sabato 25 gennaio 2020

Elton John with Ray Cooper - Live From Moscow 1979 (2020) Recensione

A 41 anni dagli storici concerti in Russia di Elton John e Ray Cooper, finalmente le registrazioni della celebre ultima data vedono un'uscita ufficiale. In realtà già lo scorso anno, per il quarantesimo anniversario, questo stesso album fu pubblicato in edizione limitata in vinile per il Record Store Day, ma solo ora ce lo si può godere anche in CD e sui siti di streaming.
Il concerto in questione, l'ultimo del tour in Russia, è leggendario sia per il suo valore storico (stiamo pur sempre parlando dell'Unione Sovietica nel 1979 che accoglieva un artista che si era dichiarato gay appena un paio di anni prima) che per l'effettiva performance dei due, i quali pur senza il supporto di una intera band riescono a coinvolgere come pochi. Il tutto fu trasmesso ai tempi dalla BBC e negli anni è diventato, di conseguenza, uno dei più famosi bootleg. Nella prima metà del concerto troviamo il solo Elton al piano (sia acustico che elettrico) e alla voce, nel pieno del suo apice espressivo in entrambi i ruoli, mentre nella seconda metà, introdotta da Funeral For A Friend, ecco quel mattacchione di Ray Cooper entrare ed intrattenere tutti con il suo eclettico approccio alle percussioni e, talvolta, anche al piano. La scaletta copre molti dei successi degli anni '70 senza però farsi troppi problemi a ripescare qualche vecchia chicca, proponendo una cover mozzafiato di I Heard It Through The Grapevine che sfiora i 12 minuti e concludendo il tutto con un lungo medley frenetico di Saturday Night's Alright For Fighting, Pinball Wizard, Crocodile Rock, Get Back e Back In The U.S.S.R.
Un concerto che senza dubbio si conferma essere tra i migliori della carriera di Elton John e che è un piacere veder pubblicato ufficialmente.
Ora veniamo alle note dolenti. Questo album contiene 16 canzoni e dura un'ora e trentasette minuti. Il concerto originale, come di conseguenza il broadcast radiofonico ed il bootleg, contava invece 27 canzoni per una durata che andava ben oltre le due ore e un quarto. Non ci sono cambi repentini di qualità di registrazione (tra l'altro qui rimasterizzata da Bob Ludwig e con una resa certamente più piacevole all'ascolto ma non certo radicalmente diversa dal bootleg) che possano aver spinto qualcuno a tagliare questo o quel brano. Se poi vediamo i brani esclusi si può pure capire i casi in cui tale decisione ha colpito brani non certo famosi come Ego, Roy Rogers e I Think I'm Going To Kill Myself, ma il tutto diventa incomprensibile quando si nota l'esclusione dell'apertura del concerto con Your Song o la frenetica Part Time Love con un carichissimo Ray Cooper.
Anzi, facciamo così, eccovi nel dettaglio tutti i brani esclusi:
Your Song, Sixty Years On, Roy Rogers, Ego, Where To Now St.Peter, He'll Have To Go, Idol, I Think I'm Gonna Kill Myself, I Feel Like A Bullet, Part Time Love, Song For Guy. Insomma molti dei più interessanti suonati quella sera.
Detto questo, uno potrebbe chiedersi il perchè di questa decisione, e ahimè credo sia presto detto: il vinile. Come detto precedentemente, questo Live From Moscow ha visto la luce lo scorso anno in edizione limitata per il Record Store Day in vinile, e se si considera una durata media dai 40 ai massimo 50 minuti per disco, la si moltiplica per due, si ha proprio l'ora e 37 minuti di durata di questo album. Insomma quelli che erano limiti di spazio decenni fa e che si erano finalmente superati grazie all'avvento dei CD, ecco che ritornano per adattarsi all'insensata moda di questi anni che ha sancito il ritorno di questi abnormi oggetti. La cosa curiosa è che se ciò poteva aver senso per il Record Store Day (anche se un vinile tirplo poteva risolvere ogni problema), ora che l'album esce anche in CD e sulle piattaforme streaming, perchè mantenere quello stesso formato? Forse per non far sentire "truffati" coloro che lo acquistarono nel suddetto giorno? Beh ma guardate che far uscire qualcosa in edizione limitata e poi farlo di nuovo uscire un anno dopo normalmente può comunque far sentire un tantino truffati... Ma d'altronde se compri le uscite del RSD un pochino te la cerchi anche, dai.
E la cosa che più mi fa imbestialire è che tra chi ha recensito questo album NESSUNO ha parlato dei grossi tagli, con l'apice di uDiscover che addirittura parla del "broadcast di 16 brani", in un impeto di revisionismo e paraculaggine atto ad elogiare questa uscita senza se e senza ma. E poi magari si vuole anche far credere che il mondo della critica musicale abbia ancora qualche ruolo oltre a quello della più piatta promozione, ovviamente pagata.
Questo concerto meriterebbe molto di più. Meriterebbe innanzitutto di essere pubblicato rimasterizzato per intero, e poi, perchè no, magari inserirlo all'interno di un cofanetto con il famoso video To Russia With Elton, possibilmente rimasterizzato a sua volta e, se possibile, ampliato. Chiedo troppo in tempi in cui diversamente i cofanetti escono a ritmi insostenibili?
Così com'è, Live From Moscow è una bella occasione sprecata, oltre che vittima dei limiti del vinile, cosa inconcepibile nel 2020.
E fu così che si tornò ad ascoltare i bootleg (che tra l'altro linko qui sotto)...


