mercoledì 30 maggio 2018

Different Every Time - La biografia autorizzata di Robert Wyatt - Marcus O' Dair (recensione)

Robert Wyatt è sicuramente un personaggio di cui non è facilissimo parlare, tanto è sfaccettata ed interessante la sua storia e la sua personalità. Certo, ne esistono documentari e pagine online che raccolgono informazioni di ogni tipo, ma una biografia esaustiva si rivela essere a mio parere fondamentale per capire al meglio sia l'artista che la persona. Questo Different Every Time a mio parere riesce pienamente nel compito di illustrare e raccontare la vita di Wyatt, andando a raccogliere testimonianze da praticamente tutte le persone che hanno avuto un ruolo in essa. Posso solo immaginare la mole di lavoro necessaria...
Ovviamente lo stesso Wyatt è stato interpellato su molte cose, donando quindi a questa biografia quel livello in più di legittimità ed interesse che la rende imprescindibile per i fan. Personalmente posso dire che mi ha aiutato molto a districarmi in una discografia certamente non oceanica per quanto riguarda gli album a suo nome, ma che diventa facilmente tale considerando le infinite collaborazioni, che spesso nascondono autentiche perle (come The Hapless Child di Michael Mantler, album che ho conosciuto proprio grazie a questo libro). Ed in tal senso ho trovato molto utile l'appendice finale dedicata proprio alla discografia, comprendente appunto anche le numerose collaborazioni. Nel libro si racconta ovviamente sia la vita artistica di Wyatt, ma anche quella più personale e quella politica. Elemento, quello politico, di primaria importanza se si vuole apprezzare e comprendere in particolar modo i suoi lavori degli anni '80 (i singoli della Rough Trade, Old Rottenhat, Dondestan...), ed in generale il suo interesse per culture musicali disparate (gli ultimi Cockooland e Comicopera ne sono un esempio). C'è ovviamente la parte dedicata alle sue prime esperienze musicali, ai Soft Machine, alla sua crescente insoddisfazione e distacco che lo portò ad esser poi praticamente cacciato dalla band, il conseguente trauma, i Matching Mole, la successiva caduta: tutto è raccontato in modo decisamente esaustivo.
Concludendo quindi, un libro che non posso non consigliare ai fan di Wyatt, ma anche e soprattutto a chi magari non è molto familiare con la sua figura ed i suoi lavori e vuole saperne di più; che poi è sostanzialmente il mio caso. Vi lascio con un estratto, riferito alla breve parentesi dei Soft Machine a sette elementi, ma che ben rappresenta un punto di vista che condivido totalmente.

domenica 27 maggio 2018

Elton John e John Lennon al Madison Square Garden - 28 Novembre 1974 (racconto, foto e video)

Siamo nel 1974, John Lennon è a Los Angeles, ancora nel bel mezzo del cosiddetto "lost weekend", il periodo lontano da Yoko Ono, e sta registrando quello che diventerà Walls And Bridges. In un pezzo dell'album, Whatever Gets You Thru The Night, partecipa nientemeno che Elton John, accompagnando Lennon sia al piano che alla voce, tra l'altro imitando fedelmente lo stile vocale di quest'ultimo.
Nel momento in cui questo brano fu scelto come singolo, Elton propose a Lennon, vista l'ormai biennale assenza dai palchi dell'ex-Beatle, di apparire ad un suo concerto se il brano fosse arrivato al numero uno in classifica. Lennon accettò, principalmente perchè convinto dell'impossibilità della cosa sia a causa della superficialità e leggerezza del brano, ma anche per l'inusuale arrangiamento a duetto di due voci maschili. Elton, come ulteriore tributo, decise di registrare una cover di Lucy In The Sky With Diamonds con un arrangiamento piuttosto reggae, cosa che piacque molto a Lennon, il quale decise anche di partecipare alle registrazioni come chitarrista ritmico, accreditato come "The Reggae Guitars of Dr. Winston O' Boogie". Elton ringraziò John della sua partecipazione regalandogli un ciondolo d'onice con il disegno di un muro d'oro, un ponte di platino e le parole WINSTON O' BOOGIE scritte in diamanti. Elton nelle stesse sessions coverizzò anche One Day At A Time, brano di Lennon da Mind Games.
Lennon tornò poi a lavorare a quello che sarebbe diventato l'album Rock N' Roll come conseguenza dei problemi legali causati dal presunto plagio di Come Together, ed il 18 Novembre Whatever Gets You Thru The Night raggiunse il primo posto in classifica negli USA, seguito poi dall'album Walls And Bridges.
Ovviamente Elton ricordò a John la sua promessa, e ribadì che non c'erano più giustificazioni. Accettò quindi, anche se con un po' di riluttanza, di apparire al Madison Square Garden all'ultima data del tour di Elton, il giorno del ringraziamento, il 28 Novembre. Tutto questo a sorpresa però, senza alcun annuncio. Per prepararsi al tutto, John volò a Boston qualche giorno prima per vedere Elton in concerto e per poco ciò non lo portò a rinunciare definitivamente all'idea. Vedere questo camaleontico ed estroso personaggio cambiar continuamente costume in concerti di quasi tre ore con una carica invidiabile gli fece un certo effetto. Ma il giorno del concerto arrivò e si decise di suonare Whatever Gets You Thru The Night, Lucy In The Sky With Diamonds nella versione di Elton, e, a gran sorpresa, I Saw Her Standing There. Elton voleva che John suonasse Imagine, ma lui rifiutò in quanto voleva semplicemente divertirsi a suonare un po' di rock n' roll. Fu Elton a proporre il vecchio classico dei Beatles, e John accettò con entusiasmo.
L'apparizione di Lennon sarebbe dovuta essere a circa 2 ore dall'inizio, periodo in cui l'ansia si fece sentire non poco, fino a quando Elton prese il microfono e disse: "Dato che è il giorno del Ringraziamento, abbiamo pensato di rallegrare un po' la serata invitando una persona qui sul palco". John salì e si lanciarono subito nell'esecuzione prima dell'ultimo singolo di Lennon, e poi nella vecchia Lucy. Dopodiché Lennon annunciò "un brano di un mio vecchio fidanzato dal quale mi sono separato, Paul" e via con I Saw Her Standing There. Il pubblico a quel punto era in visibilio, e conclusosi il pezzo, tra l'emozione e le lacrime di molti presenti, John ed Elton si abbracciarono ed il concerto di quest'ultimo proseguì. Fu l'ultima apparizione su un palco di John Lennon. Seguito, tra l'altro, dall'incontro con Yoko subito dopo, che era presente tra il pubblico all'insaputa di John, e dalla loro riconciliazione che portò alla fine del "lost weekend".
 

