domenica 11 agosto 2019

Marillion - This Strange Engine (1997) Recensione

Nono album dei Marillion, quinto con Steve Hogarth alla voce ed il primo fuori da una major. Il lento cammino al di fuori del mainstream era in atto già da tempo, e continuerà inesorabile fino a portare i Marillion ad uno status di "band di nicchia", da cui solo negli ultimi anni sembrano riuscire pian piano a smuoversi. Non che ciò sia un male, anzi, il non aver troppe pressioni per singoli da classifica et similia ha di certo spinto la band ad un approccio più audace alla loro musica, portandoli poi a quel capolavoro che sarà Marbles nel 2004. Ma nel 1997, dopo due ottimi album come Brave e Afraid Of Sunlight, inizia quello che io di solito definisco "periodo di mezzo", caratterizzato da album buoni, a tratti anche ottimi, ma forse non memorabili quanto altri loro lavori precedenti e successivi. Mi riferisco alla serie di album che inizia con This Strange Engine, continua con Radiation, marillion.com e si conclude con Anoraknophobia, una parentesi interessante ma spesso un po' trascurata della loro carriera.
This Strange Engine forse soffre ancora un po' dei tentativi di piazzare qualche singolo di rilievo (ci proveranno, fallendo con 80 Days e Man Of A Thousand Faces), e quindi finisce per oscillare tra semplici e melodiche canzoni e brani decisamente più estesi ed ambiziosi, risultando un lavoro un po' eterogeneo ma sicuramente più vivace del crepuscolare Afraid Of Sunlight.
Molti dei brani qui presenti hanno poi trovato posto quasi fisso nelle scalette dei concerti fino ad oggi, a partire dall'efficace apertura di Man Of A Thousand Faces, bel brano melodico dall'inizio acustico e con un bellissimo crescendo corale finale, per arrivare alla più greve Estonia, brano nel pieno del loro stile tipicamente lento ed arioso già incontrato dai tempi di Brave e che ritornerà molte volte negli album successivi. Sicuramente due dei brani meglio riusciti dell'album insieme alla lunga title track, forse una delle loro suite più riuscite in assoluto. Senza scomodare l'altisonante termine "progressive", di fatto sono molte le caratteristiche di questo non-genere qui presenti: dalla sua struttura multiforme fatta di continui ed efficaci saliscendi tra intense sezioni melodiche e potenti riff, ai bellissimi assoli di tastiere di Mark Kelly e, in particolar modo, di Steve Rothery alla chitarra, fino al culmine finale con un Hogarth al suo massimo espressivo dai tempi di The Space. Da notare la curiosa presenza di un assolo di sax ad opera di Phil Todd.
I tre brani citati sono senza dubbio tra le cose migliori partorite dai Marillion negli anni '90, perfettamente in grado di reggere il confronto con gli illustri predecessori, e di conseguenza il resto dell'album fatica un po' a stare al passo, ma le cadute sono comunque marginali.
La grandiosa One Fine Day tiene alto il livello confermandosi una gran bella ballata, con il valore aggiunto di una inaspettata sezione centrale con soli archi ad accompagnare decisamente riuscita. 80 Days è invece un onesto brano pop che lascia poche tracce pur facendosi apprezzare, mentre Memory Of Water fa decisamente di meglio con delle gran belle melodie, ma soffre forse di un arrangiamento fin troppo rarefatto fatto di archi e fiati probabilmente sintetizzati. An Accidental Man movimenta per un attimo il tutto riportandoci quasi ai tempi di Holydays In Eden, cosa apprezzata dal sottoscritto, e ci regala un altro bell'assolo di Mark Kelly, in gran spolvero in tutto l'album. L'unico brano che veramente fatico ad apprezzare è la sbarazzina Hope For The Future, che seppur onesta negli intenti e divertente nell'arrangiamento, sembra essere un po' fuori posto quanto lo fu Cannibal Surf Babe nel precedente Afraid Of Sunlight, con la differenza che quest'ultima è un brano migliore in generale.
Se avete la fortuna di aver acquistato l'edizione europea di This Strange Engine, noterete che la title track dura 30 minuti invece di 15:34; questo perchè dopo parecchi minuti di silenzio potremo goderci uno Steve Hogarth in preda alla ridarella.

Dunque dopo aver ignorato colpevolmente questa fase della carriera dei Marillion devo ricredermi sul fatto che si possano trovare molteplici esempi di ottima musica che non ha nulla da invidiare ai soliti Brave e Marbles, che in più hanno forse una solidità non presente in altri lavori. Ed infatti se proprio si volesse trovare un difetto a This Strange Engine è quella discontinuità data dalla sua natura eterogenea, che si conferma essere un'arma a doppio taglio che a volte colpisce nel segno (Marbles), e altre un po' meno, finendo per regalarci lavori su cui si tornerà principalmente per ascoltare i pezzi di maggiore impatto (in questo caso specifico la title track, Estonia e Man Of A Thousand Faces, con l'aggiunta forse di One Fine Day e Memory Of Water).
Detto questo, si è comunque di fronte ad una band in evoluzione, che si prende dei rischi, e anche solo per questo This Strange Engine merita ben più di un ascolto.