martedì 21 agosto 2018

Genesis - Invisible Touch (1986) Recensione

Un album spesso preso come esempio della decadenza di questa band. Una band il cui graduale cambio stilistico è spesso denigrato e definito come un semplice risultato dell'abbandono prima di Gabriel e poi di Hackett, evidentemente conoscendo poco delle carriere soliste dei suddetti negli anni '80 e dimenticandosi totalmente che la principale unità compositiva della band (Banks e Rutherford), dopo l'abbandono di Phillips, è sempre stata presente. Poi certo, "si sono svenduti", come se fosse semplice farlo, come se bastasse volerlo e "puff", soldi a palate. Però tanti musicisti ironicamente fanno la fame, curioso... Forse non è così semplice. Liberissimi di chiamarli "i Genesis quelli falsi", o la "Phil Collins Band" o "genesis" in minuscolo facendo i simpatici, ma Invisible Touch per me è il loro miglior album anni '80 dopo Duke, uno dei più solidi. Certo, è un album sostanzialmente pop, ma che c'è di male? Indubbiamente può non piacere, ma non per questo va sminuito a prescindere. La title track è un piccolo e semplice gioiellino pop che non viene certamente fuori mettendo insieme note a caso, ed è l'esempio di come il tanto vituperato Phil Collins qui non sia alla guida della band come molti tutt'ora credono. Tant'è che non solo i brani sono accreditati all'intera band, ma non è neanche difficile notare il pesante zampino di Banks in questo brano, tanto quanto quello di Rutherford nell'ugualmente famosa Land Of Confusion. Tonight Tonight Tonight invece dimostra perfettamente come comunque i Genesis non fossero certo nello stesso calderone dei vari Duran Duran o Spandau Ballet, tirando fuori un pezzo che eleva la sua natura pop estendendosi con un azzeccato intermezzo strumentale. Certamente uno dei brani più riusciti dell'album, vittima purtroppo di sciagurati tagli sia nella versione singolo che nei live dal '92 in poi che trasformano il brano, stavolta si, in una "semplice" canzone pop. E poi la già citata Land Of Confusion, "nobilitata" e legittimata nel mondo dei più giovani alternativi dall'inutile cover dei Disturbed, è un esempio di perfetta scrittura pop di quelle fatte apposta per far cantare la gente. Che ripeto, sembra facile, ma farlo scrivendoci intorno anche una bella canzone è alquanto arduo. Poi certo, le melense In Too Deep e Throwing It All Away non sono perle indimenticabili, ma quelli erano gli anni, e poi sono tutt'ora convinto che almeno la prima sia pesantemente penalizzata dai suoni tipici di quel decennio, risultando altrimenti un brano comunque piacevole e ben scritto.
E se indubbiamente la divertente Anything She Does non può che rinforzare il rifiuto da parte dei vecchi fan (che in quanto proggettari a volte cedono il senso dell'umorismo in cambio di un bel paio di paraocchi, e lo dico da proggettaro al 65% circa), Domino potrebbe cambiare le cose. Infatti con i suoi quasi 11 minuti ed i molteplici movimenti al suo interno potrebbe tranquillamente essere definita una suite prog! Perchè per molti non è così? Semplice: i suoni anni '80, la mancanza di "mellotron moog hammond" ed il fatto che sia in 4/4. Al di là del genere, a me Domino è sempre piaciuta, essendo indubbiamente il miglior brano dell'album oltre che gran bel pezzo in sede live, dove guadagna molto in resa. The Brazilian chiude l'album ricordandoci che sono pur sempre una band di tre musicisti, e quindi quale miglior modo se non con uno strumentale a firma Banksiana?
Insomma i punti deboli qui sono ben pochi, certamente meno che nei pur buoni precedenti Abacab e Genesis, che sembrano perdere un po' nella seconda metà. Personalmente ho sempre amato questo album, le sonorità anni '80 non mi disturbano, per tanto datate che possano suonare oggi hanno comunque una loro personalità. Non ho mai avuto nulla contro il pop, contro Collins (che anzi è la ragione per cui mi sono interessato ai Genesis, arrivando successivamente ai primi album) e contro gli anni '80, che si dimostrano essere un decennio a mio parere comunque nettamente superiore al periodo che stiamo vivendo, musicalmente parlando. Invisible Touch non è un capolavoro, ma un onesto album ben scritto e ben suonato, perfettamente in linea con i tempi in cui uscì, esattamente come lo erano a loro volta i loro album anni '70. Un 7,5 per me.

...poi ce la si potrebbe anche fare una risata ogni tanto guardando i videoclip eh, che anche Peter Gabriel non è che quando si è messo la testa di volpe e il vestito da donna o si vestiva da malattia venerea con testicoli gonfiabili era mister serietà dopotutto...
Ed il video di Land Of Confusion è una piccola opera d'arte, piena di riferimenti che, ahimè, chi non c'era negli anni '80 magari faticherà a capire...
E se ve lo dice uno del '92 potete fidarvi.


domenica 19 agosto 2018

Led Zeppelin - I Migliori Bootleg

Dopo aver scritto un elenco simile sui Queen, ho pensato che fosse sensato immergersi in un altro oceano di bootleg da un'altra band leggendaria: i Led Zeppelin.

Potrebbe sembrare più facile in questo caso, perché i Led Zeppelin sono stati in tour solo per 11 anni, mentre i Queen per 13 con meno pause, ma i Led Zeppelin improvvisavano molto di più nei loro concerti. Ciò significa che anche due concerti fatti a distanza di pochi giorni possono essere radicalmente diversi. Quindi, proprio come nella lista precedente, cercherò di farvi una panoramica considerando la qualità audio, le performance e la setlist. Ci saranno alcune scelte ovvie, ma proverò a scavare un po 'più a fondo.

Di nuovo, il tutto sarà in ordine cronologico, quindi non è una top 10 o qualcosa del genere. Se siete veramente interessati, potete trovare praticamente tutti questi bootleg su YouTube.

1 - Whisky A Go Go, West Hollywood, Los Angeles, 05/01/1969

La loro seconda registrazione più vecchia arrivata a noi è già una delle più potenti. Una grande occasione per ascoltarli all'inizio, quando suonavano canzoni come Babe I'm Gonna Leave You e cover come As Long As I Have You, Killing Floor (più tardi The Lemon Song) e For Your Love degli Yardbirds. Dura quasi un'ora e il suono, anche se un po' confuso, è abbastanza godibile. Altamente raccomandato!