 



giovedì 24 maggio 2018

Pink Floyd - Live at Wembley Empire Pool, London 1974

Un concerto tra i più bootlegati nella storia di questo gruppo, insieme alle BBC sessions di qualche anno prima. Parte del "British Winter Tour" di fine 1974 e di una serie di 4 concerti, il 14, il 15, il 16 ed il 17 Novembre, all'Empire Pool di Wembley. La serata del 16 fu registrata e trasmessa alla radio dalla BBC, ma solo parzialmente. Fu infatti trasmessa solamente la seconda parte, in cui suonarono l'intero The Dark Side Of The Moon. E proprio questa parte di concerto è stata tramandata sotto forma di bootleg per decenni, spesso aggiungendo il bis di Echoes alla fine, immagino da una trasmissione successiva che la includeva.
Della prima parte del concerto, che consiste negli allora tre nuovi brani Shine On You Crazy Diamond, You've Gotta Be Crazy e Raving And Drooling, esistevano si registrazioni, ma di qualità più bassa; dovremo attendere fino alle rimasterizzazioni dei loro album del 2011 per ascoltarle decentemente. Si, perchè in una scellerata operazione di marketing, la parte di concerto dedicata a Dark Side venne aggiunta in un secondo CD bonus nella nuova versione dell'omonimo album, senza il bis di Echoes, e gli altri tre brani invece trovarono posto nel secondo CD di Wish You Were Here. Ed Echoes? Beh, forse per dimenticanza o forse per semplice nonsense, trovò poi posto nel cofanetto "The Early Years 1965 - 1972", pur essendo si una canzone del 1971 ma in versione live del 1974. E per di più parte del volume 7 chiamato Continu/ation, presente esclusivamente nel cofanetto e non venduto singolarmente come tutti gli altri volumi. Insomma, volete il concerto completo? Compratevi due album che già avete (sperando di trovarli ancora in versione doppio CD del 2011 viste le ulteriori rimasterizzazioni dello scorso anno prive del CD bonus) ed un cofanetto che mentre scrivo Amazon lo vende a 450 Euro. Complimenti, qui si riesce quasi a far concorrenza alle logiche di mercato dei Queen! Comunque, non ci è dato sapere se l'intero concerto sia effettivamente del 16 Novembre: non è esclusa la possibilità che siano state registrate più serate e che per le pubblicazioni ufficiali si sia assemblato un po' il tutto da varie fonti per migliorarne la resa.
Ma parliamo un po' del concerto.
L'allora nuova Shine On You Crazy Diamond apre il concerto nella sua forma intera, non divisa in 2 parti come poi sarà successivamente. Infatti già nei concerti dell'anno successivo verrà spezzata ed inframezzata con Have A Cigar, mentre Welcome To The Machine e Wish You Were Here non faranno la loro apparizione live fino al 1977, nel tour di Animals. Qui Shine On è ancora decisamente primordiale: molte parti sono già presenti, ma l'introduzione ora è ancora priva del bordone caratteristico ed è molto più breve, le sezioni successive sembrano quasi abbozzate, ed è evidente come l'improvvisazione in questo stadio sia di primaria importanza. Discorso diverso per le sezioni cantate, che invece sono già molto definite (se sorvoliamo sulla traballante intonazione sia di Waters che di Gimour, che però si trascinerà anche nel successivo tour, quindi diciamo che non è segno dello stato primordiale del pezzo).
Niente assolo di sax e via in quella che diventerà la seconda metà senza alcuna pausa. Qui tutta la prima sezione con i due caratteristici assoli di synth e chitarra slide è già simile a quella poi definitiva, così come la successiva ripresa del cantato, mentre tutto il finale è di nuovo piuttosto abbozzato, oltre che più breve: manca infatti ancora tutta la sezione più lenta e malinconica prima che il tutto si fermi per dar spazio alla fuga libera di note dal synth di Wright.
Un'interessante versione insomma, seppur ancora un po' "piatta" per ovvi motivi.
I due brani successivi si sa che non troveranno spazio in Wish You Were Here, ma verranno poi rifiniti e rielaborati nel successivo Animals. Qui la differenza con le rispettive versioni definitive è piuttosto evidente, mentre se si ascolta un qualunque bootleg del tour americano dell'anno successivo ci si può render conto di come questi brani fossero già in stato molto avanzato nel 1975, due anni prima di Animals.
Quindi Raving And Drooling, poi Sheep, qui presenta un testo diverso e, per ovvi motivi, è priva dell'intermezzo con la parodia del Salmo 23. A livello musicale però, nonostante abbia un inizio più graduale, non ci sono molte differenze; e anche le linee vocali sono praticamente uguali a quella definitiva.
C'è una presenza molto più importante ed evidente del synth per tutta la durata del pezzo, e questo non può non far gioire ogni fan di Rick Wright; ed in generale anche qui si nota molta improvvisazione, forse per l'ultima volta così evidente in un concerto de Pink Floyd (nel successivo tour di Animals l'unico brano che presenterà delle improvvisazioni sarà Pigs). Ed è interessante come questa Raving And Drooling, a mio parere, sia un perfetto punto di incontro tra i Floyd più psichedelici e quelli carichi di rabbia guidati da Waters.
You've Gotta Be Crazy invece, poi Dogs, qui è in una versione piena di differenze rispetto alla versione definitiva di due anni dopo (d'altronde è stata l'ultima aggiunta alla scaletta allora, e pare che qui sia ad una delle primissime performance live). Anche questa, come Shine On, farà passi da gigante durante il tour del 1975, ma qui abbiamo un pezzo si carico di fascino e che fa già intravedere le potenzialità, ma anche un esperimento non totalmente riuscito. L'inizio è lo stesso di Dogs con quei caratteristici accordi ritmici, ma la linea vocale è radicalmente diversa, a doppia velocità e con una melodia tutt'altro che definita. Anche qui il synth è molto evidente nel momento in cui il brano rallenta, per poi duettare con la chitarra nel classico assolo molto simile a quello di Dogs. Il tutto però è decisamente più diluito e rarefatto, presentando addirittura una parte con un Gilmour in falsetto senza parole che ricorda quasi i tempi di Atom Heart Mother live. Si ritorna in territori più familiari con l'assolo successivo e la sezione "And when you lose control...", ma tutta la sezione successiva ritorna a dei basilari accordi di chitarra, senza ancora quel trionfo di synth che troveremo in Dogs. La conclusione poi, salvo le ovvie differenze di testo ed il ritorno della linea vocale più veloce, ritorna ad essere più simile alla versione definitiva.
Questi tre brani rappresentano, per me, la parte più interessante di questo concerto, che ci mostra dei Floyd che non hanno paura di improvvisare; forse l'ultimo sprazzo di quell'approccio più "libero" che caratterizzava la loro epoca psichedelica, giusto un po' più addomesticato ed organizzato. 
Nella seconda metà del concerto infatti troviamo l'intero The Dark Side Of The Moon: suonato certamente in modo eccellente, con anche le coriste e Dick Parry al sax come ospiti, ma senza grandissime sorprese. Certo, ci sono piccole parti improvvisate ed estese, come in Money e soprattutto Any Colour You Like (parecchio più lunga e a tratti superiore alla versione in studio), e per ovvi motivi The Great Gig In The Sky suona diversa avendo le due coriste che si alternano (personalmente ho sempre mal sopportato qualunque versione live di questo brano), ma il tutto scorre tranquillo e senza grandi scosse. Forse la migliore versione live di questo album insieme a quella di Pulse, che però vista l'assenza di Waters in quest'ultimo è facile concludere quale io possa preferire tra le due. Anche se mi sento di dire che preferisco ancor di più una qualunque versione primordiale del 1972, con ancora The Travel Sequence e cose simili.
Ovviamente certe cose si trovano solo in bootleg.
E poi c'è il bis di Echoes. Mi trovo in conflitto su quest'ultima, lo devo ammettere. Perchè è bello sentirli cambiare qualche ingrediente nei loro pezzi classici, ma Echoes con le coriste d'impronta spudoratamente americana ed il mitico assolo di chitarra sostituito dal sax.... Non lo so, è sicuramente interessante, e dopotutto ne abbiamo a bizzeffe di versioni live più fedeli all'originale tra Pompei e le BBC Sessions, però a mio parere gran parte dell'atmosfera che la caratterizza qui è assente.
Quindi, per fortuna che esiste YouTube per chi non ha qualche centinaio di euro da spendere per ascoltare l'intero concerto, ed infatti trovate i vari brani sparsi qui in giro per l'articolo. A mio parere un bel doppio CD, o triplo con Echoes a parte per far lievitare leggermente il prezzo, avrebbe funzionato discretamente, ma tant'è...
Sicuramente un concerto interessante, e di fatto uno dei pochissimi pubblicati per intero in un modo o nell'altro. La speranza è che prima o poi venga preso in considerazione un qualche concerto del tour di Animals (non necessariamente Montreal con il famoso sputo, anche se avrebbe senso per importanza storica), ma chissà...
Staremo a vedere.