mercoledì 15 gennaio 2020

Deep Purple - I Migliori Album Live

I Deep Purple sono forse una delle band più celebrate per le loro performance live, spesso anche solo avendo in mente il mitico Made In Japan. Anche vero però che sarebbe alquanto limitativo pensare solamente a quell'album nel momento in cui si vuole ascoltare questa band live, specialmente alla luce del fatto che, a differenza di altri gruppi ugualmente o più famosi, i Deep Purple non si sono fatti problemi a pubblicare decine di live di ogni epoca. Certo, uno potrebbe anche qui interessarsi ai bootleg come si fa tutt'ora con band come i Led Zeppelin, ma diciamo che a differenza loro in questo caso la curiosità può essere ampiamente saziata rimanendo negli ambiti dell'ufficialmente pubblicato.
Ben sapendo, però, che l'elenco di pubblicazioni di questo tipo è decisamente vasto, ho pensato di fare qui una sorta di elenco comprendente quelle degne di nota più o meno in ordine cronologico, illustrandone contenuto e motivi di interesse.

Live At Inglewood 1968 


L'unico vero e proprio live della cosiddetta Mark I, la formazione che, oltre a Ritchie Blackmore, Ian Paice e Jon Lord, comprendeva Rod Evans alla voce e Nick Simper al basso. Purtroppo la qualità audio non è il massimo, in quanto frutto di una registrazione effettuata da un solo microfono, ma, anche se per puro interesse storico, è un ascolto imprescindibile. La scaletta ovviamente va a coprire i loro primi due album, cover comprese, e dura circa 50 minuti, in quanto si tratta di una data in supporto ai Cream, allora al loro tour d'addio. Esiste anche il video, seppur di bassa qualità.

BBC Sessions 1968 - 1970 (2011)


Una interessante e godibile raccolta di registrazioni effettuate per la BBC, con brani sparsi che vanno dalle origini fino ai tempi di In Rock, con anche qualche brano inedito. Alcune canzoni sono effettivamente live in studio, ma molte sono semplicemente come le originali solamente remixate. Motivo di interesse è la presenza di brani come Hey Bop A Re Bop (versione primordiale di The Painter), It's All Over, Ricochet (prima versione di Speed King), Jaw Stew, Grabsplatter, oltre ad interessanti versioni di brani altrimenti raramente suonati live, come Hard Loving Man.

Concerto For Group And Orchestra 1969


Ufficialmente la prima pubblicazione della Mark II con i nuovi arrivati Ian Gillan e Roger Glover (se si esclude il singolo Hallelujah), ovviamente si tratta di qualcosa di profondamente diverso da quella che è la tipica immagine della band, nonostante negli anni sia diventato un album leggendario. Interamente composto da Jon Lord, il Concerto fu certamente apprezzato dai compagni di band, ma era palese la mancanza di voglia in quel momento, visto soprattutto che l'attenzione era rivolta alla lavorazione di In Rock, che certamente era più in linea con l'immagine dei Deep Purple che si voleva dare al pubblico in quel momento. Al di là di tensioni nella band e con i musicisti dell'orchestra, il risultato è magnifico, e se si trova la più recente edizione a 2 CD, ci si può godere una manciata di brani suonati prima dalla sola band: Hush, Wring That Neck e la neonata Child In Time.