2 - Fillmore West, San Francisco il 24/04/1969

Solo pochi mesi dopo il precedente bootleg, questo è molto interessante perché la maggior parte di esso (non tutto, purtroppo) è una registrazione soudboard, quindi suona sorprendentemente bene per essere del 1969. Ci sono Train Kept A-Rolling, una grande How Many More Times, Pat's Delght (l'assolo di Bonham prima di Moby Dick). Il resto è per lo più la stessa setlist di quello precedente, ma ovviamente la performance è diversa. Questo è più lungo di due ore ma purtroppo, come ho detto, solo una parte di esso è da soundboard, quindi alcune canzoni provengono da una registrazione dal pubblico e non suonano molto bene. Tuttavia, non si può perdere.

3 - Casino de Montreux, Montreux 07/03/1970

Ci sono ovviamente molte altre registrazioni dal 1969, ma la maggior parte di esse sono state ufficialmente pubblicate come parte delle BBC Sessions, e c'è anche un ottimo concerto del 10/10/1969 all'Olympia di Parigi pubblicato su un CD bonus nella rimasterizzazione del 2014 di Led Zeppelin I. Inoltre, ho saltato il famoso concerto alla Royal Albert Hall del 09/01/1970 da quando è stato ripubblicato nella sua quasi totalità sul DVD dei Led Zeppelin del 2003. Questo concerto a Monreux offre una simile setlist a quello di Londra, ed è uno di quei casi in cui la registrazione del pubblico suona meglio del soundboard! Fortunatamente, combinando queste due fonti, abbiamo uno spettacolo completo che sembra ancora più energico di quello della Albert Hall. Inoltre, qui possiamo ascoltare una versione molto primordiale di Since I've Been Loving You, Heartbreaker, Thank You, e abbiamo ancora We're Gonna Groove come pezzo di apertura. Uno dei migliori bootleg "oscuri" di sicuro. Consiglio anche Vancouver 21/03/1970, che è tristemente incompleto, ma ha quasi 40 minuti di registrazione soundboard di alta qualità.

4 - Forum LA, Inglewood, 04/09/1970

Probabilmente uno dei più famosi, se non il più famoso, bootleg dei Led Zeppelin di sempre. Conosciuto come Live On Blueberry Hill, offre una performance ottima da parte di tutti. Immigrant Song apre uno spettacolo che offre una Since I've Been Lofing You molto più definita, rare performance di Out On The Tiles e Good Times Bad Times, e ovviamente una cover di Blueberry Hill che ha dato il nome al bootleg. Ci sono più registrazioni dal pubblico di questo concerto, quindi sta fondamentalmente a voi scegliere la fonte preferita.

5 - Eddie Graham Sports Complex, Orlando 31/08/1971

Abbiamo già le ottime BBC Sessions del 1971 e potrei persino suggerire la versione bootleg di quelle visto che la versione ufficialmente pubblicata non è completa al 100%, ma penso che sia meglio concentrarsi su diversi concerti. Questo ne vale la pena soprattutto perché la maggior parte di esso è una registrazione soundboard, una delle poche di questa epoca. Mancano quasi 20 minuti e vengono sostituiti da una registrazione del pubblico, quindi otteniamo comunque uno show completo. Setlist simile alle sessioni della BBC, penso che l'unica differenza sia Celebration Day invece di What Is And What Should Never Be, ma ovviamente suonano tutti molto meno nervosi qui. Quindi nel complesso questo è uno spettacolo molto più energico di quello per la BBC, anche se ovviamente non suona altrettanto bene.

6 - Berkley 14/09/1971

Una registrazione dal pubblico questa volta, ma una delle sue performance più forti e più ispirate di sempre. Non è completo, è lungo circa un'ora e mezza, ma contiene probabilmente uno dei migliori medley di Whole Lotta Love che abbia mai sentito, dopo le date giapponesi dello stesso anno. Jimmy Page in particolare suona in modo spettacolare, e il suo assolo in Since I've Been Loving You è spettacolare.

7 - Festival Hall, Osaka 29/09/1971

Apparentemente esiste una registrazione soundboard di questo spettacolo (e sono emerse alcune tracce), ma per ora abbiamo solo varie registrazioni dal pubblico che, una volta combinate, ci permettono di goderci l'intero concerto. E che concerto è! I loro show hanno iniziato ad allungarsi sempre di più, andando avanti per oltre tre ore, grazie a tracce estese e medley come Dazed And Confused e Whole Lotta Love. Il concerto sembra molto rilassato e la band spesso scherza tra le canzoni. È una delle poche occasioni in cui sentiamo suonare Tangerine dal vivo, e l'unica volta in cui possiamo ascoltare Friends. Anche se la voce di Plant stava già cambiando, e iniziano a comparire varie rotture e stecche, a mio parere è ancora uno dei loro migliori concerti. Il tour completo giapponese esiste in forma di bootleg, insieme a quello del 1972, quindi sentitevi liberi di cercare tutte le altre date se ne avete voglia!


8 - LA Forum, Inglewood, 25/06/1972

Non c'è molto da dire qui, ma siccome How The West Was Won offre una registrazione incompleta di questo spettacolo, usando anche con tracce da Long Beach, è bello ascoltare l'intero spettacolo come fu in realtà. Sì, il suono non è eccezionale, ma abbiamo Tangerine e Communication Breakdown! E poiché nella sua ultima versione rimasterizzata, HTWWW il medley di Whole Lotta Love è stato tagliato ancor più della versione precedente, che non era completa a sua volta, questo è un altro motivo per dare un'occhiata a questo bootleg.

9 - Università di Southampton, Southampton, 22/01/1973

Non è il loro spettacolo migliore, un po 'arrugginito e con chiari segni di deterioramento della voce di Plant, ma sicuramente il miglior bootleg a livello di suono. Il motivo è perché questo concerto è stato effettivamente mixato  professionalmente alcuni anni fa da nastri multitraccia. Infatti, ad esempio, le parti di flauto di Mellotron in Stairway To Heaven in How The West Was Won sono state prese da qui, dal momento che nel 1972 John Paul Jones non aveva ancora un Mellotron e suonava quella sezione su un organo Hammond. Sono abbastanza sicuro che questo spettacolo uscirà ufficialmente in futuro, se non quest'anno, ma comunque è ancora un bootleg che vale la pena controllare. Anche con le versioni molto primitive di The Song Remains The Same e The Rain Song, insieme a un ritorno a sorpresa di How Many More Times!