lunedì 21 maggio 2018

Meat Loaf - Bat Out Of Hell (recensione)


Uno degli album più venduti in assoluto insieme a colossi come Thriller, Back In Black e The Dark Side Of The Moon, ma curiosamente molto meno considerato, specialmente in Italia. Sarà la sua natura pomposa ed esagerata, sarà il grande peso di componenti come la produzione spectoriana e l'approccio vocale di Meat Loaf che deve molto ai musical (entrambe cose che faticano a guadagnar consensi in un paese che per la maggiore oggi oscilla tra campanilismo cantautorale, Sanremo, indie stonato perennemente depresso con la poetica di una suola da scarpe, ed il prog in una relativa minoranza). Fatto sta che se i suddetti album li si trova ovunque in giro e tutt'ora passano alla radio, lo stesso non si può dire per Bat Out Of Hell, nonostante all'estero di fama ne abbia da vendere. Io stesso ho avuto il piacere di scoprirlo per caso solo recentemente, avendolo evitato più volte un po' anche a causa della copertina facilmente fuorviante che sa tanto di Judas Priest. Non si tratta certamente di un album di metal anni '80 con Maga Magò alla voce, per fortuna! Spesso infatti si sono tracciati parallelismi tra questo lavoro ed alcuni di Bruce Springsteen contemporanei, complice anche la presenza di musicisti della sua band in questo primo album del polpettone, ma credo che una spiccata tendenza teatrale ed una presenza e virtuosismo vocale ben diversa da quella di Bruce, differenzi non poco questo album dai suoi, al di là di somiglianze stilistiche di parti quali le strofe della title track. Certo, a tratti viste le tematiche in comune ed il senso dell'umorismo del compositore Jim Steinman sembra quasi essere una presa in giro dello stile "springsteeniano".
Di certo però non si può sminuire il talento compositivo di Steinman, che qui si concretizza per la prima volta e si confermerà alla grande nei due decenni successivi anche con altri artisti. Tornando a Bat Out Of Hell, la title track domina e traina l'album con i suoi quasi 10 minuti di cavalcate sostenute, start and stop, continui cambi, riprese, produzione sopra le righe e prestazione sublime del gigantesco Loaf. E qui si potrebbe riflettere su come abbia fatto un brano di 10 minuti a trascinare, grazie al suo successo, l'intero album tra i 4 più venduti di sempre, e di come una cosa così non fu più possibile già dagli anni '80, figuriamoci oggi, ma non voglio diventare banale e mi fermo qui. Quello che abbiamo è una storia di un tragico incidente in moto e la successiva ascesa del protagonista, raccontata in modo molto efficace. Uno dei brani più carichi e coinvolgenti che io abbia mai ascoltato. Certo: semplice, esagerato, pomposo, magari di cattivo gusto secondo alcuni, ma chissenefrega. A me piace e non poco. Mica si può vivere solo di musica d'avanguardia e testi introspettivi con riferimenti all'alta letteratura: sai alla lunga che noia? Comunque, ovvio che gran parte del resto dell'album rischia di essere oscurato da cotanta grandiosità, ma una volta sorvolato il quasi imbarazzante dialogo dopo la title track, la spudoratamente spectoriana You Took The Words Right Out Of My Mouth non può non farsi apprezzare. Perchè spudoratamente spectoriana? Beh dai, la produzione è un'imitazione fedele del suo stile, e musicalmente è palese l'ispirazione, se non la citazione (dopo il primo ritornello c'è anche un fill di batteria che è praticamente l'inizio di Be My Baby). Però adorando io lo stile del folle produttore oggi ospite in carcere, non posso non apprezzare questa canzone. Stile che comunque se qui è più che palese, rimane sempre evidente in tutto l'album come un alone che ricopre ogni brano. Non mancano ovviamente le parentesi più puramente romantiche grazie a brani più lenti come Heaven Can Wait e Two Out Of Three Ain't Bad, entrambe molto semplici e piacevoli, arricchite dall'accorata interpretazione del sempre molto teatrale Meat Loaf e da dei ben piazzati interventi di archi. All Revved Up With No Place To Go è un semplice brano pop-rock con una ben evidente presenza di sax, che ben contribuisce allo scorrere dell'album, ma forse da solo risulta un pezzo un pelo più debole rispetto al resto. Discorso diverso per Paradise By The Dashboard Light, un duetto rock and roll di ben 9 minuti. Molto teatrale e pieno di cambi anche questo, racconta la storia di due giovani che si ritrovano in intimità in auto, finchè ad un certo punto la ragazza interrompe il tutto chiedendo se la sposerà e la amerà fino alla fine; il che causa la comica risposta del giovane "let me sleep on it" e la promessa di rispondere la mattina dopo. Questo ovviamente porta ad un infinito botta e risposta con le insistenze di lei e l'insicurezza di lui, che si risolve in un si. La canzone si conclude presumibilmente anni dopo con la coppia che non si sopporta più e lui che prega che la fine sia vicina, non potendo rompere la promessa. Non propriamente un argomento "rock" eh?
L'idea e la realizzazione mi piacciono però, anche se le eccessive ripetizioni lo rendono un po' pesante e l'avrei preferito di qualche minuto più breve. Di certo è uno di quei brani che nei concerti ne guadagna(va) non poco. A questo punto è ovvia la superiorità della title track sul resto dei brani, perlomeno finchè non arriva For Crying Out Loud a spazzare via tutto. E dico letteralmente. Una delle canzoni d'amore più riuscite e commoventi, sia per la bellezza in sé che per i riuscitissimi interventi di band ed orchestra verso la metà del brano, portando a compimento un inarrestabile climax, oltre che per l'intensa interpretazione vocale di un Meat Loaf qui all'apice delle sue capacità. Non c'è molto da aggiungere, la trovo un capolavoro senza se e senza ma. Altri nove minuti che volano.
Insomma un album con alti e bassi indubbiamente, i cui alti sono altissimi e i bassi in realtà sono medi. Ovviamente all'epoca quasi nessuno credeva nelle potenzialità dei brani esageratamente lunghi e grandiosi di Steinman, ed ancor meno nell'apparenza e presenza scenica di uno come Meat Loaf, che non era certo l'esempio della rockstar con i suoi chili di troppo. Ennesimo esempio della totale idiozia di molti discografici, ed infatti si vede chiaramente dallo stato della musica pop di oggi in quanto puro prodotto delle grandi case discografiche. Il successo raramente si può premeditare, e Bat Out Of Hell ne è l'esempio con le sue 43 milioni di copie vendute in totale e le 200000 al mese in media ancora oggi. E davvero non posso non stupirmi di quanto poco se ne parli in Italia, anche al di là del mainstream, quasi come se si guardasse con diffidenza tutto ciò che ha venduto tanto. Ma non è così, veeeero? (sarcasmo). Un album non perfetto ma che si sta facendo adorare dal sottoscritto, che cercando di non essere troppo di parte potrebbe meritarsi un 8,5 di voto.

