questo caso si concretizzava con un vinile in una confezione rotonda basata su una confezione di tabacco!
Un album che meriterebbe un 10 tondo per quanto mi riguarda, ma siccome oggettivamente ci sono album ancora più riusciti, mi toccherà stare sul 9, anche se abbondante!

venerdì 13 ottobre 2017

The Darkness

Allora, l'intenzione era di fare una normale recensione dell'ultimo lavoro di questa band, Pinewood Smile, ma poi ho pensato di fare qualcosa di un po' più complesso. Nel dettaglio, di fare una sorta di riassunto della loro carriera dal mio punto di vista, essendo loro una delle pochissime band (se non l'unica) che ho avuto il piacere di seguire dall'inizio della loro carriera.
Quindi, salto indietro nel 2003, con un me undicenne malato di Queen e di pochissimo altro. Ecco che all'improvviso un po' tutti i canali musicali (ebbene si, ancora c'erano ed erano rilevanti) trasmettono questo strano video di una nuova rock band con questo cantante dal falsetto incredibile. Subito non hanno propriamente attirato la mia attenzione, certo il pezzo era gradevole (I Believe in A Thing Called Love) ma non da farmi impazzire. Così come il loro secondo singolo Growing On Me, molto carino certamente. Poi esce Love Is Only A Feeling ed ecco che tra me ed i miei genitori, non so se per colpa del pezzo in questione o per quello che stavano facendo in generale, decidiamo di comprare il loro primo album: Permission To Land.

Un album rock, duro, compatto, solido, forse troppo rock per il me undicenne (che ancora non era entrato nella fase Zeppelin Purple), ma c'era qualcosa. Black Shuck e Love On The Rocks With No Ice parlano da sole sulla durezza dell'album, mitigata ogni tanto da pezzi come Friday Night e i singoli già citati. Sicuramente la voce di Justin Hawkins ha un ruolo importante in tutto ciò, e tutt'ora sono convinto che sia uno dei migliori cantanti in giro, ma le canzoni riuscivano a farsi piacere! Ciò che però mi convinse al 100% del loro valore in relazione ai miei gusti fu il singolo natalizio Christmas Time (Don't let The Bells End), secondo me l'ultima grande canzone natalizia partorita da una rock band. E già allora i parallelismi con i Queen da parte della stampa e dei critici si sprecavano, e forse anche quello mi ha spinto verso di loro. Però sinceramente non c'era molto a sostenere questo paragone, se non una sorta di (allora) leggero eclettismo un po' raro negli ambienti rock.


Ed infatti con il secondo album One Way Ticket To Hell ecco che il paragone con i Queen sembrava acquistare un senso. Non solo per la presenza di Roy Thomas Baker in sede di produttore, ma anche perchè quest'album è un bel casino in senso buono. Insomma balzano dal loro classico hard rock ad arie scozzesi in Hazel Eyes, pop in Girlfriend, cose che possono tranquillamente trovare posto in Queeen II come English Country Garden, tanti cori, arrangiamenti complessi, produzione variegata. Ho ADORATO quest'album dal momento che lo acquistai, ed indovinate un po'? Demolito dalla critica con tanto di effettivo scioglimento del gruppo l'anno dopo (anche per altri motivi certo, ma tant'è). One Way Ticket rimane per molti uno dei loro lavori più "deboli", mentre per me sta tranquillamente sul podio, direi anche al secondo posto. Molti metterebbero Permission To Land al primo, ma io no. Proseguiamo!

Salto in avanti abbastanza sostanzioso, arriviamo al 2013 con la reunion ed un nuovo album! Hot Cakes è un lavoro più che dignitoso, accolto benissimo da tutti, me compreso. Anche perchè simbolo di un ritorno in cui quasi non si sperava più. A distanza di anni ha perso un po' secondo me. Cioè, è un album più che buono, senza cadute di stile, ma anche senza pezzi epocali e particolarmente memorabili. Certo, la cover di Street Spirit dei Radiohead è uno spettacolo, Nothing's Gonna Stop Us, Every Inch Of You, Concrete, Forobidden Love, With A Woman e She's Just A Girl Eddie sono pezzi davvero molto belli, ma che non colpiscono e/o stupiscono quanto altre loro cose.



Ed infatti con Last Of Our Kind nel 2015
dimostrano di essere ancora in grado di far volare la gente dalla sedia con pezzi come Barbarian, Open Fire, Roaring Waters (un concentrato di riff da infarto), Mighty Wings e Mudslide. Alcuni dei loro migliori in assoluto. Il problema è che, tolta la title track, il resto inevitabilmente sfigura, ed è un gran peccato. Perchè pezzi come Sarah Oh Sarah, Hammer And Thongs e Conquerors sono carini, anche se non capirò mai la scelta di mettere quest'ultima (cantata dal bassista Poullain) alla fine dell'album. Insomma, con i suoi alti(ssimi) e bassi rimane una dimostrazione dell'aver finalmente riacquistato, con gli interessi, tutto il loro smalto.
Smalto che ritroviamo intatto in Pinewood Smile, il loro ultimo album. Quello che decreta l'entrata in formazione di Rufus Taylor, figlio di Roger (altri collegamenti con i Queen). Qui troviamo brani che spettinerebbero anche un calvo, come Buccaneers Of Hispaniola, Southern Trains (dai, un pezzo che insulta i treni e la loro inefficienza, hanno vinto tutto), Japanese Prisoner Of Love (capolavoro in tutti i sensi), ed il tutto senza pezzi troppo deboli. Basti dire che si sono permessi il lusso di mettere un pezzo come Uniball come bonus track nella versione deluxe, quando una qualunque band non so cosa non darebbe per essere in grado di sfornare un pezzo del genere. Ma poi l'apertura di All The Pretty Girls, inizio perfetto per l'album, la strana Stampede Of Love, le indefinibili Lay Down With Me Barbara e I Wish I Was In Heaven, che lasciano un po' così ai primi ascolti ma creano dipendenza dopo il secondo o il terzo. Insomma, lo dico, è il mio album preferito dei Darkness. Ebbene si. Una band che riesce sempre a sfornare album che nella peggiore delle ipotesi sono più che godibili. Un rock che fa dei clichè un punto di forza, lasciando di sasso nel momento in cui prendono quello stesso clichè e lo distruggono con una qualche trovata che puntualmente funziona. Una versione "seria" degli Spinal Tap. Insomma, la mia band preferita del dopo 2000, e non è poco!
Niente voti stavolta, sono mainstream, oggi gira così.
Ascoltate Pinewood Smile che è bello.