10 - Ortenauhalle, Offenburg 24/03/1973

Probabilmente una delle migliori date del tour europeo. Il suono non è perfetto, e la setlist non offre molte sorprese, ma è sicuramente uno spettacolo molto forte. Ci sono anche altri spettacoli molto belli da questo tour, come ad esempio Vienna, e anche se la setlist è più corta del solito, ad alcune persone piace questo tour più del seguente americano. Quindi vale la pena ascoltarlo.


11 - The Garden Tapes: Madison Square Garden, New York, 27-28-29 / 07/1973

Sebbene ci siano altri spettacoli molto buoni del tour americano del 1973 (come Providence, Inglewood, Mobile e Seattle), penso che queste tre date al Madison Square Garden siano tra le migliori. Tutte queste date sono state registrate per The Song Remains The Same, che risulta essere un po 'come un puzzle, con non solo brani tratti da diversi spettacoli, ma a volte anche singoli strumenti e tracce vocali combinate. Quindi, per ascoltare i concerti veri e propri in un misto tra soundboard e registrazioni dal pubblico, le Garden Tapes sono altamente consigliate.

12 - Madison Square Garden, New York, 12/02/1975

Nel tour del 1975 è difficile scegliere, quindi ci saranno un bel po 'di bootleg di quel periodo in questa lista. Questo tour è stato probabilmente il peggiore per la voce di Plant, e sembra quasi una persona diversa. D'altro canto però, alcuni spettacoli sono stati ottimi musicalmente, e ci sono molte registrazioni soundboard di grande qualità. Questo, sempre al Madison Square Garden, è un esempio perfetto, e sicuramente uno dei migliori.

13 - Vancouver 20/03/1975

Un'altra ottima registrazione soundboard e un concerto molto buono. Anche se la setlist è la stessa, è bello ascoltare questi diversi concerti grazie a canzoni come No Quarter e Dazed And Confused: highlights pieni di improvvisazioni che possono durare fino ad anche più di trenta minuti.

14 - Seattle Center Coliseum, Seattle, 21/03/1975

Solo un giorno dopo Vancouver e uno spettacolo ancora più forte nel complesso, con Plant che sembra decente per una volta! Probabilmente è il mio concerto preferito del 1975 insieme alle date di Earls Court, ed è anche interessante perché è una delle pochissime volte in cui suonano Since I've Been Loving You nel 1975. Anche The Crunge è suonata quasi interamente in Whole Lotta Love, Dazed And Confused dura quasi quaranta minuti e l'intera band è molto in forma. Se dovessi scegliere solo uno spettacolo del 1975, questo è un ottimo candidato, insieme a qualcosa da ...

15 - Earls Court, Londra 17-18-23-24-25 / 05/1975

Una serie leggendaria di concerti presso l'Earls Court di Londra, di cui almeno 3 date (23-24-25) sono state registrate e filmate professionalmente. Abbiamo una registrazione del pubblico delle prime tre e soundboard quasi completi e video per le ultime due date. Quindi ovviamente i concerti dal 24 al 25 sono quelli che consiglio di più, ma anche gli altri sono molto buoni (in particolare il 18, forse il migliore musicalmente), hanno solo una qualità audio peggiore. L'ultimo concerto è uno dei più lunghi di sempre, 3 ore e 45 minuti con tanto di bis. Il set acustico è tornato in tutte queste date e la mia versione preferita di Dazed And Confused è quella del 24. Alcune delle migliori versioni di Trampled Underfoot provengono anche da queste date, insieme a In My Time Of Dying. Quindi, per restringere il campo, è un pareggio tra il 24 e il 25, sono entrambi degni di nota.

16 - Richfield Coliseum, Cleveland, 27/04/1977

Un altro bootleg molto famoso (noto come Destroyer), non è il miglior spettacolo di questo tour, ma essendo un soundboard di qualità decente è giusto menzionarlo. Purtroppo un paio di canzoni sono parziali e perdiamo il loro inizio, ma sono solo pochi minuti in quasi tre ore. Grande set acustico in questo tour, anche con The Battle Of Evermore, tristemente quasi rovinata da John Paul Jones alla seconda voce. Robert Plant migliora molto con il tour, a differenza di Jimmy Page che, per la prima volta, suona molto impreciso a volte.

17 - Madison Square Garden, New York 07/07/1977

Un altro al Madison Square Garden, e uno spettacolo molto più forte rispetto al precedente. Anche in questo caso, la registrazione soundboard mi piace molto, ma purtroppo Kashmir suona davvero male a causa del Mellotron scordato. Comunque, vale la pena ascoltarlo.

17 Bis, AGGIORNAMENTO - Fort Worth 30/05/1977

Questo l'ho scoperto subito dopo aver scritto questo articolo, ecco perché è qui come un "17 Bis", solo per non modificare gli altri numeri. Questa è semplicemente la migliore alternativa al concerto al Madison Square Garden, e se si sopporta il taglio subito dopo l'inizio di Bron-Y-Aur-Stomp, ci si può godere una migliore performance generale. La qualità del suono è ottima essendo di nuovo da soundboard, e se siete abbastanza fortunati da trovare qualche recente versione rimasterizzata, può essere una bellissima esperienza di ascolto.

18 - LA Forum, Inglewood 21-23-25- 27/06/1977

Senza dubbio i migliori concerti di questo tour, e spetta a voi decidere quale sia il migliore tra i quattro. Il primo è probabilmente il più famoso, sotto il nome di Listen To This Eddie, e il secondo ha Keith Moon ospite in un paio di tracce. Il terzo è semplicemente un grande concerto, probabilmente la migliore performance di Jimmy Page del 1977 e la quarta è lassù, solo un po' più rilassata e con una bonus Dancing Days improvvisata nel set acustico. Un gruppo di concerti che può letteralmente cambiare l'immagine di un tour che viene spesso considerato uno dei peggiori. John Bonham è in formissima, basti sentire l'apertura di The Song Remains The Same dal 21 o Achilles Last Stand, John Paul Jones è sempre solido, e Robert Plant è probabilmente al suo meglio dal 1972. Tutti questi concerti sono registrazioni dal pubblico del grande Mike Millard, famoso per le sue registrazioni di alta qualità nell'area di Los Angeles, quindi la qualità è ovviamente ottima. Devo dire altro?