Live In Montreux 1969 


Meno di un mese dopo il Concerto, per motivi ignoti, si è deciso di registrare questo concerto a Montreux. Quando il nastro fu ritrovato infatti nessuno seppe il motivo per cui si effettuò quella registrazione, tra l'altro mixata sul momento e quindi non remixabile. Misteri a parte però è davvero interessante ascoltare una scaletta intera di questo particolare periodo di transizione, dove convivono in scaletta brani come Hush, Kentucky Woman e cose nuove non ancora ben definite come Speed King e Child In Time, unite ovviamente alle lunghe improvvisazioni di Wring That Neck e Mandrake Root. Interessante poi come, da qui al 1971, l'assolo di batteria di Ian Paice venisse introdotto da una versione strumentale di Paint It Black dei Rolling Stones. La qualità audio non è eccelsa ma comunque godibile.

BBC In Concert 1970


Spesso venduto in confezione doppia insieme a quello del 1972 (che vedremo più avanti), si tratta di un'altra registrazione alla BBC, questa volta però per il programma radiofonico "In Concert". In questi casi di solito non si registravano una manciata di pezzi da mandare in onda come era uso fare negli anni '60 (senza contare i casi in cui si mandavano pezzi in studio remixati), ma si suonava dal vivo per circa un'ora o più. Sono infatti tanti i casi di band ora leggendarie le cui registrazioni per "BBC In Concert" sono girare come bootleg per decenni fino alla definitiva pubblicazione ufficiale. I Deep Purple non sono da meno, ed in questa registrazione del 1970 si limitano a 4 pezzi ben noti a chi seguiva i loro concerti all'epoca: Speed King, Child In Time, Wring That Neck e Mandrake Root. Le performance sono piuttosto pacate e rilassate se confrontate con altre registrazioni dell'epoca, ma si tratta comunque di un ascolto interessante.

Live in Stockholm - Scandinavian Night 1970


Uscito con il titolo Scandinavian Night nel 1988 con una scaletta rimescolata per accomodare i limiti del vinile e ristampato negli anni come Live In Stockholm e scaletta aggiustata, si tratta senza dubbio di una delle uscite live più importanti dei Deep Purple. Due ore di scaletta, improvvisazioni infinite ed incredibilmente creative, tutti al massimo della forma, cosa si può volere di più? Senza dubbio la miglior rappresentazione di questa fase in un certo senso ancora transitoria, ma probabilmente la più devastante in quanto ad esecuzioni fragorose e senza freni. Consigliata l'edizione del 2014 con l'aggiunta in DVD dei 25 minuti di Doing Their Thing. Se volete un solo altro album live oltre a Made In Japan, considerate questo.

Live in Long Beach 1971


Per anni è circolato in bootleg e solo recentemente ha visto luce in veste ufficiale, con un suono ripulito per quanto possibile. Di supporto ai Faces e quindi con scaletta ridotta a circa un'ora e un quarto, questo live è decisamente importante in quanto l'unico datato 1971. La scaletta comprende solamente quattro brani, di cui tre ben noti e senza enormi novità, ma con l'importante aggiunta di una Strange Kind Of Woman che già ai tempi veniva ampliata dal divertente duello voce-chitarra di Gillan e Blackmore, che qui sembrano divertirsi decisamente di più di quanto faranno successivamente, quando questa sezione diventerà più formulaica, come già in Made In Japan. Qui c'è più libertà, meno organizzazione, ed è proprio questo il bello. Il mix tende a dare fin troppo spazio alla voce, che spesso sovrasta gli strumenti (specialmente in Child In Time), ma se si sorvola su questo aspetto, ci si può godere un ottimo live.

BBC In Concert 1972


Spesso venduto in coppia con l'analogo concerto del 1970 di cui abbiamo parlato poco fa, nonostante le molteplici pubblicazioni del 1972 questa ha una manciata di motivi che la rendono degna di attenzione. Innanzitutto l'audio è ottimo, anche se forse la batteria è un po' bassa di volume, e poi i Deep Purple erano qui nel pieno della promozione dell'allora nuovo di zecca Machine Head, motivo per cui trovano spazio in scaletta anche Never Before e Maybe I'm A Leo, cosa più unica che rara. Questi brani infatti verranno scartati da lì a poco, riesumando l'allora momentaneamente esclusa Child In Time e The Mule, con l'assolo di Ian Paice, al loro posto. C'è da dire che si nota che questi pezzi, così come anche Highway Star e Smoke On The Water seppur in misura minore, zoppicano un po' e avrebbero necessitato di un rodaggio che, di fatto, non ebbero mai. Quindi, un concerto un po' diverso e per questo degno di attenzione.

