lunedì 25 ottobre 2021

Circulatory System - Mosaics Within Mosaics (2014) Recensione

Dopo l'incredibilmente denso SIGNAL MORNING, uscito nel 2009 tra numerose difficoltà (ne ho parlato qui), dovettero passare altri cinque anni per poter ascoltare il terzo, e ad oggi ultimo, album dei Circulatory System, un ritorno al formato doppio, proprio come l'incredibile ed irripetibile esordio datato 2001. 

Tra l'uscita del secondo album e quella del terzo hanno fatto in tempo a riunirsi gli Olivia Tremor Control, ad andare in tour per un paio di anni, pubblicare un singolo e lavorare ad un nuovo album, purtroppo ad oggi ancora inedito. L'inaspettata ed improvvisa morte di Bill Doss ha causato un ovvio cambio di piani, e così Hart tornò ai suoi Circulatory System, dedicando a Doss questo MOSAICS WITHIN MOSAICS.

I musicisti coinvolti sono a grandi linee gli stessi degli album precedenti, così come i numerosi ospiti, tutti parte della grande famiglia che è l'Elephant 6. Di nuovo, l'album è costruito intorno ad una moltitudine di frammenti ad opera di Will Hart, spesso di natura casalinga, sia recenti che risalenti a chissà quanti anni prima, poi in alcuni casi rivisti in un arrangiamento più "di gruppo". L'album, come detto, si può considerare come doppio per via della sua durata di circa un'ora, e la suddivisione delle tracce su quattro ideali "lati" è lì a testimoniarlo. L'impressione ad un primo ascolto, specialmente se confrontato al precedente SIGNAL MORNING, è quella di un lavoro più "disteso", con tutti gli elementi sonori familiari, ma laddove nel precedente il tutto sembrava essere sovrapposto, qui ha più respiro. La quantità di idee musicali è comunque impressionante, ma non si ha più l'impressione di dover "scavare" tra decine e decine di tracce (comunque presenti) per scoprire l'ennesima trovata che all'ascolto precedente era sicuramente sfuggita, tanto era alta la densità. Beninteso, la raffica di frammenti musicali tipici dei Circulatory System è presente anche qui, ma con un fare più "rilassato", con meno urgenza e più atmosfera. 

La produzione è, come sempre, spettacolare, e anzi guadagna qualche punto in chiarezza rispetto al precedente, pur mantenendo quel suo tipico, precario ma quasi magico, equilibrio tra lo-fi e hi-fi. Sparsi per tutto l'album ci sono otto "Mosaics", intermezzi di varia natura (che tra l'altro, se si inserisce il CD in un computer, alcuni programmi mostreranno titoli per ognuno di essi non presenti da altre parti) che vanno dal "semplice" collage sonoro (Mosaic #4) a magnifiche sezioni corali (Mosaic #1). Tra l'altro, parlando di sezioni corali, le armonie vocali sono più presenti che mai in questo album, e aggiungono ulteriore colore al tutto, anche in modi inaspettati a volte. 
I singoli frammenti musicali che compongono l'album non hanno nulla da invidiare ai lavori precedenti, e anzi spesso mostrano un'ancora maggiore sensibilità melodica, come ben testimoniato fin da If You Think About It Now, da Tiny Planes On Canvas o da When You're Small. I ritmi sono spesso lenti, sonnecchianti, seppur spesso con un andamento tipicamente marziale, tipico di certa musica ispirata al pop anni '60. E proprio prendendo ispirazione dalla musica di quell'epoca, specie dal sunshine pop, ecco che fanno capolino anche influenze jazz nella costruzione armonica di brani come Over Dinner The Cardinal Spoke e Aerial View of a Heart (from Above). E seppur sia facile, perlomeno in superficie, percepire una maggiore oscurità rispetto al passato, specie in brani come It's Love e Open Up Your Lives, si tratta, appunto, di una prima impressione, in quanto il tutto inserito nel proprio contesto (e quindi visto come, appunto, un mosaico musicale, dove però il tutto scorre naturalmente e senza scossoni) dà più il senso di una serena meditazione. Indubbiamente alcuni brani spiccano particolarmente, come Stars And Molecules, piccolo capolavoro pop, o Conclusions, mentre il finale è da applausi, con la marziale Bakery Spires, Night Falls e la trionfale e terribilmente breve Elastic Empire Coronation che sfuma lentamente e se ne va come la fine di un sogno in dormiveglia, in cui non sai bene cosa è o è stato realtà e cosa no.

Come ormai di consueto, la quantità di idee musicali "bruciate" in pochi secondi lascia a bocca aperta, tanto che chiunque da una sola di quelle idee ci farebbe chissà quante canzoni (tipo i sopravvalutati Oasis), e se ci si concentra a far caso ad ogni singolo particolare l'effetto è a volte stordente, ma mai difficile, ostile, sempre piacevole all'ascolto, come solo il miglior pop sa essere. Hart e compagni si confermano ulteriormente come una delle realtà musicali più interessanti e sottovalutate degli ultimi vent'anni, infinitamente più sostanziose di grandissima parte delle band definibili "neo-psichedeliche", anche se questa definizione andrebbe abbastanza stretta agli album dei Circulatory System. C'è qualcosa in questi album (e in quelli degli Olivia Tremor Control, seppur con qualche differenza) che non è possibile trovare altrove; non è semplice emulazione di un genere, è un genere a sé, con caratteristiche estetiche del pop psichedelico, ma tanto, tanto altro al suo interno. Fatevi un favore ed esplorate la loro discografia, non ve ne pentirete. Nel frattempo, chissà se prima o poi potremo ascoltare il fantomatico terzo album degli OTC...