19 - Falkoner Theatre, Copenaghen 23-24 / 07/1979

Queste erano due date di riscaldamento per prepararsi a Knebworth. Il fatto è che non so se è perché erano più nervosi a causa di un pubblico più vasto a Knebworth, ma tutti hanno suonato molto meglio in queste date di Copenaghen. E sì, ci sono alcuni errori qua e là, ma Jimmy Page in particolare suona anche meglio del tour del 1977 in alcune canzoni. Il set acustico è sparito, così come tutte le lunghe improvvisazioni come Dazed And Confused e Moby Dick. Ma otteniamo canzoni come Celebration Day, The Rain Song, Misty Mountain Hop ... Non posso dire quale delle due sia migliore, sono molto vicine. Inoltre suonano molto bene per essere registrazioni del pubblico. I due concerti di Knebworth hanno praticamente la stessa scaletta, ma Jimmy Page in particolare ha suonato peggio, specialmente al secondo concerto. Quindi, se volete ascoltare un concerto completo da Knebworth, vada per il 04/08/1979.

20 - Frankfurt 30/06/1980

Non sono mai stato fan nel tour del 1980, ma senza dubbio questo è il miglior concerto di quel tour. Quello di Berlino è storicamente importante essendo l'ultimo, ma questo è sicuramente meglio. Jimmy Page è al suo peggio, John Bonham regge ancora piuttosto bene, ma Plant e Jones tengono letteralmente la band insieme a questo punto. Una buona occasione per ascoltare All My Love live, che è stata suonata solo in questo tour. Oltre a questo, questo è solo per i completisti. Punti bonus per essere un soundboard.

giovedì 16 agosto 2018

Mikayel Abazyan - Something More (2018) Recensione

In un anno povero di uscite, per il sottoscritto, rilevanti, ecco finalmente un lavoro in grado di risollevare le sorti di un anno piuttosto incolore per la musica. Mikayel Abazyan, dall'Armenia, può forse essere noto ad una certa cerchia di persone per il suo collegamento a Peter Hammill, alla luce del suo tributo Something Deep Within Me del 2016 (oltre alla sua presenza nell'altro tributo All Of Us Pilgrims, realizzato con i membri del gruppo Facebook The Top Of The World Club) e della sua vocalità indubbiamente influenzata da esso, a tratti davvero molto vicina anche a livello timbrico. Ma questo Someting More è diverso innanzitutto nella sua natura, essendo un album di brani nuovi. Certo, l'influenza "Hammilliana" si sente a tratti nella già citata impostazione vocale e non solo, come è normale che sia, ma non è affatto l'unica via intrapresa in un album veramente interessante.

Shortcut apre l'album e già mette in chiaro ciò che ci troveremo davanti nel resto dell'album: si parla della vita, delle domande che essa ci fa porre. Il brano, caratterizzato da ripetuti riff ritmici di chitarra ed un costante crescendo, mostra certamente la già citata influenza stilistica di Peter Hammill, così come la successiva When?. Ciò che ho notato però, se proprio bisogna fare confronti tra i due, cosa comunque non certo necessaria, è un gusto melodico più spiccato nello stile di Mikayel, cosa che ho molto apprezzato. When? si dimostra essere un brano certamente più oscuro e misterioso, parlando dei dubbi su quando precisamente qualcosa è iniziato ad andare storto in una data situazione. Ho davvero apprezzato molto l'atmosfera che è in grado di creare, non lontana da quella di un vecchio film, non saprei spiegare meglio. Pitfalls riesce ad essere ancora più oscura, oltre che uno dei miei brani preferiti dell'intero album. Gl incroci di piano e archi, l'interpretazione intensa di Mikayel, le sinistre dissonanze che appaiono a tratti, l'armonica: tutto è in perfetto equilibrio in questi quasi 9 minuti. Il risolutivo crescendo ci porta, senza alcuna pausa, alla successiva What You Are, brano decisamente più positivo e ritmico del precedente. Ho particolarmente apprezzato, in questo brano ma non solo, la scelta di lasciar respirare la musica, che mai risulta claustrofobica, ma neanche finisce per annoiare. Bellissimo il riff doppiato dalla voce poco dopo la metà del brano. Lo spaventoso rumore di un terremoto introduce The Crack In The Ceiling, altro brano molto intenso che parla proprio del trauma che un terremoto può causare. Qui piano e voce fanno da padroni, fino a che l'inaspettata ma azzeccata tromba di Rafael Tatencyan fa capolino rendendo il brano ancora più affascinante. Le successive Lake Of Gusts e 15 Minutes Will Do alleggeriscono un po' la tensione portandoci in territori più "pop" che, per quanto mi riguarda, sono i benvenuti. Lake Of Gusts in particolare mi è rimasta in testa tanto da ritrovarmi a canticchiarla più volte. Diciamo che si sente qui un'influenza Beatlesiana che non posso non apprezzare. Entrambe sono ottimamente suonate, cantate e riarrangiate, con tocchi di classe come ad esempio la distorsione sulla voce, la chitarra con il wah e gli inserti di violino di Rima Mirzoyan (che ritroveremo anche nelle ultime due canzoni) in Lake Of Gusts. Che dire poi di No More? A mio parere il brano centrale dell'album, ispirato dalla recente sequela di tristi addii a personaggi che ci hanno segnato la vita in diversi campi artistici e non. Bella melodia, ottimo arrangiamento, e davvero intenso il finale. Uno dei pezzi più commoventi che io abbia mai avuto il piacere di ascoltare. Se anche l'album finisse qui per me sarebbe un capolavoro, ma ecco Castles Of Clouds (in sleep paralysis) che con un colpo di coda porta l'album alla sua conclusione nel migliore dei modi. Un bellissimo brano con un che di malinconico ed una melodia che mi ricorda un po' lo stile di Ray Davies, ed il che è un'ottima cosa.

