I fratelli Mael, dopo il successo dei due album precedenti, oltre che del singolo This Town Ain't Big Enough For Boh Of Us, chiamano il produttore Tony Visconti, anche lui americano trasferitosi in Inghilterra, e cercano di portare oltre tutto ciò che hanno fatto fino ad allora: il risultato è un album unico in una discografia comunque molto eterogenea. Si, perchè se negli album precedenti la follia delle creazioni di Ron Mael si limitava a palesarsi a livello compositivo, con brani poi suonati da una "normale" rock band, qui sono anche gli arrangiamenti ad essere più originali, più folli, anche e soprattutto grazie all'apporto di Visconti.
Quindi spazio a quartetti d'archi, marching band, big band, il tutto a completare brani che richiamano quelle atmosfere, quindi senza mai essere un elemento forzato o fuori posto.
Chi potrebbe mai cavarsela se non loro scrivendo un inno all'ananas (Pineapple)? O raccontando storie di coppie felici di vivere nel passato causando commenti e reazioni dei vicini (It Ain't 1918)? Insomma una folle combinazione di quotidianità ed ammirevole immaginazione, decorata con un vestito strumentale e vocale assolutamente originale. Perchè ovviamente le performance vocali di Russel Mael sono sempre inarrivabili. Sono pochi gli album che possono cavarsela con contrasti come quello tra il proto-punk di In The Future e il quasi charleston con tanto di big band di Looks, Looks, Looks, che tra l'altro si susseguono senza alcuna pausa, come a confondere ulteriormente l'ascoltatore; forse solo negli album dei Queen ho notato salti equivalenti. O in qualcosa dei Mr. Bungle, ma in altri tempi e con altri risultati. Certo, ci sono brani più "tipici" nello stile Sparks come Happy Hunting Ground, How Are You Getting Home? e The Lady Is Lingering, anch'essi comunque cosparsi di cambi improvvisi e melodie strampalate. E come non citare Profile? Altro magnifico brano carico di melodie letteralmente folli, ai tempi semplice lato b di un singolo, per fortuna presente nella versione rimasterizzata dell'album.
Ogni singolo brano qui è un gioiellino, si potrebbe scriver libri a proposito, ma sarebbe molto più utile e piacevole ascoltarlo. E l'importante è ascoltarlo senza cercare di etichettare ogni cosa, perchè la varietà di stili e la quantità di idee presenti in questi 41 minuti è difficilmente riscontrabile altrove, anche in intere discografie; non c'è progressive che tenga. Quindi chiedersi "che genere è?" sarebbe completo nonsense, non fatelo.
Si tratta certamente di un album controverso: i precedenti sono più "solidi" e coerenti, così come molti dei successivi, ed è facile pensare che qui ci sia "troppo", o che manchi di direzione, o che sia auto-indulgente. E proprio su quest'ultima definizione, usata da alcuni critici, Ron Mael ebbe a dire: "si, è molto auto-indulgente, grazie di esservene accorti!"
Non so se questo Indiscreet sia il mio album preferito degli Sparks, è comunque una dura lotta con Propaganda, però è senza dubbio almeno al secondo posto. Un album che consiglio a tutti coloro che amano esser stupiti da musica che spazia molto. Un 9 come voto.
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