venerdì 18 maggio 2018

The Who - A Quick One (recensione)

Gli Who nel 1966 erano in una fase strana, che in parte si è protratta fino nel 1969 con Tommy, dove finalmente hanno trovato un'identità e direzione chiara. Nel periodo tra il 1966 ed il 1968 invece abbiamo una serie di album, singoli, EP immersi in quella corrente di pop eclettico e stralunato che tanto andava forte in quegli anni, che probabilmente non è ciò per cui vengono ricordati e celebrati ancora oggi gli Who, ma è una fase ricca di fascino. A Quick One, forse ancor più di The Who Sell Out che nella sua natura ancora transitoria ha comunque un'identità ben precisa, è chiaramente un album di passaggio. C'è ancora una cover, ci sono elementi r n' b che rimandano ancora al primo album, e poi ci sono piccoli gioiellini pop, stranezze varie e "la mini-opera". Insomma un calderone con di tutto e di più che può confondere un po' gli ascoltatori che necessitano di incasellare ogni cosa.
La prima cosa particolare che salta all'occhio è la sua natura, più unica che rara in questa band, di album "di gruppo". Ed intendo letteralmente. Grazie ad un espediente dei loro allora manager Chris Stamp e Kit Lambert, che garantiva un anticipo sostanzioso in denaro a chiunque componesse qualcosa, in A Quick One abbiamo una suddivisione di crediti quasi in parti uguali. Ovviamente Daltrey ha la peggio con solo un brano, la psichedelico-tribale See My Way, mentre Moon ed Entwislte si aggiudicano 2 brani a testa e Townshend tutto il resto. La presenza della cover di (Love Is Like A) Heatwave può sembrare un po' fuori posto, e forse lo è, ma nell'insieme non si fa disprezzare, pur nella sua natura di puro riempitivo. Entwistle esibisce il suo classico senso dell'umorismo nella divertente Whiskey Man, ma indubbiamente il meglio lo dà nel grande classico Boris The Spider, che con il suo quasi growl anticipa praticamente tutto di decenni. I corretti "creepy crawly" danno un ulteriore senso comico al tutto. Davvero un piccolo capolavoro. Moon invece stupisce nella beatlesiana I Need You (che non è la cover del brano di George Harrison in Help), con tanto di inserti orientali simil-sitar, intermezzo parlato in cui imita molto bene Lennon, e roboante prestazione alla batteria che letteralmente sommerge tutto nei ritornelli. Bella anche la sua prestazione vocale. Ma è nella strumentale Cobwebs And Strange che Moon dà la sua più classica esibizione di pura follia: tra marching band, duello chitarra-batteria a velocità supersoniche e finale caotico, se volete una rappresentazione sonora di Keith Moon, qui abbiamo un ottimo candidato.
Ovviamente Townshend fa comunque la parte del leone qui, e se si tralasciano le gradevoli ma innocue Run Run Run e Don't Look Away, è incredibile l'avanzamento a livello compositivo rispetto al primo album. So Sad About Us è un gioiellino pop con un velo di malinconia che dimostra già una notevole maturità, anche nell'uso delle armonie vocali. Si tratta forse del vero primo esempio del talento compositivo di Townshend, che nei successivi 3-4 anni raggiungerà livelli inarrivabili. Ed ulteriore prova di questo è la "mini-opera" A Quick One While He's Away. Complice il manager-produttore Kit Lambert, allora anche gran catalizzatore per le idee di Townshend, viene escogitato un modo per riempire gli ultimi 9 minuti dell'album incollando fra loro 6 brevi brani uniti da una storia. Insomma una suite in ambito pop-rock ante-litteram, con buona pace di chi crede che il prog sia venuto fuori come reazione al pop e non come conseguenza di elementi e correnti già presenti prima. La storia raccontata qui è piuttosto divertente: la protagonista è una ragazza il cui compagno è via da tanto tempo, e per questo si trova a cedere alle "avance" di un camionista, salvo poi esser scoperti dal compagno che ritorna e la perdona. Non per niente il titolo si potrebbe tradurre in "una sveltina mentre lui è via". Anche se alla fine non è chiarissimo chi perdona chi, e questo finale aperto ritornerà con gran forza anni dopo in Tommy, con tutte le domande che ne conseguono.
Un brano avanti almeno di 3 o 4 anni e tutt'ora originale nella sua natura puramente pop, elemento spesso assente nelle suite.
Se comprate la versione in CD potete godervi una lunga serie di brani bonus di varia provenienza e qualità (tra cui l'EP Ready Steady Who e vari singoli e lati B): impossibile non citare le esilaranti cover del tema di Batman, di Bucket T e di Barbara Ann, la divertente Doctor Doctor di Entwistle, Happy Jack, praticamente un'altra mezz'ora di ottimo pop.
Insomma un album che adoro, un gradino sotto al successivo The Who Sell Out, ma in parte in una simile vena stilistica. Lo consiglio a chiunque abbia un debole per quel pop tipicamente inglese della seconda metà degli anni '60, con tutta la sua imprevedibilità e follia. Un 8 di voto grazie anche alle tracce bonus.

lunedì 14 maggio 2018

The Alan Parsons Project - Tales Of Mistery And Imagination (recensione)