Cosa aggiungere? Senza dubbio l'album migliore del 2018 per me. Le canzoni sono tutte memorabili e ben scritte, gli arrangiamenti sempre ottimi, le performance, sia di Mikayel che dei musicisti coinvolti, anche. Stili variegati e generi musicali diversi fra loro riescono a convivere in equilibrio in un album che riesce comunque a mantenere una chiara e definita direzione. In ultimo ho molto apprezzato i testi, sicuramente non banali e che richiedono attenzione per essere compresi ed apprezzati.
Un 9 abbondante come voto per me.
Vi consiglio caldamente di andare ad ascoltarlo e, perchè no, a comprarlo qui su Bandcamp, perchè merita davvero molta attenzione.

lunedì 13 agosto 2018

The Alan Parsons Project - I Robot (1977) Recensione

Dopo un primo lavoro interamente dedicato alle opere di Edgar Allan Poe, ci fu l'idea di basare il secondo su I, Robot di Isaac Asimov. Purtroppo, a causa di alcuni problemi a livello legale, l'idea dovette essere ridimensionata: il titolo perse la virgola e le tematiche diventarono più generalmente basate sul rapporto uomo - robot perfettamente riassunto all'interno della copertina.
"I Robot ... La storia dell'ascesa della macchina e il declino dell'uomo, che paradossalmente è coinciso con la scoperta della ruota ... e avvertimento che la sua breve posizione dominante di questo pianeta probabilmente finirà, perché l'uomo ha cercato di creare il robot a sua immagine."
Musicalmente l'album segna un ulteriore spostamento verso territori più pop, differenziandosi in particolar modo dal precedente Tales Of Mystery And Imagination per l'assenza di una lunga parentesi strumentale nella seconda metà. Elemento comunque presente, ma in un certo senso meglio amalgamato nel tutto. Ovviamente il tutto inizia con la consueta introduzione strumentale, e subito è caratterizzata dal tipico stile tastieristico di Eric Woolfston, che da questo album in poi finirà per essere una delle colonne portanti del suono di questa band, oltre alle sue composizioni. La title track quindi introduce l'album in uno stile che ritornerà puntualmente in brani come Mammagamma, Sirius e The Golden Bug, tutti brani dove il tema principale viene ripetuto in modo ossessivo, ampliato, rigirato in vari modi, e si collega direttamente alla prima vera e propria canzone dell'album, oltre che il brano più famoso contenuto in esso. I Wouldn't Want To Be Like You non è tra i miei pezzi preferiti dell'APP, ma è importante in quanto esordio di Lenny Zakatek alla voce, presenza ricorrente nei lavori della band. Il brano deve molto alle sonorità disco/funk molto in voga a fine anni '70, e nonostante non mi abbia mai fatto impazzire, ammetto che contestualizzato nell'album ha un suo perchè. Discorso decisamente diverso per Some Other Time, una ballata tipica dello stile dell'APP veramente sublime, uno dei brani che più mi sono rimasti insieme alla simile (nel senso che anch'essa è una ballata, ma le similitudini si fermano qui) Don't Let It Show. Entrambi sono brani che, nella loro semplicità, elevano l'album portandolo in territori pop splendidamente arrangiati, dove strumenti orchestrali, chitarre e sintetizzatori convivono armoniosamente, legati da performance vocali sempre di altissimo livello. Nel mezzo c'è Breakdown a spezzare il ritmo, che se di per sé può sembrare un brano piuttosto semplice e canonico, ma una volta arrivati al finale non si può non rimanere a bocca aperta davanti all'entrata in scena di un imponente coro che volteggia, si intreccia, ed impone la sua presenza anche in un contesto a lui estraneo per natura. Da applausi.
The Voice è invece un brano che può colpire un po' di meno, sembrando semplicemente "un altro di quei pezzi poppettari alla APP", ma poi arriva la sezione centrale strumentale con battimani e intrecci di archi che tanto deve al classico Papa Was A Rolling Stone a farci ricredere. Un altro esempio di contrasti sonori e stilistici fatti meglio che mai. L'atmosferica e quasi spaziale Nucleus fa quasi da intermezzo ed introduce Day After Day (The Show Must Go On), ultimo brano cantato del disco. Un pezzo lento e malinconico che sembra quasi essere l'ultimo saluto dell'umanità prima del sopravvento dei robot. Sopravvento che sembra realizzarsi nella sinistra Total Eclipse, unico brano firmato da Andrew Powell dove coro ed orchestra si inseguono creando dissonanze oscure ed inquietanti. Senza alcuna pausa si collega Genesis CH 1 V. 32, magnifico ed epico brano conclusivo, di nuovo strumentale. Interessante notare come il versetto 32 nella Genesi non esista, e che quindi stia a significare una sorta di nuovo inizio, una continuazione del libro della Genesi, senza però spiegare se ad opera dei robot che hanno preso il sopravvento o degli umani sopravvissuti.

Indubbiamente uno dei migliori album dell'Alan Parsons Project, oltre che quello da me più sottovalutato per tanto tempo, fino a ricredermi in tempi recenti. Certo, fino almeno ad Eye In The Sky non sbagliarono (quasi) un colpo, ma l'equilibrio e la profondità raggiunta in I Robot è rara da trovare in altri loro lavori. Un 8,5 per me.

