lunedì 27 dicembre 2021

Top 10 Album 2021


Dopo un anno di pausa per via della palese carenza di uscite discografiche interessanti, almeno per chi scrive, riecco a grande richiesta (?) la Top 10 degli album che più ho apprezzato in questo 2021.
In coda all'articolo, per i più curiosi, troverete una playlist con un brano estratto da ognuno degli album in lista.

10 - Roger Taylor - Outsider



Ho sempre avuto un debole per la carriera solista di Roger Taylor che, seppur alquanto altalenante, ci ha perlomeno regalato un indiscutibile capolavoro in Happiness?, nell'ormai lontano 1994. Dopo Fun On Earth, che non mi ha mai detto molto, Outsider sembra essere un bel passo avanti, un ritorno all'ispirazione degli anni '90, seppure tra reprise, riarrangiamenti ed un, seppur ottimo, brano già noto in chiusura (Journey's End), ci sia effettivamente poco materiale veramente inedito. Tides, Absolutely Anything e la versione acustica del classico Foreign Sand, però, da sole valgono il prezzo dell'album.


9 - The Darkness - Motorheart


Ne ho parlato qui. Nonostante personalmente lo ritenga un piccolo passo indietro rispetto ai precedenti album, Motorheart sa divertire come ogni album dei Darkness, grazie al loro ormai noto senso dell'umorismo unito al consueto, sano e solido hard rock vecchio stile. La title track, Welcome Tae Glasgae, Jussy's Girl e Sticky Situations sono solo alcuni dei brani che spiccano.




8 - Deep Purple - Turning To Crime


Ad appena un anno di distanza dal loro ultimo, ottimo album, i Deep Purple, complice il forzato stop ai tour, pubblicano il loro primo disco interamente composto da cover. Nulla di miracoloso, ovviamente, ma l'entusiasmo contagioso con cui la band affronta alcuni di questi brani rende l'album un ascolto assolutamente consigliato. 7 And 7 Is, Oh Well, Jenny Take a Ride!, White Room ed il medley finale Caught In The Act sono i vertici indiscussi. 



7 - Brian Wilson - At My Piano/Long Promised Road



Un caso particolare questo, in cui ho voluto includere due album in una singola posizione, sia perchè entrambi opera di Brian Wilson, sia perchè usciti ad una settimana di distanza l'uno dall'altro. Long Promised Road è la colonna sonora dell'omonimo documentario, e contiene un paio di nuovi brani, qualche prova in studio dal vivo ed una manciata di tracce risalenti alle leggendarie session con Andy Paley nel 1994/95. Un album un po' caotico ma con qualche perla come la nuova Right Where I Belong e It's Not Easy Being Me, risalente gli anni '90.
At My Piano è invece un album di riarrangiamenti per solo pianoforte di una selezione di classici della carriera di Brian Wilson e dei Beach Boys, suonati da lui stesso con varie sovraincisioni per riprodurre i complessi arrangiamenti. Si tratta di un lavoro di fondamentale importanza, un raro caso in cui uno dei più importanti compositori del secolo scorso sveste i suoi brani e li rende più "comprensibili" a chi vuole studiarli o anche solo goderseli sotto una nuova luce. Solamente i Piano Rolls di Gershwin possono essere paragonati a questo album in quanto ad importanza storica.




6 - Robert Plant & Alison Krauss - Raise The Roof


Seguito del pluricelebrato Raising Sand dell'ormai lontano 2007, il duo Plant/Krauss torna con il difficile compito di bissare il successo dell'esordio. Tenendo conto del tiepido entusiasmo con cui ho accolto Raising Sand ai tempi, posso tranquillamente affermare che Raise The Roof, nonostante sicuramente non avrà gli stessi riconoscimenti del predecessore, ne esce a testa alta. Gli ingredienti sono gli stessi, ma la produzione (o meglio, il mastering) rende l'ascolto più piacevole, e le interpretazioni vocali del duo, specie di Plant, paiono più convinte, più azzeccate. Un piacevole e confortevole album consigliato a chiunque apprezzi certa musica di stampo americano, tra country, blues e folk. 