Live in Copenhagen 1972


Un live forse un tantino ridondante visto che si tratta di una performance un pelo sottotono e che l'unica differenza dagli altri del 1972 (se escludiamo le improvvisazioni) è Fireball come bis. Il vero motivo per cui lo cito è la presenza dell'ottimo video, pur se in bianco e nero. Quindi, se volete un consiglio, evitate la versione in CD e procuratevi il DVD, che oltretutto contiene una mezz'oretta da un concerto a New York del 1973.

Made In Japan - Live In Japan 1972


Poco da dire che non sia già stato detto su questo leggendario live, se non che l'edizione su doppio CD è consigliatissima in quanto aggiunge tre bis presi da varie serate (Speed King, Black Night e Lucille, anche se relegare solo tre brani al secondo disco invece di suddividere meglio il tutto mi è sempre parsa una scelta strana). Se si volesse approfondire esiste anche il Live in Japan, che su tre CD raccoglie gran parte delle tre serate registrate in quel tour giapponese. Per ovvi motivi di spazio ci sono canzoni escluse da ogni serata, ma molte di esse si trovano effettivamente in Made In Japan, di fatto riducendo il più possibile le ripetizioni. Certo è che Live in Japan si tratta di un'uscita per completisti, in quanto la scaletta si ripete quasi uguale per i tre concerti, e le uniche differenze risiedono nelle esecuzioni.

Live In London 1974


Passiamo ora alla Mark III con l'entrata di David Coverdale e Glenn Hughes, in tour a supporto di Burn. La scaletta è tipica per il periodo, e la ritroveremo riproposta in grandissima parte anche nelle uscite live successive, ma questa performance in particolare è tra le più solide e meglio registrate di questo periodo. Troviamo una manciata di brani da Burn e giusto un paio di cose più vecchie, dove però lo stile vocale dei due nuovi arrivati fa un po' rimpiangere le interpretazioni di Gillan. Certo è però che davanti ad esecuzioni come quelle di Burn, Mistreated e You Fool No One c'è veramente poco da ridire. Consigliatissimo.


California Jam 1974


Di nuovo un live un po' ridondante vista la scaletta identica al precedente ed una qualità audio decisamente inferiore. Quello che rende il concerto alla California Jam essenziale è il video, l'unico intero di questa formazione. Se si sorvola sui problemi di bilanciamento audio ci si può godere un ottimo concerto con un Blackmore più rabbioso del solito (invito a cercare online il motivo di ciò) che alla fine distrugge un paio di chitarre, se la prende con un cameraman e fa esplodere uno dei suoi amplificatori Marshall, per poi gettare il tutto tra il pubblico.

Live In Paris 1975


Di questo periodo sono svariate le uscite interessanti, anche se tutte ricavate dagli ultimi tre concerti di questa formazione. Dapprima il breve seppur ottimo Made In Europe, poi MK III: The Final Concerts ed infine l'operazione, ancora in corso, di pubblicazione dei tre concerti singolarmente. Il primo a vedere la luce fu l'ultimo, quello di Parigi, mentre recentemente è uscito quello di Graz e ancora si attende quello di Saarbrucken. Di supporto a Stormbringer, la scaletta ora comprende una manciata di brani nuovi come la title track, Gypsy e Lady Double Dealer, ed in questa ultima data di Parigi c'è anche la sorpresa di una Highway Star palesemente improvvisata sul momento con un Blackmore che decide di estendere a dismisura il suo assolo. Trattandosi dell'ultimo concerto di Blackmore con i Deep Purple negli anni '70 (e pare l'abbia annunciato alla band proprio prima di suonare quella sera), esso pare suonare con una carica ed un trasporto che raramente ha raggiunto certi livelli. A parere di chi scrive uno dei live essenziali insieme al Made In Japan ed il Live in Stockholm del 1970.