giovedì 9 agosto 2018

Led Zeppelin - Houses Of The Holy (1973) Recensione

Forse l'album più vario dei Led Zeppelin, si rivela anche essere il mio preferito. Sì, perchè pur amando gli altri loro lavori, trovo che qui ci sia più carne al fuoco, e anche i brani che normalmente verrebbero visti come "riempitivi" funzionano discretamente. Innanzitutto il blues è un vecchio ricordo, e questo è un primo punto a favore (non amo il blues, diciamo che lo tollero nel caso degli Zeppelin), e ciò lascia spazio sia a brani più maturi e personali, sia a esperimenti con vari gradi di riuscita. Innanzitutto l'inizio è devastante con The Song Remains The Same: un classico dal ritmo cavalcante che mostra per la prima volta molto bene "l'orchestra di chitarre" di Jimmy Page. Insomma, un modo di arrangiare varie sovraincisioni di chitarra incrociate fra loro (in questo caso sia a 6 che a 12 corde) che raggiungerà indubbiamente l'apice in Achilles Last Stand qualche anno dopo. E che dire della sezione ritmica di Bonham e Jones? Inarrivabile. Unico punto "debole", se proprio vogliamo andare a cercare il pelo nell'uovo, è la voce di Plant.
Per qualche motivo infatti in gran parte dell'album la sua voce suona come accelerata, più acuta, più stridula. I più maligni dicono che si trattò di un tentativo di mascherare la sua voce calante velocizzando il nastro, ma la realtà dietro ai motivi di questa scelta non si sa. Anche vero poi che, nello specifico caso di The Song Remains The Same, la voce è stata aggiunta dopo in quanto non prevista nell'idea originale del brano; motivo per cui può risultare forzata in alcuni punti. Discorso decisamente diverso per la successiva The Rain Song, un'anomalia nel catalogo di questa band, caratterizzata da un'atmosfera malinconica e dai riuscitissimi interventi di John Paul Jones al Mellotron. Notevoli le sequenze di accordi di Page, che dimostrano quale fosse il suo vero punto di forza quando confrontato con altri chitarristi contemporanei, e l'entrata ritmica molto intensa. Senza dubbio uno dei più bei brani dell'album e non solo. Questa doppietta di brani trovo che ci guadagni parecchio nella versione live di The Song Remains The Same. A tenere alto il livello ci pensa Over The Hills And Far Away, brano forse un pelo meno conosciuto dei precedenti, ma che grazie alla riuscitissima alternanza acustico-elettrica, riesce a tirare fuori il meglio della personalità della band. Anche qui bellissime parti di chitarra. La sezione centrale dell'album è forse quella meno "impegnativa", caratterizzata da quelli che si potrebbero definire divertissement. The Crunge ne è un primo, perfetto, esempio. Un funk che sembra quasi una parodia di James Brown, suonata in parte su un tempo dispari e con un divertente testo (molto probabilmente in gran parte improvvisato) che si conclude con Plant che continua a chiedere dov'è il bridge, sezione del brano che effettivamente manca. Un Bonham animalesco qui. Dancing Days pare un semplice brano quasi pop ad un primo ascolto, almeno finchè non si fa caso alle parti di chitarra, suonate con un'accordatura aperta e con accordi non certo comuni. Un brano forse un po' dimenticato ma godibile. D'yer Mak'er (che poi, dopo anni, ho scoperto che si legge Jamaica) è invece forse il pezzo più controverso, in quanto goliardico esperimento reggae, in linea con l'esplosione di quel genere di quel periodo. A me personalmente piace, e lo trovo anzi ben piazzato prima di quello che forse è il miglior brano dell'intero album. No Quarter mostra davvero la piena maturità dei Led Zeppelin, con un brano imponente, misterioso e dalle tinte psichedeliche.
Anche qui la voce di Plant è modificata, ma in senso opposto, rallentata. Un brano che raggiungerà vette inarrivabili in sede live, arrivando anche alla mezz'ora abbondante di durata nel tour del 1977, con un assolo centrale particolarmente esteso. Probabilmente però la miglior versione live, la più equilibrata, rimane quella dell'album The Song Remains The Same (attenzione, mi riferisco all'album originale del 1976, che sia nel film che nella versione del 2007 l'assolo centrale è tagliato). L'album si conclude con quello che forse è il pezzo più tipicamente "alla Zeppelin" dell'album, la coinvolgente The Ocean. Riff perfetto, voce acutissima per i motivi sopra citati, bel cambio sul finale; insomma un bel modo di chiudere l'album.
Curioso notare come la title track sia di fatto stata scartata e sia finita, un paio di anni dopo, nel successivo Physical Graffiti. Tra l'altro insieme ad un altro scarto delle sessions, Black Country Woman. Un ultimo scarto, Walter's Walk, finirà in Coda.
Quindi, se i primi due album dovevano molto al blues, il terzo al folk ed il quarto, nonostante vette irraggiungibili, ha brani che trovo dura sopportare (Four Sticks, Misty Mountain Hop), qui secondo me c'è un equilibrio sorprendente. Già nel successivo doppio Physical Graffiti ad esempio, anche se è un album che adoro e metterei al secondo posto, c'è una sovrabbondanza di materiale anche non memorabile, poi con Presence e In Through The Out Door c'è un evidente calo con solamente alcuni ottimi brani sparsi. Houses Of The Holy invece ci mostra una band affiatata, con una personalità ormai ben sviluppata in quattro anni di attività, una voglia di sperimentare più evidente che in altri lavori ed almeno quattro brani su otto che definirei capolavori. Il resto è "semplicemente" godibile e divertente, ed il che non guasta. Come voto si merita un 8,5.
E della copertina non ne parliamo? No, meglio di no va...

martedì 7 agosto 2018

Genesis - Live (1973) Recensione

Il primo live ufficiale dei Genesis è stato registrato nel bel mezzo del tour di Foxtrot, e si tratta senza dubbio di uno dei più veritieri documenti di questa band dal vivo. Sì, perchè tutti i successivi live, seppur validi quando non ottimi, sono indubbiamente stati rimaneggiati in qualche modo, come era ed è tutt'ora usanza molto diffusa nelle pubblicazioni dal vivo. Già Seconds Out ad esempio combina serate diverse, e non escludo qualche "correzione" in studio, mentre altri casi come Rainbow '73 o The Lamb dal vivo pubblicati nell'Archive 1967-1975 sono forse una delle più grandi tragedie che io abbia mai ascoltato: con tracce ri-registrate addirittura venticinque anni dopo (con un Gabriel dalla voce che all'improvviso diventa più "matura", un Hackett che in Firth Of Fifth ha un suono che non ha nulla degli anni '70, e storie di un Tony Banks che ri-registra l'assolo di The Cinema Show in studio negli anni '90 a velocità dimezzata per poi essere raddoppiata dopo). Sarà che sono un fanatico dei bootleg (ed in tal senso consiglio qualche ricerca a riguardo se si vogliono ascoltare concerti come effettivamente furono suonati), ma di un live perfetto ed aggiustato non so proprio che farmene... Soprattutto quando poi, parlando della versione live di The Lamb, ascoltando l'ottimo bootleg allo Shrine Auditorium (da cui è stato tratto il live ufficiale), proprio non si capisce la necessità di aggiunte e correzioni, oltre a poter constatare l'effettiva esistenza di It, che stando ai Genesis non era invece stata registrata ed è quindi sostituita da un inutile remix in studio nella release ufficiale (oltre che dei bis, direttamente eliminati dall'album con la medesima scusa).