5 - Joseph Williams - Denizen Tenant


Ne ho parlato qui. Uscito lo stesso giorno di I Found The Sun Again di Steve Lukather, suo compagno di band nei Toto, Denizen Tenant è probabilmente il miglior album della discontinua discografia di Joseph Williams. Tolte un paio di ridondanti cover, le canzoni sono meravigliosamente composte ed arrangiate, con quel tocco di modernità non invasiva e la ritrovata voce di Williams a stagliarsi su di esse. Probabilmente selezionando un manciata di canzoni di questo album ed un'altra manciata da quello di Lukather (che non è presente in lista per poco) si sarebbe avuto un ottimo album dei Toto, ma non si può avere tutto. Liberty Man, Black Dahlia, The Dream, No Lessons e World Broken hanno poco o nulla da invidiare ai migliori brani di Toto XIV. 


4 - ABBA - Voyage


Il tanto atteso ritorno degli ABBA è una delle sorprese più inaspettate dell'anno. Già solo il nome ABBA in copertina avrebbe reso l'album degno di interesse per i fan, se a questo però ci aggiungiamo il fatto che l'album è effettivamente ottimo, cosa tutt'altro che scontata dopo 40 anni di pausa, non si può che applaudire. Tra vecchi brani ultimati ora e nuove composizioni, Voyage scorre che è un piacere, non facendo notare troppo distacco stilistico dai vecchi album, specialmente quelli della seconda metà degli anni '70 (prima della svolta più disco-elettronica di fine '70, inizio '80). Un perfetto esempio di come ancora oggi si possa fare dell'ottima musica pop.


3 - The Pillbugs - Marigold Something


Probabilmente la band meno nota in questa classifica, ma una delle più interessanti tra quelle nate dal revival psichedelico anni '90. Dopo lo scioglimento di ormai quasi 15 anni fa per via della morte del loro bassista, quest'anno ecco uscire un lungo album doppio, il terzo in questo formato nella loro discografia. Il loro consueto stile tra Beatles, Klaatu e Jellyfish è rimasto in ottimi brani come Holding Back and Up, Dangerman, This Is A Wrap, la lunga Trip into Darkness, Water Safe to Drink, mentre Miracles Come (Once In a While) sembra prendere anche dai primissimi Queen. Forse non un album imprescindibile del genere (le vette della cosiddetta neo-psichedelia ritengo che arrivino praticamente tutte dal collettivo Elephant 6), ma una gran bella sorpresa di questi tempi. 


2 - The Beach Boys - Feel Flows: The Sunflower & Surf's Up Sessions 1969–1971


Ne ho parlato qui. Un gran bel cofanetto di cinque dischi che copre il periodo tra il 1969 ed il 1971 dei Beach Boys, inclusi gli album Sunflower e Surf's Up rimasterizzati, ma il fulcro è nell'enorme quantità di brani "di contorno": tra outtake alternative, canzoni scartate, idee abbozzate, tracce vocali e strumentali isolate, la quantità e qualità della musica qui inclusa è incredibile. La rivelazione sono senza dubbio i brani di Dennis Wilson, che proprio in quel periodo, nonostante il poco spazio concessogli nei dischi della band, si stava formando come compositore. Un cofanetto secondo solo alle leggendarie Smile Sessions in quanto a qualità ed importanza. 


1 - Micky Dolenz - Dolenz Sings Nesmith


Ne ho parlato qui. Al primo posto con anche un discreto distacco c'è di diritto l'album in cui Micky Dolenz reinterpreta una selezione di brani composti da Michael Nesmith, sia nel periodo dei Monkees che successivamente. I recenti tristi eventi hanno involontariamente trasformato questo album in un tributo a Nesmith e alla sua arte, ma anche senza la recente componente emozionale è difficile rimanere indifferenti di fronte ad un album del genere. Le canzoni sono ottime, Dolenz canta ancora come un ragazzino e gli arrangiamenti e la produzione di Christian Nesmith, figlio di Michael, sono come un faro di speranza in mezzo alla freddezza e piattezza del 99% delle uscite moderne, evitando anche di usare l'autotune. Basterebbero da sole la versione raga di Circle Sky o la complessa versione di Tapioca Tundra a reggere l'intero album, ma in realtà c'è tanto, tanto altro. Un album magnifico. 

giovedì 16 dicembre 2021

The Beatles - Get Back (2021) Recensione


Dopo un anno di ritardi per motivi che ben sappiamo, ed un cambiamento di forma da semplice film a mini-serie di tre puntate, eccoci finalmente a parlare di Get Back. Fin dall'uscita di Let It Be nel 1970, film che documentava le session in studio dei Beatles di Gennaio 1969 fino al leggendario concerto sul tetto, questo periodo della loro carriera fu sempre visto come l'inizio della fine, dove le tensioni interne iniziarono a logorare i rapporti tra i quattro in modo irreversibile; e se da un lato ciò è innegabile, dall'altro Get Back mostra anche molti bei momenti, alcuni addirittura leggendari, che rendono questa mini-serie un imprescindibile documento storico.