Long Beach 1976


Con Blackmore fuori i rimanenti membri decidono di chiamare a rapporto Tommy Bolin, talentuoso chitarrista che però, a causa dei suoi grossi problemi di droga, non ha mai veramente tirato fuori il meglio di sé con i Deep Purple. Il live più famoso è quello alla Budokan, di cui esiste anche mezz'ora di video; peccato che sia abbastanza disastroso in quanto Bolin quella sera aveva la mano sinistra intorpidita "per qualche motivo". Questo concerto di Long Beach invece è di ben altro livello, con belle improvvisazioni ed ottime interpretazioni dei nuovi brani dal godibile Come Taste The Band. Un live consigliato come curiosità ma non imprescindibile.

Perfect Strangers Live 1984


Forti di un nuovo album e risultato di una delle prime grandi reunion della storia del rock, la rinata Mark II ritorna ad infiammare i palchi nel 1984. Purtroppo tante cose sono cambiate: Ian Gillan ha la voce fritta a giorni alterni dopo aver urlato come un ossesso nei Black Sabbath, Blackmore è nel pieno della sua fase rumoristica e a-melodica da cui uscirà definitivamente solo negli anni '90 e Paice, dopo un periodo nei Whitesnake, sembra esser stato degradato al ruolo di drum machine per gran parte del tempo. Nonostante questo però Perfect Strangers è uno dei migliori album dei Deep Purple, ed il tour di supporto ha comunque dimostrato che di carica ne avevano ancora da vendere. Questo live in particolare è tra i primi del tour e, a parere di chi scrive, è tra i migliori, tra l'altro supportato da un ottimo video. La scaletta è ben equilibrata tra il vecchio ed il nuovo, e gran parte del nuovo effettivamente non sfigura affatto.

Nobody's Perfect 1988


Gli screzi tra Blackmore e Gillan non tardarono a riaffiorare, ed infatti il tour di supporto a The House Of Blue Light è ricordato come molto teso e non certo felice. Così come l'unica uscita live tratta da quel tour, martoriata da tagli e terribilmente sbrigativa e discontinua. Certo è, però, che quello che c'è non è così terribile come si potrebbe pensare dalle premesse. Anzi l'opposto direi, in quanto dopo il lungo tour dell'84/85 la band è decisamente più rodata, Blackmore sembra essere un po' più disciplinato e Gillan infinitamente più stabile vocalmente. Curiosa la decisione di inserire in coda una versione di Hush ri-registrata in studio all'epoca, così come inspiegabile è l'esclusione di The Unwritten Law e dell'assolo di Paice al suo interno, ma per il resto troviamo ottime versioni dei nuovi brani anni '80, che spesso superano la loro controparte in studio. Inutile dire che è consigliata la versione su doppio CD in quanto le edizioni in vinile, cassetta e singolo CD sono caratterizzate da grossi tagli nella scaletta.

Live in Stuttgart 1993


Dopo l'abbandono di Gillan, la discussa entrata di Joe Lynn Turner nel controverso Slaves And Master e relativo tour a supporto (di cui non esistono live ufficiali), Gillan viene fatto rientare contro il volere di Blackmore, e The Battle Rages On vede la luce. Tecnicamente il live più comune del tour di supporto sarebbe Come Hell Or High Water, che nella sua versione CD raccoglie tracce dai concerti di Stoccarda e di Birmingham, mentre nella sua versione video si focalizza solo su Birmingham. Il problema è che il CD presenta una scaletta incompleta, mentre il video, seppur consigliatissimo, mostra un Blackmore svogliatissimo e costantemente infuriato, impegnato ad entrare ed uscire dal palco continuamente (famosa l'entrata a metà di Highway Star e la birra lanciata contro il cameraman). L'unico lato positivo di quel live risiede nelle spettacolari performance di Jon Lord, forse ispirato dalla necessità di sopperire alle mancanze del chitarrista. La data di Stoccarda invece è certamente tra le migliori registrazioni live dei Deep Purple post-reunion, piena di improvvisazioni interessantissime e di ottime performance, come nella notevole versione estesa di Anya.

Live At The Olympia 1996


Fuori Blackmore, entra Satriani per finire il tour e poi spazio a Steve Morse. Da qui in poi la lista di pubblicazioni live è a dir poco sconfinata, sia audio che video, ma cercherò di limitarmi a quelli che reputo perlomeno essenziali. Dal tour di Purpendicular abbiamo questo interessante concerto all'Olympia di Parigi che, nonostante Gillan non sia al massimo della forma, risulta particolarmente interessante sia per i brani nuovi aggiunti che per i ripescaggi inaspettati (molto probabilmente in reazione al veto imposto precedentemente da Blackmore, vedasi Pictures Of Home, When A Blind Man Cries, No One Came e Maybe I'm A Leo). Come ciliegina sulla torta ci sono un paio di brani diversamente mai suonati (Rosa's Cantina e The Purpendicular Waltz) e l'aggiunta di una sezione fiati in una manciata di pezzi. Un concerto consigliatissimo. Se volete di più di quest'epoca consiglio Montreux 1996, di cui esiste anche il video.