Strano pensare ad un "progetto" la cui base sono un compositore, musicista e cantante ed un produttore ed ingegnere del suono, ed il tutto prende il nome di quest'ultimo e non dal primo. Però così fu in quel 1976, quando Eric Woolfson ed Alan Parsons decisero di allearsi e realizzare un album basato sui racconti di Edgar Allan Poe. Woolfson lavorava da qualche anno a pezzi basati su Poe, e quindi parve naturale concentrarsi su di essi in quello che, appunto, avrebbe dovuto essere un progetto, nel senso di una cosa "una tantum", estemporanea, ben precisa, che poi continuò solamente come conseguenza del successo commerciale. Ma insomma, viste le intenzioni iniziali, si capisce il senso dell'uso della parola "project", che è ben diverso dall'abuso che si nota oggi in ogni tipo di band normalissima nelle intenzioni, nella natura e nel percorso artistico. 
Detto questo, ovviamente i due si circondarono di altri musicisti e, soprattutto, cantanti, di fatto creando già qui la formula che finirà per caratterizzare ogni loro lavoro insieme. Se però nei lavori successivi pare evidente la tendenza, voluta o meno, alla ricerca di "hit", seppur sempre implementate in album carichi di classe ed arrangiamenti sopraffini; qui siamo di fronte ad un lavoro un pelo più complesso e raffinato. Ogni brano, come è già evidente dai titoli, è dedicato ad un racconto o una poesia di Poe; e nella seconda metà troviamo addirittura una suite strumentale di 16 minuti basata su The Fall Of The House Of Usher, una cosa unica nella discografia dell'Alan Parsons Project (se escludiamo The Turn Of A Friendly Card, che anche se sulla carta è anch'essa una suite, è basata su canzoni e non brani strumentali). 
Fin dall'inizio si può notare l'usanza, che si consoliderà successivamente e la ritroveremo spesso, di aprire l'album con una sorta di introduzione strumentale, A Dream Within A Dream, che si collega alla prima canzone vera e propria: The Raven. A mio parere uno dei brani più riusciti dell'album e più rappresentativi di ciò che adoro dell'APP, The Raven presenta anche il primo uso in studio del vocoder, e rende ben evidente un'altra caratteristica che tornerà spesso: la combinazione di suoni elettronici, strumenti rock ed orchestra. Orchestra arrangiata e condotta da Andrew Powell. 
La prima sorpresa dell'album è The Tell Tale Heart, dove un diabolico Arthur Brown si fa spazio nel muro di suoni grazie ad una delle sue più efficaci interpretazioni di sempre. Bellissimi i saliscendi strumentali prima della ripresa, con anche un coro a creare tensione e leggera dissonanza. Bellissima. 
John Miles ci delizia poi in The Cask Of Amontillado, brano particolarmente efficace anche grazie alle entrate più ritmiche dell'orchestra che creano un bel contrasto. E proprio questo contrasto e l'uso estensivo dell'orchestra in modo particolarmente pomposo sarà un'altra costante in futuro, basti pensare a Silence And I. (The System Of) Dr. Tarr And Professor Fether, oltre ad essere un gran bel brano con di nuovo John Miles alla voce, è letteralmente cosparsa di reprise di temi precedenti, a volte evidenti ed a volte non molto. Non è difficile notare una sezione di The Raven ripresa un paio di volte con testo diverso, e poi di nuovo alla fine strumentale, così come l'arpeggio di A Dream Within A Dream e la linea vocale di The Tell Tale Heart. 
Come anticipato, la seconda metà dell'album è dominata da The Fall Of The House Of Usher: 16 minuti interamente strumentali dominati dall'orchestra. Certo, se confrontato con il resto dell'album è facile che passi in secondo piano, che annoi, o che semplicemente non piaccia; ma indubbiamente ha dei momenti particolarmente godibili ed efficaci, e forse soffre solo un po' dell'eccessiva durata a mio personalissimo parere. L'album si conclude con To One In Paradise, finale appropriato con la prima ballata dell'APP in uno stile che poi diventerà tipico in brani come Time e Old And Wise, per citarne un paio. 
Trovo doveroso citare l'esistenza del remix del 1987, ad opera dello stesso Parsons, che ha sicuramente creato confusione in molti ascoltatori non esperti che magari per decenni hanno creduto che quella fosse la versione originale dell'album, complice il fatto che fino al 1994 il mix originale non fu disponibile in CD. E le differenze ci sono eccome: a partire dall'uso di riverberi vari molto in voga negli anni '80, specialmente sulla batteria, l'aggiunta di parti strumentali nuove (assoli di chitarra, tastiere...), qualche take diversa (la voce di Arthur Brown in The Tell Tale Heart), ed in generale una resa più "spaziosa" del suono. Ovviamente molti preferiscono l'originale, ma non mi sento di criticare troppo questo remix, che ha comunque il pregio di presentare una valida alternativa all'originale, con anche il valore aggiunto di alcune parti narrate da Orson Welles. 
C'è chi questo album lo butta nel calderone del prog, chi invece urla a gran voce la sua indignazione all'accostamento dell'APP al suddetto genere, e c'è chi alza gli occhi al cielo come il sottoscritto. Quel che è certo è che siamo di fronte ad un ottimo album, con in particolare una prima metà da applausi. Non il mio album preferito in assoluto dell'APP, soprattutto a causa della suite di Usher, che se fosse durata qualche minuto in meno, magari lasciando spazio ad una o due canzoni in più, avrebbe reso l'album più scorrevole a mio parere. Rimane comunque in una mia ideale top 3, e si merita un bell'8 come voto.

domenica 6 maggio 2018

The Who - La storia di Lifehouse

La storia di Lifehouse non è poi tanto diversa da quella di Smile dei Beach Boys: in entrambi i casi c'è un'idea forse troppo avanzata per i tempi, che fatica ad essere capita da chiunque intorno al suo ideatore, e finisce quindi per essere scartata e/o ridimensionata. C'è sempre stato un alone di mistero e confusione intorno all'intero progetto, la storia, le fasi di lavorazione, quali canzoni ne avrebbero fatto parte...
Dal progetto originale ne uscì il singolo album Who's Next nel 1971, e Pete Townshend ne pubblicò una sua versione notevolmente ampliata nel 2000, chiamata Lifehouse Chronicles, ma si rivelò essere un progetto un po' diverso. In questo articolo cercherò, raccogliendo e confrontando più fonti possibili (tra cui la magnifica autobiografia di Pete Townshend, Who I Am, altri libri sugli Who, i libretti dei vari CD, documentari, interviste e la fida Wikipedia), di fornire una panoramica sull'intero progetto.
Ho suddiviso la mia analisi in più parti per cercare di rendere il tutto più scorrevole e comprensibile:

  1. La storia
  2. Riflessioni e curiosità sulla storia
  3. Fasi di lavorazione
  4. The Lifehouse Chronicles
  5. Riferimenti a Lifehouse in altre opere di Pete Townshend
  6. La musica e le canzoni

Quindi, nel 1970, dopo Tommy, Pete Townshend concepì qualcosa di infinitamente più complesso: una storia ambientata in un futuro distopico che finisce in sostanza per prevedere anche alcuni aspetti importanti che oggi sono realtà, ma ci arriveremo. Townshend iniziò a buttare giù le prime idee nell'estate del 1970, appena dopo l'esibizione all'isola di Wight, ad iniziare dalla storia che farà da filo conduttore. Qui ho cercato, come anticipato sopra, di condensare insieme più fonti per cercare di scrivere una versione comprensibile e relativamente completa della storia. Ovviamente ci sono varie incongruenze tra le varie versioni, ma ne parlerò poi successivamente.