Ma torniamo all'album in questione. Gran parte delle tracce furono registrate alla De Montford Hall di Leicester da Alan Perkins usando lo studio mobile Pye Mobile Recording Unit, ad eccezione di The Return Of The Giant Hogweed, registrata il giorno prima alla Free Trade Hall di Manchester.  Effettivamente questo live, se non fosse stato pubblicato ufficialmente, sarebbe molto probabilmente diventato un bootleg. Sì, perchè esso fu registrato per la trasmissione radiofonica King Bisquit Flower Hour (anche se non fu mai trasmesso), ed i bootleg di altre band tratti da analoghe registrazioni non si contano... Certo, la qualità audio ed il mix non sono dei migliori, ma non siamo neanche al livello di Earthbound dei King Crimson, ad esempio. Indubbiamente il difetto più grande è però l'assenza di Supper's Ready, brano certamente suonato ma scartato per motivi di spazio. In realtà alcune copie promozionali con Supper's Ready inclusa furono stampate in formato a doppio disco, ed immagino siano ormai praticamente introvabili o comunque pezzi dal valore inestimabile. Ciò che abbiamo è una scaletta comunque molto equilibrata, che ben rappresenta il lavoro dei Genesis fino a Foxtrot. Ed infatti fin dall'inizio viene dato spazio all'allora ultimo album con la doppietta Watcher Of The Skies e Get 'Em Out By Friday. Versioni molto fedeli alle originali, dove forse le uniche differenze riscontrabili sono nel ritmo rallentato di Watcher (immagino per facilitare Gabriel vista la velocità del cantato), e qualche piccola differenza nell'interpretazione da parte di Gabriel dei vari personaggi in Get 'Em Out, enfatizzando ulteriormente la sua natura teatrale. Tutti gli altri fanno il loro molto diligentemente, anche se mi sento di citare in particolare un Phil Collins innegabilmente più libero che in studio, che non si fa mancare passaggi improvvisati mai fuori posto.
The Return Of The Giant Hogweed invece ci mostra per la prima volta i Genesis con un marcia in più, specialmente nell'epico finale, qui ancora più devastante che in Nursery Cryme. Un discorso simile si può fare per The Musical Box, dove la sua natura fatta di contrasti è qui ancora più evidente grazie alla gran carica con cui vengono affrontate le parti più "ritmate". Dove però i Genesis superano sé stessi, a mio parere, è nella conclusiva The Knife. Già l'originale spiccava all'interno di Trespass, ma qui, complice sicuramente l'esperienza accumulata dopo averla suonata per praticamente tre anni, si raggiunge un livello ancora più alto. E gran parte del merito va senza dubbio a Steve Hackett che, senza nulla togliere al mai abbastanza celebrato Anthony Phillips, si lascia andare in un assolo lancinante che sembra quasi essere stato partorito da un Jimmy Page pre-eroina particolarmente ispirato.
Se devo essere sincero, questo è uno dei casi in cui i tanto criticati remix del 2007 migliorano non di poco la resa. Certo, bisognerà mandare giù l'inutile presenza di una manciata di tracce bonus dal vivo dal The Lamb rimaneggiato di cui sopra inserite a forza (soprattutto vista l'occasione mancata di aggiungere la tanto agognata Supper's Ready, ora che su CD di spazio ne hanno da vendere), ma di certo il suono ora è più definito, chiaro e potente.
Interessante ricordare la presenza, sul retro della copertina del disco in questione, di una bizzarra storia ad opera di Gabriel che attirò l'attenzione nientemeno che di William Friedkin, famoso per aver diretto L'esorcista. Friedkin infatti contattò poi Gabriel nel 1974, chiedendogli se fosse disposto a collaborare in un suo lavoro futuro, causando poi discussioni e problemi all'interno della band che fecero di fatto saltare tutto, oltre a creare una prima, significativa spaccatura fra Peter ed il resto della band che finirà per allargarsi nel tempo. Altra curiosità è la dedica a Richard MacPhail, amico della band e tour manager fino a quel punto, momento nel quale decise di rinunciare all'incarico. I Genesis quindi decisero di fargli una dedica sul retro dell'album, senza pensare che ai meno informati potesse sembrare una dedica ad un amico che se ne era andato. Nel senso più drastico del termine.
Quindi, concludendo, un live forse un po' sottovalutato e "perso" in mezzo a monumentali vinili multipli contemporanei (Yessongs, Welcome Back My Friends...), facendo quasi la fine del già citato Earthbound dei King Crimson, senza però suonare così tanto male. Personalmente ci sono affezionato, e se dovessi dargli un voto sarebbe intorno al 7,5. Arriverebbe all'8 abbondante se avesse anche Supper's Ready.



mercoledì 1 agosto 2018

Meat Loaf - Bat Out Of Hell II: Back Into Hell (1993) Recensione

Tempo fa parlai del primo "capitolo" di questo trio di album che tecnicamente, a parte il titolo, non hanno poi così tanto in comune. Ebbene sì, perchè l'uso del nome Bat Out Of Hell è sempre stato legato alla collaborazione tra Meat Loaf ed il compositore Jim Steinman, che in altri album del primo è spesso assente o limitata ad alcuni sporadici brani. Per questo motivo il terzo Bat Out Of Hell, con solamente sette canzoni su 14 firmate da Steinman, è sempre stato visto come meno "legittimo" dei due precedenti. Specialmente se si tiene conto che un album come Dead Ringer del 1981 è invece composto interamente da brani di Steinman, ed il pipistrello non fu scomodato...
Bat Out Of Hell II invece è considerato uno dei più grandi "ritorni" della storia della musica. Meat Loaf infatti, dopo l'enorme successo del primo Bat, ebbe problemi di voce che tardarono l'uscita del successore e di fatto fecero nascere una serie infinita di problemi legali e, di conseguenza, economici che condannarono tutti i suoi lavori degli anni '80 a passare sostanzialmente inosservati. Questo fino alla fine degli anni '80, quando Meat e Jim decisero di realizzare un altro album insieme, e di chiamarlo Bat Out Of Hell II: Back Into Hell. Steinman parla di una continuazione del primo, di un'espansione, mentre Meat giustifica la scelta del titolo dicendo semplicemente che avrebbe aiutato a vendere parecchie copie. E così effettivamente fu.
La lavorazione dell'album richiese anni, e personalmente la trovo curiosa come cosa. Perchè? Beh, perchè si tratta forse del primo eclatante esempio della tendenza di Jim Steinman di "riciclare" sue composizioni precedenti. Già nel suo album solista del 1981, Bad For Good, erano presenti Lost Boys And Golden Girls, Love And Death And An American Guitar (sezione recitata già eseguita in tour con Meat Loaf nel '77/'78 e qui reintitolata Wasted Youth), Out Of The Frying Pan (and Into The Fire) e Rock And Roll Dreams Come Through. Così come nell'album Original Sin degli Airbag del 1989 erano presenti Good Girls Go To Heaven (But Bad Girls Go Everywhere) e It Just Won't Quit. Ovviamente questi due album hanno fornito ulteriore materiale per album successivi, non ultimo Bat III.