Ma andiamo con ordine. Le It Be, il film originale, è ormai da tempo fuori catalogo, pressoché impossibile da trovare, ma essenziale per capire l'importanza di questo nuovo Get Back, quindi non posso non consigliarvi di armarvi di pazienza, esplorare vie non proprio legali e procurarvelo. Detto ciò, Let It Be condensa tre settimane di prove ed il concerto sul tetto in un'ora e venti di film, senza alcun riferimento temporale per quanto riguarda gli avvenimenti su schermo (spesso, infatti, non propriamente in ordine cronologico), con un audio ed un video tutt'altro che eccelsi e, nonostante ometta alcuni "problemi" come l'abbandono temporaneo di George Harrison e i problemi e dubbi sull'organizzazione del concerto sul tetto, il risultato è comunque piuttosto piatto e deprimente. 

Get Back invece suddivide il tutto in giorni, come una sorta di diario, in modo da poter seguire passo passo le session per tutta la durata di quelle tre settimane, dai primi incerti giorni ai Twickenham studios fino ai più fruttuosi alla Apple. E fin da subito si nota come la qualità video sia spettacolare, e l'audio segue a ruota. Doveroso poi dire che certi risultati per quanto riguarda l'audio siano stati ottenuti grazie a tecnologie all'avanguardia, che sono state in grado di estrarre ed isolare singoli strumenti e voci dai nastri originali, permettendo così di avere delle tracce audio separate come in una registrazione multitraccia, e di procedere così alla realizzazione di un nuovo mix audio. C'è chi critica l'uso di queste tecnologie, in quanto sostiene che, trattandosi di un documentario, la maggiore qualità video ed audio ottenuta con tecnologie moderne non sia coerente con l'idea di rappresentare la realtà di quei giorni, e che invece avrebbero dovuto mantenere i propri limiti e difetti. Ovviamente, secondo questo ragionamento, non dovremmo ristrutturare le opere d'arte perché, per quanto si tenti di rimanere fedeli all'originale, è comunque un'operazione posticcia fatta con mezzi moderni da chi all'epoca non c'era? Inutile dire che non mi trovo affatto d'accordo con questo ragionamento. 

I tre episodi, sommati, ammontano a circa otto ore di durata, e c'è ovviamente chi si è lamentato dicendo che sono troppe, per chi scrive invece sono appena abbastanza. Certo, bisogna essere fan sfegatati dei Beatles, e non guasta anche quel pizzico di interesse per tutto ciò che riguarda le dinamiche tipiche delle band, il processo di creazione e registrazione di canzoni, magari anche per la Londra di fine anni '60, la cui atmosfera permea ogni momento del film. Si può osservare come, senza alcun dubbio, in quel momento Paul McCartney fosse la forza creativa ed organizzativa trainante, e che probabilmente è solo grazie a lui che in quel momento i Beatles esistevano ancora. La quantità di idee che Paul tira fuori in queste session è impressionante, e si passa da momenti storici come il preciso momento in cui nasce l'idea per il brano Get Back (che passerà poi attraverso diverse versioni e revisioni, tra cui una anti-razzista che da il la alla divertente jam Commonwealth), o le prime volte in cui strimpella The Long And Winding Road e Let It Be al piano, o quando presenta agli altri abbozzi di Golden Slumbers, Carry That Weight, Oh Darling, anche la tanto discussa Maxwell's Silver Hammer... John è sempre la principale fonte di comicità, ma musicalmente parlando è probabilmente il più disinteressato, mentre George avrebbe anche una montagna di idee musicali, ma ben poche vengono considerate. I Me Mine viene derisa da John, All Things Must Pass viene provata ben poco, e ciò unito ai continui ordini su come e cosa suonare da parte di Paul nei suoi confronti, porta al suo abbandono della band alla fine del primo episodio. Dopo un periodo di confusione, il suo ritorno è concordato a condizione di spostarsi dai freddi studi di Twickenham al nuovo studio alla Apple di Savile Row, che dopo qualche problema viene finalmente allestito. In tutto ciò non mi sono dimenticato di Ringo, che per tutto il film è semplicemente Ringo: poche parole, tanto ascolto e performance solide come una roccia alla batteria, tanto che quasi mai nessuno gli dice cosa fare. A quel punto ancora non si sa come far finire questo film, che doveva essere uno special tv ma non lo è più; forse un concerto, non si sa bene dove, si vedrà. 