1 - La storia

  • L'ambientazione è un futuro in cui il disastro ambientale inevitabile ha ridotto gran parte della popolazione a vivere in ambienti protetti ed all'interno di "bozzoli", o "suits". I governi di tutto il mondo si sono alleati e hanno convinto la popolazione a vivere una sorta di letargo all'interno di questi bozzoli fino a che la situazione non sarebbe migliorata. La vita delle persone viene di fatto controllata da dei computer collegati a questi bozzoli, che non solo provvedono a fornire alimentazione e tutto il necessario per vivere, ma anche intrattenimento. Infatti il tutto è collegato alla cosiddetta "griglia" (the grid, controllata da un tale Jumbo), che permette alle persone di vivere esperienze virtuali grazie alla tecnologia. La musica, in quanto non approvata dalla griglia, è fuori legge. Non tutte le persone vivono in questi bozzoli; esistono infatti gruppi di persone che vivono vite "normali" in luoghi meno inquinati. Un personaggio che viene descritto come The Hacker, oppure chiamato Bobby a seconda delle versioni, è convinto che per superare questa situazione serva ciò che è stato bandito: la musica rock. Musica che lui trasmette in un suo programma radio chiamato Trad, principalmente classic rock. Cerca quindi di organizzare un concerto insieme ad alcuni altri ribelli in un luogo chiamato Lifehouse, invitando tutti ad unirsi, da tutto il mondo, trasmettendo l'invito tramite radio anche a coloro che sono nel bozzolo.
    La storia si sposta poi ad una famiglia formata da Ray (che è anche il narratore di questa storia), Sally e la figlia Mary, anch'essi non parte della popolazione collegata alla griglia in quanto fuori dalla zona di rischio. Abitano in un caravan in Scozia insieme ad altri che vivono come comunità di contadini e producono il cibo che poi viene usato per alimentare le persone nel loro bozzolo. La figlia Mary viene a sapere dell'idea di questo grande concerto e scappa di casa per andarci. Il padre, Ray, la insegue. Mary incontra l'hacker Bobby, che è alla ricerca dell'unica nota, che è convinto sia in grado di liberare tutti dal bozzolo, e se ne innamora. Insieme si mettono in viaggio verso Londra, verso la Lifehouse. L'idea che sta alla base di questo concerto è quella di creare una sorta di complesso feedback tra pubblico e musicisti, raccogliendo informazioni personali di ognuno e convertendole in musica, in modo da far nascere musica personalizzata per ognuno. La combinazione di tutta questa musica avrebbe quindi creato quella "sola nota perfetta". Anche Ray a questo punto li raggiunge. Quando però le autorità prendono d'assalto la Lifehouse, in quanto questo concerto è illegale, tutte le persone, sia quelle presenti sul luogo, sia quelle nei loro bozzoli che avevano assistito alla trasmissione del concerto, scompaiono in un nirvana musicale.


2 - Riflessioni e curiosità sulla storia

  • C'è un po' di confusione sul concetto dei bozzoli o suits in cui vive gran parte della popolazione: che mentre nel primo caso è facile immaginare delle capsule, nel secondo ci si avvicina di più a delle tute. Se di base il loro funzionamento è uguale, la loro forma è difficile da definire con certezza.
  • Altra cosa che ho notato è come in molti casi ci si soffermi sull'ambientazione e la situazione che sta alla base di questa storia quasi dimenticando la parte riguardante la famiglia di Ray, Sally e Mary, e il rapporto che poi si instaura tra Mary e Bobby. Cosa alquanto curiosa visto che ad esempio Ray dovrebbe essere il narratore, e più di una canzone facente parte del progetto iniziale parla proprio dei rapporti umani tra queste persone. 
  • La figura dell'hacker Bobby sembra essere ricorrente in gran parte delle versioni, ma in una in particolare, su Wikipedia, si cita invece una sorta di vecchio guru che ricorda i tempi in cui la musica non era bandita, e ne enfatizza l'importanza invogliando poi i suoi "seguaci" ad organizzare questo concerto.
  • Raramente è specificato, e anche Townshend nell'autobiografia non ne fa menzione, ma a quanto pare la band che suona al concerto alla Lifehouse, e che di fatto crea questo feedback con il pubblico che porta all'unica nota e alla risoluzione della storia, teoricamente avrebbero dovuto essere proprio gli Who.
  • Alcune fonti citano una vera e propria lotta nel momento in cui le autorità entrano nella Lifehouse, altre addirittura che Bobby venga ucciso da un colpo di pistola, e solo in quel momento tutti svaniscono. Altre invece collocano la sparizione collettiva proprio nel momento dell'irruzione.
  • Altro concetto molto importante è la cosiddetta "grid", traducibile in "griglia". Essenzialmente si tratta di un collegamento tra tutti gli esseri umani nei loro bozzoli tramite la tecnologia. Fornisce cibo, aria, intrattenimento, permette di vivere innumerevoli esperienze virtuali come sostitute alla vita vera e propria. Insomma è molto simile ad un primordiale concetto di Internet, nel 1970. Senza contare i riferimenti, stando ad alcune fonti, ad una primordiale idea di collegamenti wireless, uno dei principali punti su cui specialmente Roger Daltrey faticava a seguire Townshend. 
  • Nella versione radiofonica del 1999 (scorrere alla parte dedicata a Lifehouse Chronicles per saperne di più) Ray, mentre è alla ricerca della figlia Mary, incontra se stesso da bambino, Rayboy, ed il suo amico immaginario, "the caretaker": elementi che pare non fossero presenti nella versione originale.
  • Il concetto dell'unica nota perfetta, dice Townshend, gli è stato ispirato da "Il misticismo del suono", un libro degli anni venti di Inayat Han, musicista e poi maestro sufi. E l'idea base era che ognuno di noi è in grado di creare musica se solo fossimo capaci di ascoltare davvero.
Pete Townshend all'epoca scriveva per il Melody Maker, e in un'articolo di quel periodo scrisse:
  • "Ecco l'idea, c'è una nota, una nota musicale che in qualche modo è alla base della vita. I mistici direbbero che è l'OM, ma io sto parlando di una nota MUSICALE. [...] La sentite? Penso di si, in particolare coloro tra voi che leggono "Melody Maker" e presumo facciano musica. Probabilmente tutti i musicisti e gli appassionati di musica, vale a dire le persone con l'orecchio più allenato. Tutti loro che la sentono. I musicisti devono imparare ad ascoltare prima di imparare a suonare. Penso che sia la parte più difficile, la parte in cui si ascolta. Forse è per questo che molti di coloro che sono coinvolti nella musica fumano erba volentieri: perchè aiuta ad ascoltare."
Nello stesso periodo tenne anche una lezione al Winchester Art College, a cui assistette anche un giovane Brian Eno. E lì parlò dell'utilizzo dei registratori a nastro da parte dei non musicisti. Ciò tra l'altro ispirò Eno convincendolo che non era necessario essere grandi musicisti per creare musica. E Townshend era convinto che il nascente mondo dei sintetizzatori avrebbe aiutato ancora di più in quel senso. Voleva coinvolgere più persone possibile nella creazione di musica, anche, appunto, non musicisti. Estendendo di fatto il concetto di "musica personalizzata", alla base della storia di Lifehouse, alla realtà. 
  • Interessante notare oltretutto come molti brani, specialmente quelli poi utilizzati in Who's Next, siano in grado di stare in piedi autonomamente grazie ai testi particolarmente universali e non esclusivamente legati alla storia. Basti pensare al conflitto interiore di Behind Blue Eyes e la componente religioso-spirituale di Bargain.