Total Abandon 1999


Di supporto a Abandon, un ottimo concerto sia audio che video registrato in Australia. Un'ottima occasione per ascoltare una manciata di brani nuovi, una nuova versione di Bloodsucker, un Gillan decisamente più in forma rispetto al live precedente, ed uno Steve Morse che si è definitivamente integrato nella formazione. Il fiore all'occhiello di ogni live del periodo che va dal post-Blackmore all'abbandono di Lord è indubbiamente When A Blind Man Cries, in una versione estesa ed ancor più intensa della bistrattata versione originale, e qui non fa eccezione.

Live In Newcastle 2001


Di recente uscita (anche se parte della serie di "bootleg ufficializzati" uscita ai tempi), si tratta di un live che, seppur simile al precedente come scaletta, vede la presenza di una perla come Fools, il ritorno di Woman From Tokyo e la presenza, di nuovo, di una sezione fiati in alcune tracce. Una piccola curiosità più per fan, ma degno di nota.

Live At The NEC 2002


Altro ottimo concerto sia video che audio, degno di nota per il passaggio di testimone da Jon Lord a Don Airey. Il secondo infatti suona per gran parte del concerto, mentre Lord entra a sorpresa in Perfect Strangers, ed i due finiscono il concerto insieme. Un momento emozionante da non perdere.

Live in Verona 2011


Un salto in avanti di quasi dieci anni (in quanto non credo ci siano live imprescindibili in quel periodo, a parte forse il live a Montreux del 2007, interessante solo per la presenza di pezzi da Rapture Of The Deep), ed eccoci nel 2011. Esistono due pubblicazioni live tratte da questo interessante tour con l'orchestra: questa di Verona, uscita nel 2014, e quella di Montreux, uscita invece poco dopo la fine del tour. Se entrambe, disponibili sia audio che video, sono ugualmente ottime a livello di performance (anche se il povero Gillan ovviamente inizia a sentire l'età), il concerto di Verona può ovviamente vantare una location ben più suggestiva, ed è per questo che la scelta ricade su quest'ultima. Che sia stata una buona o cattiva idea quella di aggiungere l'orchestra ai brani in questione non sta a me dirlo, di certo è un'occasione per vedere un concerto un po' diverso dal solito, oltre che per godersi l'entrata in scaletta di perle come Hard Loving Man.

...To The Rising Sun in Tokyo 2014



Seconda parte di una coppia di pubblicazioni atte a testimoniare il tour di supporto a Now What?!, di cui il primo volume è From The Setting Sun, registrato e filmato nel 2013 al festival di Wacken. To The Rising Sun invece è tratto dal concerto alla Budokan del 2014 e, a parere di chi scrive, si tratta di un concerto ben più solido ed interessante, non ultimo per il fatto che non essendo un festival la scaletta è qui completa. Il solito equilibrio tra ottimi brani nuovi ed i consueti classici per un concerto bello soprattutto da vedere. Se proprio si vuole ascoltare un live del 2013, prima di buttarsi su From The Setting Sun provate il Live In Rome uscito quest'anno.

The Infinite Live Recordings Vol. 1 2017


Strana pubblicazione uscita un po' in sordina e tratta dalla loro esibizione all'Hellfest del 2017, nel tour di supporto ad Infinite. Molto probabilmente uno dei live più potenti e carichi degli ultimi anni, complice anche la produzione di Bob Ezrin. La band è in formissima, ed i nuovi brani funzionano alla grande. Ritornano poi Bloodsucker e Fireball in una scaletta incendiaria che sembra "sedersi" solo alla fine, con l'ormai consueto trenino di bis che, forse, non guasterebbe troppo cambiare dopo una quindicina di anni.


martedì 7 gennaio 2020

Top 10 2010 - 2019

Siamo arrivati alla fine di questo decennio. Nonostante chi scrive viva felicemente nel passato, musicalmente parlando, ci sono effettivamente state svariate uscite interessanti in questi ultimi dieci anni. Qui tenterò di fare una specie di classifica comprendente quelli che hanno lasciato un segno. Ovviamente, anche se spero sia inutile specificarlo, si tratta di una lista personalissima, senza alcuna ambizione se non quella di, magari, invogliare qualcuno che legge a riscoprire qualche album qui presente.