Ma quindi Bat II, che in sostanza ha appena 4 brani nuovi, come mai è così tanto considerato?
Beh, semplice: perchè i brani nuovi sono ottimi, e gli altri sono nettamente superiori alle versioni precedenti, soprattutto grazie alle interpretazioni di un Meat Loaf qui all'apice delle sue capacità.
Una delle critiche più diffuse nei confronti di questo album riguarda l'eccessiva lunghezza e ripetitività dei brani, ma personalmente sono pochi i casi in cui avrei preferito che qualcuno avesse donato a Steinman il dono della sintesi. Ciò che si tende a dimenticare è che il suo stile di composizione non è totalmente in linea con il pop più mainstream. Se infatti i brani che scrive possono indubbiamente piacere e colpire praticamente ogni tipo di ascoltatore fin da subito, è anche vero che spiccano elementi esterni al pop, come la sua tendenza a grandiosità varie alla Wagner ed una teatralità che tanto deve al mondo dei musical. E forse sopratutto grazie a quest'ultimo aspetto si possono giustificare i ben 12 minuti della mega-hit I'd Do Anything For Love (But I Won't Do That), pezzo di apertura e una delle parentesi più riuscite dell'intero lavoro. Perchè personalmente non trovo eccessiva la sua durata e le ripetizioni del tema, percependole anzi come funzionali al pezzo e, complice il riuscitissimo arrangiamento, lo trovo molto scorrevole. A tal proposito, molta gente ancora non ha capito cos'è il "that" che Meat Loaf non farebbe per amore, dimostrando come spesso il grande pubblico abbia la capacità di attenzione di un pesce rosso. Basterebbe ricordarsi le parole di appena una ventina di secondi prima...
Ad esempio:

"And I would do anything for love
I'd run right into hell and back
I would do anything for love
I'll never lie to you and that's a fact

But I'll never forget the way you feel right now
- Oh no -
- No way -
And I would do anything for love
But I won't do that."

Dove "that" = "I'll never forget the way you feel right now". Applicatelo a tutte le ripetizione del tema, dove la frase in questione cambia ogni volta, e avrete la vostra risposta. L'idea di chiudere il brano con un duetto in botta e risposta è un altro esempio di quanto il teatro ed i musical abbiano un peso in queste composizioni.
Un Meat Loaf da applausi che tira fuori gli artigli anche nella successiva Life Is A Lemon And I Want My Money Back che, se si esclude la lunga ed un po' inutile coda strumentale, è un gran bel brano potente e carico di humour, soprattutto nella parte centrale dove si elencano tutte le cose "difettose" nella vita: dalla scuola agli amici, dalla famiglia al sesso, dal lavoro all'infanzia.

Rock And Roll Dreams Come Through e It Just Won't Quit sono invece due brani un po' più semplici che calmano le acque e si fanno apprezzare, in particolar modo la prima, che ha un che degli ELO nell'uso dei cori a mio parere, cosa alquanto gradita. Out Of The Frying Pan (And Into The Fire) è invece uno dei brani che preferisco in assoluto in questo album: un brano carichissimo in tutti i suoi sette minuti e mezzo di durata e che, nonostante la sua struttura a grandi linee piuttosto convenzionale, lascia spazio al ritornello dopo ben più di 3 minuti. Cosa certamente non comune nel pop, dove anzi è dimostrato che più si va avanti nel tempo e prima arriva il ritornello, perchè molta gente non ha più pazienza in nulla.
Objects In The Rear View Mirror May Appear Closer Than They Are è lunga quasi quanto il suo titolo e si dimostra essere una commovente ballata che parla di ricordi, di eventi traumatici che continuano ad assillare il protagonista. L'interpretazione di Meat Loaf è senza dubbio una delle sue migliori. E anche qui, certo dieci minuti sono tanti, ma non li ho trovati affatto eccessivi. Il monologo di Steinman Wasted Youth è, come anticipato, qualcosa che si portava dietro già da parecchio, e segue un po' la tradizione, iniziata con il primo Bat, di avere un intermezzo recitato (lì era prima di You Took The Words Right Out Of My Mouth) da qualche parte.
Personalmente, nonostante apprezzi l'umorismo che gli anglofoni definirebbero "tongue in cheek" e l'esagerazione volutamente quasi pacchiana del tema del rock e della chitarra, credo che finisca per spezzare un po' troppo il ritmo dell'album. Ritmo che comunque riprende con gli interessi in Everything Louder Than Everything Else, altro grande pezzo che riprende anche il tema della "wasted youth" del brano precedente (a wasted youth is better by far than a wise and productive old age!), e lo fa con una potenza che rende decisamente giustizia al titolo. Da qui l'album inizia in un certo senso la sua parabola discendente con Good Girls Go To Heaven (Bad Girls Go Everywhere), pezzo comunque molto bello ma che soffre un po' la grandezza ed epicità del precedente. L'intermezzo strumentale Back Into Hell ci accompagna poi alla chiusura con Lost Boys And Golden Girls, che non avrà la forza e l'impatto di una For Crying Out Loud ma che sa chiudere l'album in modo ottimo, dimostrandosi come l'ennesimo piccolo gioiello a firma Steinman con un Meat Loaf al meglio del suo tipico tono più enfatico.

Settantacinque minuti sono tanti per qualunque album, ed indubbiamente anche qui ci sono luci ed ombre, brani decisamente più necessari e memorabili di altri, ma le già citate luci sono talmente accecanti da illuminare anche le zone più buie. Il primo Bat Out Of Hell rimarrà sicuramente nella storia ben più del secondo, ma se lì la perfezione fu raggiunta combinando rock and roll e teatro, qui si ha forse una delle migliori rappresentazioni dello Steinman più raffinato e, in un certo senso, ricercato. Sono pochi i brani "semplici" qui, al livello di una All Revved Up o una You Took The Words Right Out Of My Mouth; qui c'è una montagna di musica che ci viene rovesciata addosso e che, nonostante la sua natura universale e non ostica, può essere difficile da digerire e può richiedere tempo. Personalmente, ora come ora lo metto quasi alla pari del primo. E di conseguenza avendolo giù recensito qui, do anche lo stesso voto: 8,5.