3 - Fasi di lavorazione

Pete Townshend scrisse la storia di Lifehouse nell'arco di tre giorni, dal 28 al 30 Settembre 1970. Cercò di buttare giù una sorta di scaletta ed un elenco di requisiti tra strumenti, sistemi audio, materiale necessario per raccogliere informazioni dal pubblico e realizzare idee musicali e le riprese cinematografiche per un possibile film. L'idea quindi era di realizzare un album, o una Rock Opera, dei concerti interattivi ed un film basato su tutto questo. La scaletta, stando all'autobiografia di Townshend, Who I Am, è questa:
  • OVERTURE: Gli Agricoltori, Vita, Bellezza, Festa. LIFEHOUSE: La Città, Rock, I giovani contro la finanza, I singoli che lavorano per il tutto. GLORIFICAZIONE: Scompaiono, trionfano, lasciandosi tutto dietro. 
Gli Who all'epoca erano in tour e Townshend iniziò a proporre loro Lifehouse, scontrandosi fin da subito con una notevole difficoltà. E non erano gli unici. Townshend ancora oggi lamenta la concezione sbagliata dell'unica nota, spesso incolpata come la principale causa dell'impossibilità di realizzare Lifehouse. Molti infatti la collegavano all'idea hippy dell'accordo universale, cosa che Townshend non aveva mai citato e che trovava lontana dalla sua idea.
Lui però non si fece abbattere e continuò a cercare di convincere i loro manager della validità dell'idea. Venne così fuori l'idea che l'unico modo per realizzare qualcosa di simile era affittando un teatro, in modo da permettere a Townshend di tenere dei seminari aperti. Si decise di optare per lo Young Vic, aperto da poco.
Verso la fine del 1970 gran parte di Lifehouse era pronto, e Townshend registrò molti demo casalinghi tra Gennaio e Febbraio 1971 suonando tutti gli strumenti. In un successivo articolo sul Melody Maker scrisse:
  • Lo Young Vic Theatre diventa Lifehouse, gli Who diventano musicisti e il pubblico partecipa a quest'opera di fantasia. Abbiamo creato l'opera nella nostra mente, pensando a un ideale che ora vogliamo mutare in realtà. Vogliamo sentire la musica che abbiamo sognato, concretizzare l'armonia volatile che abbiamo solo percepito, eternarla nel Rock e accorgerci che quanto stiamo facendo potrà CAMBIARE il volto del Rock e poi, forse, anche delle persone.
I seminari allo Young Vic si rivelarono essere un fallimento. Poche persone si presentarono (tra l'altro si svolgevano alla mattina), e a loro non fu concesso accedere agli strumenti di alcun tipo. Gli Who suonarono qualche pezzo su basi pre-registrate ma la cosa era ovvio che non funzionava. L'ultimo giorno suonarono un set di vecchi successi e la cosa morì lì, con grandissima delusione di Townshend.
Kit Lambert, manager e produttore all'epoca e gran catalizzatore delle idee di Townshend in passato, propose loro di volare a New York e di registrare i nuovi brani nei nuovi studi Record Plant. Questi studi si rivelarono essere ottimi, e le registrazioni procedettero bene. Molti brani vennero registrati in quel periodo, grazie anche al fatto di esser già stati provati allo Young Vic: Won't Get Fooled Again, Behind Blue Eyes, Baba O' Riley, Love Ain't For Keeping, Let's See Action, Getting In Tune, Bargain, Pure And Easy, Going Mobile, Greyhound Girl, The Song Is Over, Teenage Wasteland, Mary, Too Much Of Anything e Time Is Passing.
Townshend però era comprensibilmente in completa confusione e arrivò alla conclusione che era necessario ridimensionare il progetto, eliminando quindi anche la parte cinematografica, e limitandosi a chiedere una mano a Kit Lambert nell'organizzare una sequenza coerente di brani per un album. Mentre si avviava da Kit per proporre l'idea, Townshend lo sentì parlare non bene di lui, e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Townshend si sentì tradito, e comunicò ai compagni di band che abbandonava le registrazioni. Ciò alimentò ulteriormente la sua crisi, visto anche che erano passati ben due anni da Tommy, e all'epoca era tanto, troppo tempo senza un album.

Di ritorno a Londra, si pensò di ingaggiare il tecnico Glyn Jones, con l'intenzione di farlo lavorare con Kit alla realizzazione di un album, cosa che lui rifiutò non volendo lavorare con Lambert. Townshend aveva ancora una sottile speranza di poter almeno realizzare un doppio album, aveva abbastanza canzoni per farlo, magari con una copertina apribile con all'interno il suo manifesto di Lifehouse. Glyn ascoltò le tracce registrate ai Record Plant e disse che erano buone, ma che si poteva fare di meglio; così si riprese a registrare agli Olympic Studios. Pete tentò di spiegare il concetto di Lifehouse anche a Glyn Jones, che però non nascose il fatto di non averci capito nulla.
Proprio durante l'inizio delle registrazioni, gli Who dovettero esibirsi un'ultima volta allo Young Vic, il 26 Aprile: la registrazione di quel concerto, o perlomeno gran parte di essa, finì nel secondo CD della versione Deluxe di Who's Next decenni dopo, con una scaletta in grandissima parte incentrata sui brani di Lifehouse. Durante le prove fu ovvia l'impossibilità di usare sintetizzatori sul palco, rendendo quindi necessario l'uso estensivo di basi pre-registrate, e lo stesso Townshend si rivelò stupito di come Keith Moon fosse in grado di suonarci sopra facilmente, in tempi in cui avere una base in cuffia per i batteristi non era certo usanza comune.
Le registrazioni con Glyn Jones continuarono, e lui fu in grado di organizzare una tracklist molto efficace condensando il tutto in un singolo album, chiamato "Who's Next". Townshend fu molto deluso da tutto questo, anche dalla copertina, ma fu comunque in grado di dare merito a Jones per aver letteralmente compiuto un miracolo nel riuscire a far uscire un album vero e proprio, viste le circostanze. E che album! Finirà per comprendere:

