giovedì 26 aprile 2018

Queen - A Night At The Opera (recensione)

Ho pensato, in occasione del mio compleanno, di parlare un po' di quello che potrebbe tranquillamente essere  uno dei miei album preferiti di sempre, oltre che uno dei più importanti per la mia formazione musicale.
Io sono letteralmente cresciuto con i Queen, fin da che ho memoria ricordo le cassette di Greatest Hits 1, Innuendo e Sheer Heart Attack in rotazione, seguite poi da Made In Heaven comprato all'uscita e tutti gli altri album man mano. Grazie a loro ho sviluppato una concezione di album in cui è totalmente normale ed accettabile l'alternanza di "generi", tanto da non permettermi di sviluppare una chiara concezione di essi fino a molto più tardi. Quando infatti mi capitava di ascoltare altri album, di chiunque fossero, rimanevo sempre stupito da come la musica non cambiasse, da come il tutto rimanesse all'incirca sulla stessa direzione, simili suoni, canzoni prevedibili, poche sorprese. Negli anni capii che quella è la normalità e i Queen l'eccezione, ma allora credevo l'esatto contrario, e ciò mi spinse alla ricerca di band ed album dal simile approccio, scoprendo poi il progressive, che però soddisfaceva il mio desiderio di "stranezze" e particolarità senza però essere mai totalmente imprevedibile alla lunga (e quando una band prog decide di cambiare, non facendo più le solite suite con i soliti tempi dispari ed il solito mellotron, si svende, vero fan dei Genesis?). Ovviamente poi scoprii gli Sparks, riacquistando un po' di fiducia, ma questo è un altro discorso.
Sono tanti gli album dei Queen che avrei potuto prendere come esempio, ma ho deciso di andare sul sicuro con quello che forse è il più rappresentativo. L'album di Bohemian Rhapsody insomma, e cosa si può ancora dire su questo brano che già non sia stato detto? Niente suppongo, se non che fin da prima che iniziassi a parlare, stando ai racconti dei miei genitori, mi mettevo a ridacchiare ogni volta che si arrivava alla parte operistica centrale. Beh, avevo dei buoni gusti ai tempi! Questo pezzo è la perfezione fatta canzone: tutte le sue parti, apparentemente con nulla in comune, si susseguono in modo perfetto, non forzato. Ed è anche la dimostrazione del fatto che una canzone, anche se di base piuttosto complessa, se ben concepita e realizzata può arrivare ad un larghissimo pubblico. O perlomeno poteva, oggi ho qualche dubbio... Sia sul fatto che possa essere realizzata, sia sul pubblico. Ma l'album non è solo Bohemian Rhapsody! Ed è chiaro fin dall'apertura con Death On Two Legs, che dopo la magnifica ed oscura introduzione diventa un arrabbiatissimo brano dedicato ad un ex-manager (tale Norman Sheffield) che pare non abbia trattato benissimo la band. Gran bel riff, testo velenosissimo, ed uno dei migliori pezzi de Queen.
I toni hard rock ritornano nella curiosa Sweet Lady e nella roboante I'm In Love With My Car, dove Roger Taylor ruggisce un testo carico di doppi sensi. Ci sono poi due brani dove è Brian May ad essere sotto i riflettori anche come cantante: lo space-country di '39, con un gran bel testo fantascientifico, e la quasi dimenticata Good Company, di cui consiglio a tutti l'ascolto per ammirare l'incredibile lavoro di May con innumerevoli tracce di chitarre sovraincise a creare una intera sezione fiati. E poi i divertissement puramente "mercuriani" di Lazing On A Sunday Afternoon e Seaside Rendezvous, che ci riportano indietro nel tempo tra vaudeville e anni '20. C'è anche la piccola parentesi pop di You're My Best Friend, primo brano di rilievo scritto dal bassista John Deacon, e la deriva quasi progressive di The Prophet's Song: 8 minuti abbondanti tra hard rock e sperimentazioni vocali con il delay in stereo. Pura epicità per un brano che è tra i migliori della loro intera discografia. E quale modo migliore di chiudere l'album se non con un riarrangiamento dell'inno inglese realizzato, di nuovo, con un mare di tracce di chitarra?
Praticamente tutti gli album anni '70 dei Queen meritano almeno un ascolto, ed il mio consiglio per chiunque è di non fermarsi alle "hit", ma di esplorare la loro intera discografia, che non ne rimarrete di certo delusi. In A Night At The Opera i Queen raggiungono uno dei loro picchi, oltre che uno dei loro primi successi veri e propri. Un album che non smette mai di regalare nuovi particolari che sembrano sempre sfuggire ad ogni ascolto. Non riesco a trovargli difetti, e per questo meriterebbe un 10 come voto, ma siccome la perfezione non esiste, facciamo un 9,5.

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