10 - Steven Wilson - The Raven That Refused To Sing (2013)


Unico album definibile "progressive" in questa classifica, in quanto mi è molto difficile trovare anche solo un qualche punto di interesse in questo "genere" e nei suoi derivati in questi ultimi anni. C'è da dire però che questo Raven è riuscito a catturare la mia attenzione, facendomi diventare fan di Steven Wilson (non dei Porcupine Tree però). Avrei potuto inserire anche Hand. Cannot. Erase, che forse contiene brani che preferisco anche rispetto ad alcuni di Raven, ma alla fine una decisione andava presa. Poi c'è da dire che questo album, insieme forse al precedente Grace For Drowning, ha avuto un ruolo fondamentale nella rinascita del progressive in questo decennio; ma diciamo che cerco di non avercela troppo con lui per questo motivo, visto che almeno lui qualche canzone memorabile riesce a scriverla.

9 - Deep Purple - Now What?! (2013)


Grande ritorno alla forma per una delle mia band preferite in assoluto. Ovviamente con Steve Morse e Don Airey al posto di Ritchie Blackmore e Jon Lord siamo di fronte ad un'altra band, con un suono e uno stile un po' diverso, cosa a cui ormai dovremmo esserci abituati dal lontano 2003. Quel che è certo però è che a questa formazione mancava un qualche lavoro discografico di un certo livello, in quanto i loro Bananas e Rapture Of The Deep (complice anche la produzione di Michael Bradford) sembravano zoppicare un po'. Grazie a Bob Ezrin finalmente nel 2013 ecco Now What?!, primo vero piccolo capolavoro dei Deep Purple dai tempi di Purpendicular. Il successivo Infinite si è difeso molto bene, ma forse manca un po' della solidità di questo suo predecessore, dove la band non cerca più il riff del secolo, ma sfoggia una maturità compositiva ed esecutiva di altissimo livello.

8 - The Who - Who (2019)


Altro grandissimo ritorno, forse ancora più sorprendente di quello dei Deep Purple. Endless Wire del 2006 ci aveva lasciati un po' così, dimostrandosi un lavoro non certo brutto ma appena discreto, con bei momenti ma una produzione piatta e mediocri performance vocali. Who è invece l'esatto opposto: se da un lato, a differenza di Endless Wire, manca una componente concettuale, una mini-opera di quelle che tanto hanno caratterizzato gli Who decenni fa, dall'altro lato si hanno una serie di canzoni vivaci, fresche, suonate e cantate divinamente. Se si riesce a mandare giù il tocco di autotune sparso qua e là, si può godere di un Pete Townshend in incredibile forma come compositore, come non lo era da decenni, ed un Daltrey magicamente ringiovanito. Certamente la sorpresa del 2019.


7 - Toto - XIV (2015)


Un altro album che ha certamente lasciato il segno in chi scrive è questa quattordicesima uscita in casa Toto. Ormai non ce lo si aspettava più, in quanto l'ultimo album in studio, Falling In Between, uscì nel 2006 con una formazione diversa, mentre quella di XIV sembrava essere più di natura live che da studio. Invece, quasi a sorpresa, nel 2015 ci hanno regalato un album che mostra il meglio di quello che è il loro stile, sempre in bilico tra canzoni coinvolgenti e memorabili e sfoggio di virtuosismi mai fine a loro stessi. Il ritorno di Joseph Williams alla voce è certamente la decisione migliore che potessero prendere, mentre il ritorno a tempo pieno di David Paich e Steve Porcaro non fa che aggiungere valore ad un album che ben poco ha da invidiare alle loro uscite più celebrate.

6 - David Bowie - Blackstar (2016)


Ammetto la colpevolezza: ho iniziato ad interessarmi a Bowie proprio dopo la sua triste dipartita. Sapete, quei nomi che sono sempre lì da una parte, e di cui si dice "un giorno approfondirò"? Ecco, Bowie è stato là per anni. Poi, nel 2016, esce Blackstar, tutti ne parlano, poi lui ci lascia, e se ne parla ancora di più. Era impossibile ignorarlo. E di fatto non è da tutti licenziare un capolavoro di questo livello non solo in tarda età, ma come ultima uscita. Per non parlare poi di come il tutto sia sembrato organizzato nei minimi dettagli, con perfetto tempismo, e che Blackstar in sostanza sia un saluto un po' come lo fu Innuendo per Freddie Mercury. Di certo ciò ha aggiunto al già innegabile fascino di un album difficilmente definibile ma certamente oscuro, strambo, irregolare, che si trascina passo dopo passo verso un emozionante finale.