Le prove continuano, tra tante jam e il provvidenziale arrivo di Billy Preston alle tastiere a dare supporto al sound live privo di sovraincisioni che i Beatles volevano ottenere. Con il suo arrivo cambia anche l'atmosfera, e la resa dei brani migliora in modo evidente fin da subito. Qui vediamo la nascita di brani come Something di Harrison, Octopus's Garden di Ringo, una prima jam che diventerà poi I Want You (She's So Heavy), oltre al continuo affinamento dei brani che poi finiranno nell'album Let It Be, in particolare Get Back, I've Got A Feeling, Dig a Pony e Don't Let Me Down. Proprio qui si può osservare come, dopo settimane di dubbi, finalmente spunta fuori l'idea di effettuare un concerto sul tetto dell'edificio della Apple, con tanto di video del sopralluogo. Certo, i dubbi permangono fino all'ultimo, ma alla fine il leggendario concerto avviene, e tra take multiple dei brani sopra citati, l'intervento della polizia, le reazioni della gente per strada, finalmente in Get Back possiamo assistere al (quasi) intero concerto, per quasi quaranta minuti di durata. Un assoluto picco del film che dimostra quanto i Beatles, nonostante l'assenza dai palchi da ormai tre anni, sapessero ancora essere una band di tutto rispetto su di un palco, forse anche meglio che mai. Il giorno successivo, l'ultimo filmato, è quello in cui vengono realizzati i video dei brani che non sono stati suonati sul tetto, Let It Be, The Long And Winding Road e Two Of Us, di cui purtroppo non sono presenti le performance intere in Get Back (a differenza del film originale), ma solo qualche estratto sul finale. 

Che dire in definitiva? Beh, per quanto mi riguarda, da tanto tempo non assistevo a qualcosa di così interessante e coinvolgente. La sensazione è quella di essere in studio con i Beatles per otto ore, una cosa che anche solo qualche anno fa non si sarebbe neanche potuta immaginare. C'è veramente tanto da vedere, e se da un lato posso anche capire chi si lamenta dell'eccessiva lunghezza, specialmente se si pensa ai lunghi dialoghi in cui la band, il regista ed il produttore discutono sul da farsi (seppure queste sezioni siano estremamente importanti a livello storico), dall'altro la quantità di momenti memorabili è veramente tanta. Dalla richiesta di Paul a Mal Evans di procurargli un martello ed un incudine, che poi lo stesso Mal con un contagioso entusiasmo suonerà in Maxwell's Silver Hammer, fino alla reazione dei quattro quando vedono arrivare i poliziotti sul tetto mentre suonano, passando per gli spassosi momenti in cui Heather, figlia di Linda, è presente nelle session ed imita Yoko Ono, oltre che ai già citati ed infiniti momenti di creatività, di scambi di idee, di musica che cambia forma e pian piano si incastra e si trasforma nella versione che si è poi conosciuta per cinquant'anni. 

Siamo di fronte ad un documento storico, poi si può discutere quanto si vuole sulle scelte effettuate nel montaggio, sulla presenza o meno di questa o quella parte, ma ricordiamoci che per mezzo secolo si è avuto solo il film Let It Be, l'album e i bootleg per farci un'idea di quel periodo (certo, anche Let It Be Naked, che probabilmente ad oggi rimane la migliore versione dell'album, pur essendo un remix posticcio), e l'idea che ci si era fatti era di un periodo buio, triste, difficile. Beh, da quel periodo buio, triste e difficile sono state realizzate otto ore di filmati intensi, divertenti, interessanti, storici, e non penso che si possa chiedere di più.