sabato 15 agosto 2020

Deep Purple - WHOOSH! (2020) Recensione

Dopo l'uscita di InFinite nel 2017, nessuno si aspettava di veder arrivare altri album dai Deep Purple. Tutti parlavano di ultimo album, ultimo tour, vari acciacchi dettati dall'età, e ciò spinse il sottoscritto ad apprezzare quasi forzatamente InFinite, in quanto possibile ultimo capitolo della loro storia. Attenzione, ciò non significa che si tratti di un brutto album, anzi, brani come Time For Bedlam, All I Got Is You, The Surprising e Birds Of Prey sono tra le loro cose migliori degli ultimi anni e non solo, ma è inutile negare che parte del resto, come Get Me Out Of Here, On Top Of The World e, soprattutto, la conclusiva e discutibile cover di Roadhouse Blues, non era propriamente all'altezza del resto. E in un album che supera di poco i 40 minuti, significa più di un quarto...

Quindi, che aspettative ci potevano essere all'annuncio di un altro album? Sinceramente non saprei rispondere, ma il primo singolo Throw My Bones mi ha dato una discreta fiducia, rafforzata poi da Man Alive e, qualche mese dopo, da Nothing At All, indubbiamente uno dei maggiori capolavori dei Deep Purple moderni. Ed eccoci finalmente al ventunesimo album di questa leggendaria band, il settimo con Steve Morse, il quinto con Don Airey, il terzo con Bob Ezrin alla produzione, ed il primo pubblicato nella sesta decade di attività dei Deep Purple. 

Diciamocelo, nel primo periodo con Airey, con Michael Bradford alla produzione, i Purple erano in caduta libera; Bananas e Rapture Of The Deep sono buoni album prodotti in modo pessimo che hanno portato la band alla stregua dell'underground, per di più con l'aggravante dell'età che avanzava. Quando uscì Now What?! nel 2013, il loro primo album con alla produzione Bob Ezrin, la musica cambiò, letteralmente. Seppur con un paio di riempitivi di troppo, Now What?! è tutt'ora uno dei migliori album del periodo post-Blackmore, lassù con Purpendicular, ed i risultati in classifica lo dimostrarono. InFinite continuò il trend quattro anni dopo, seppur con un album in leggero calo generale come detto, e nonostante le già citate affermazioni sul ritiro, WHOOSH! vede la luce tre anni dopo. Con un titolo, stando a Roger Glover, ispirato da una battuta di Fawlty Towers riferito alla velocità con cui tutto passa, (la citazione vera e propria sarebbe "zoom! What was that? That was yout life, mate!") ed una scaletta curiosamente divisa in due atti, ci troviamo di fronte, a parere di chi scrive, al miglior album di quest'ultima fase della band. Tutti gli elementi che hanno funzionato nei due pur ottimi album precedenti sono stati qui affinati (dalle backing track realizzate live in studio dall'intera band, alle tendenze verso un sound più grandioso e meno schiavo dei cliché nati con Smoke On The Water e Highway Star), ma per qualche motivo il tutto qui è proposto con più energia, idee più solide ed un ritmo perfetto dettato da una stupenda ed equilibrata tracklist. Difficile trovare brani ascrivibili al ruolo di riempitivo (anche se la bonus track Dancing In My Sleep e All The Same In The Dark tendono ad avvicinarcisi) in quanto l'ordine delle tracce sembra fatto apposta per riaccendere l'interesse proprio nel momento in cui sta per affievolirsi. Largo spazio a Don Airey in ogni brano, spesso in contrapposizione ad uno Steve Morse più riservato e melodico del suo solito, un po' su insistenza di Ezrin, un po' per i problemi al polso che lo affliggono da qualche anno. Gillan fa il suo senza strafare, come ormai ci ha abituati da almeno una decina di anni, e scrive una serie di bellissimi testi pieni di divertenti ed intelligenti giochi di parole. Ed è inutile dire che la sezione ritmica di Paice e Glover non delude affatto, regalando sempre performance di altissimo livello. 

Ma le canzoni? Beh se avete ascoltato i due album precedenti probabilmente nulla vi sarà completamente nuovo, specialmente i brani più strettamente hard rock come Throw My Bones, Drop The Weapon  o No Need To Shout, in quanto classici brani guidati da consueti riff, ma il discorso cambia ad esempio con Nothing At All, che con i suoi intrecci di organo e chitarra rimanda ai primissimi Deep Purple ma allo stesso tempo suona moderna. E che dire dell'oscuro valzer di Step By Step, tra le composizioni più complesse dell'album, o della cavalcata a la Hard Lovin' Man di The Long Way Round, o il perfetto trio di composizioni collegate fra loro nella seconda metà dell'album: The Power Of The Moon, Remission Possible e Man Alive... Queste tre in particolare sono tra le cose più ambiziose partorite dalla band in questi ultimi anni, un po' più lontane dai loro tipici cliché sonori, come lo fu The Surprising nell'album precedente, per di più con un Morse indiavolato nel breve strumentale Remission Possible, alla faccia degli acciacchi! In chiusura, prima della già citata bonus track, a sorpresa fa la sua apparizione And The Address, nuova versione del brano di apertura di Shades Of Deep Purple, primo album della band. Che sia un messaggio? Ci troviamo davvero di fronte all'ultimo album dei Deep Purple questa volta? Immagino che lo scopriremo nei prossimi anni; di certo se così fosse WHOOSH! sarebbe un commiato ben più appropriato del precedente InFinite, e se non fosse, beh, tanto meglio! A parte tutto, è veramente difficile trovare artisti di questa età ancora in grado di proporre album di questo livello, e di riguadagnarsi un successo ed una rilevanza che sembrava essersene andata allo scoccare del 2000. Un plauso a tutta la band e a Bob Ezrin per un altro signor album.

Consiglio di acquistare la versione con il DVD bonus, in quanto contiene un'ora di video con Roger Glover e Bob Ezrin che parlano dell'album, e l'intero concerto all'Hellfest del 2017, ad ora unico video del tour di InFinite.