5 - Foxygen - Hang (2017)


Certamente un nome meno noto dei precedenti presenti su questa lista, ma non certo degno di meno attenzione. Di tutti i lavori partoriti da questo duo definibile "indie rock", di cui alcuni decisamente trascurabili, questo Hang non può lasciare indifferenti. In poco più di mezz'ora ci vengono buttati in faccia tanti di quegli stili e sonorità diversi da rimanere storditi. C'è molto del pop psichedelico di fine anni '60, un tocco di glam, e tante, tante idee. C'è chi critica le performance vocali, ma per chi scrive si tratta proprio di uno degli elementi più unici ed interessanti di questo lavoro, che proprio grazie a particolari come questo finisce per distinguersi da chiunque altro.

4 - The Apples In Stereo - Travellers in Space and Time (2010)


Da molti liquidato come una pallida imitazione del "suono ELO", da chi scrive invece visto certamente come un palese tributo, ma anche un conglomerato di pura gioia in forma canzone. Una volta superato l'eventuale ostacolo della acuta voce di Robert Schneider è impossibile non lasciarsi coinvolgere da questi colorati brani che ci assilleranno per giorni, tanta è la loro cantabilità. Non è necessario tirare fuori parole come "capolavoro", in quanto la gioia e spensieratezza che questo Travellers sa regalare ad ogni ascolto è la sola ragione di cui necessito per metterlo in lista alle porte della top 3.

3 - Sparks - Hippopotamus (2017)


Che la carriera degli Sparks sia stata negli anni eclettica, cangiante e a tratti altalenante è al di sopra di ogni dubbio, ma fin dal 2015, con l'album in collaborazione con i Franz Ferdinand, FFS, era ovvio un loro ritorno ad uno stile più orientato alle canzoni. Dopo una fase certamente più sperimentale da dopo il 2000 con album come Lil' Beethoven, Hippopotamus arriva come una ventata di aria fresca. Una manciata di canzoni una più bella dell'altra, con un Russel Mael che non ha perso nulla della sua unica voce ed un Ron Mael che riesce sempre a combinare originalità, ascoltabilità ed umorismo in un album che sfugge ad ogni catalogazione e confronto, oltre ad esser indubbiamente degno di stare al fianco dei loro migliori lavori.

2 - Devin Townsend - Empath (2019)


Già al primo posto nella mia personale classifica degli album del 2019, in Empath Devin Townsend dimostra veramente di volere e potere fare esattamente quello che vuole. Certamente c'è molto metal, ma c'è anche il musical in Why, così come una quantità indescrivibile di influenze e sonorità diverse in brani come Genesis e nella lunghissima Singularity. Senza poi parlare di brani semplicemente belli come Spirits Will Collide, il tutto condito oltretutto da un intero CD bonus nell'edizione Deluxe pieno di outtakes degne di stare in un album vero e proprio. A parere di chi scrive si tratta del miglior lavoro del signor Townsend, nonostante l'agguerrita concorrenza di altri suoi album magnifici.

1 - The Beach Boys - The Smile Sessions (2011)


Che dire di questa monumentale uscita? Probabilmente si tratta di una delle pubblicazioni più importanti non solo dell'ultimo decennio, oltre che una degna conclusione di una storia durata quasi 45 anni. Uno degli album più misteriosi che, di fatto, non vide mai veramente la luce e la cui assenza non ha fatto altro che accrescere il suo status di capolavoro perduto. Poi ci fu la versione del solo Brian Wilson con i Wondermints nel 2004, e finalmente nel 2011 un magnifico cofanetto con una ricostruzione dell'album realizzata con le registrazioni dell'epoca esistenti, oltre a ben altri 4 Cd pieni zeppi di registrazioni dalle session. Ne ho parlato ampiamente sia in una articolo presente su questo blog che in un mio libro, quindi non mi dilungo; ma mi basti dire che la quantità di idee, la profondità tematica e la pura bellezza presente in questo album è qualcosa che di più universale io non riesco ad immaginare.