  1. Baba O' Riley
  2. Bargain
  3. Love Ain't For Keeping
  4. My Wife (brano di Entwistle non parte di Lifehouse)
  5. The Song Is Over (comprendente una reprise di Pure And Easy sul finale, brano non compreso nell'album)
  6. Getting In Tune
  7. Goin' Mobile
  8. Behind Blue Eyes
  9. Won't Get Fooled Again

Tra i brani inutilizzati, ma presenti nelle session:

  • Let's See Action uscì come singolo nell'Aprile 1971.
  • I Don't Even Know Myself uscì come lato B del singolo Won't Get Fooled Again nel 1971
  • Water (suonata in quel periodo ma difficilmente parte di Lifehouse) uscì come lato B di 5:15 e Love Reign O'er Me nel 1973.
  • Pure And Easy, Too Much Of Anything, Put The Money Down e Naked Eye (queste ultime non è sicuro al 100% che fossero parte di Lifehouse, ma è comunque probabile) finirono nella raccolta Odds And Sods del 1974. Nella rimasterizzazione del 1998 vennero aggiunte Time Is Passing, una versione di Love Ain't For Keeping cantata da Pete Townshend e Water.
  • I demo di Townshend di Pure And Easy, Time Is Passing e Let's See Action finirono nel suo album solista Who Came First nel 1972.
  • Molti di questi brani vennero poi aggiunti nella versione rimasterizzata di Who's Next.
  • A creare ulteriore confusione, è importante notare che di molti brani esistono i demo di Townshend, le versioni al Record Plant e quelle all'Olympic; è normale quindi scoprire versioni alternative di brani familiari (ad esempio in Odds And Sods c'è una versione di Pure And Easy che è diversa da quella di Who's Next rimasterizzato).

Townshend però non abbandonò mai del tutto l'idea di Lifehouse, ed è difficile però dire con certezza come e quando l'idea fu seriamente riconsiderata. Si ipotizza che brani come Relay, Join Together e la già citata Put The Money Down, di poco successivi, siano correlati. Così come Slip Kid, da The Who By Numbers del 1975. Tutti questi brani furono inseriti in Lifehouse Chronicles di Townshend nel 2000, facendo quindi intendere che in qualche modo possano essere collegati ad un'idea, magari successiva, del progetto.
Ciò che si sa è che il tutto fu ripreso un po' più seriamente e coerentemente poco prima dell'album Who Are You, nel 1978. Si dice infatti che l'intenzione fosse quella di basare presumibilmente un album su di una storia simile a quella del Lifehouse originale, ma ambientata 200 anni dopo, dove si tenta sostanzialmente di ricreare quel concerto. Si pensa che alcune canzoni, poi parte dell'album Who Are You, fossero intese per quel progetto, e che parlino di musica e scrittura come metafora della vita. Non per niente in Lifehouse Chronicles ritroveremo Who Are You, Sister Disco e Music Must Change.
Nel 1980 Townshend, insieme ad Entwistle, tentò di realizzare un copione per un film basato su Lifehouse, ma a quanto pare non se ne fece nulla a causa del fatto che Townshend si innamorò della compagna di colui che sarebbe dovuto essere il regista (si dice che il brano Athena, da It's Hard del 1982, sia dedicato a lei).

4 - The Lifehouse Chronicles


Dopo tutti questi tentativi falliti, finalmente nel 1998 la BBC approcciò Townshend con l'idea di realizzare una sorta di "radio play" basato su Lifehouse, usando musica orchestrale con composizioni sia sue che di compositori barocchi come Henry Purcell, il tutto orchestrato dalla futura moglie Rachel Fuller . Ne venne fuori un'opera di circa 2 ore che venne trasmessa su BBC Radio 3 il 5 Dicembre 1999. Le reazioni non furono entusiasmanti, ma si decise di ampliare il progetto ulteriormente, tanto da far uscire un cofanetto di 6 CD il 17 Febbraio 2000. Esso era disponibile solamente tramite il sito ufficiale di Townshend e ai suoi concerti. Al suo interno si poteva trovare l'intera radio play, i brani orchestrali, vari esperimenti sonori di Townshend, versioni live e ri-registrate di brani del progetto, ma soprattutto i demo originali. I primi 2 Cd infatti contenevano demo di varie epoche, anche di brani non suonati dagli Who, e ci permettono quindi di goderci una versione completa, anche se revisionata, di Lifehouse. O di quello che avrebbe potuto essere, perchè sempre di demo si tratta. La scaletta è la seguente:

CD 1
  1. Teenage Wasteland
  2. Going Mobile
  3. Baba O' Riley
  4. Time Is Passing
  5. Love Ain't For Keeping
  6. Bargain
  7. Too Much Of Anything
  8. Music Must Change
  9. Greyhound Girl
  10. Mary 
  11. Behind Blue Eyes
  12. Baba O' Riley (instrumental)
  13. Sister Disco
CD 2
  1. I Don't Even Know Myself
  2. Put The Money Down
  3. Pure And Easy
  4. Getting In Tune
  5. Let's See Action
  6. Slip Kid
  7. Relay
  8. Who Are You
  9. Join Togehter
  10. Won't Get Fooled Again
  11. The Song Is Over
Poco dopo la pubblicazione si tennero una manciata di concerti dedicati a Lifehouse Chronicles, con orchestra e band allargata. Il più noto fu quello a Sadler's Wells, pubblicato poi in DVD nel 2002 con il titolo Music From Lifehouse. 
Quindi, capitolo chiuso? Per quanto riguarda la storia di Lifehouse forse si, ma per alcuni concetti di base non proprio.


5 - Riferimenti a Lifehouse in altre opere di Pete Townshend


Tolte le opere direttamente correlate, ci sono vari riferimenti a Lifehouse sparsi in giro. Uno dei primi fu nell'album Psychoderelict del 1993. Un album particolare perchè, nella sua versione originale, comprendeva parti recitate da attori tra le canzoni. Il che fu considerato un po' indigesto e ne fu poi pubblicata una versione "music only". Il punto però è che il protagonista, Ray High (curioso caso di omonimia con il Ray di Lifehouse con cui, però non pare avere collegamenti diretti), una rockstar di mezz'età in piena crisi creativa, con vari stratagemmi (su cui non sto a dilungarmi qui) ritorna in scena. Tra vari riferimenti auto-biografici, è curioso notare che uno dei più grandi rimpianti di Ray è quello di non esser stato in grado, da giovane, di portare a termine la sua grande opera "Gridlife". Impossibile non notare i riferimenti a Lifehouse quindi, accentuati anche da intermezzi strumentali che sono palesi riarrangiamenti di Baba O' Riley e Who Are You.

Il protagonista di Psychoderelict Ray High ritorna, invecchiato, in un'altra opera di Townshend: The Boy Who Heard Music. Inizialmente una novella, poi vera e propria suite che occupò gran parte di Endless Wire, album di ritorno degli Who del 2006. Se la storia in sé di nuovo non ha riferimenti a Lifehouse, è interessante notare come l'idea di base sia ancora presente nel metodo: infatti Townshend nel 2005 pubblica la novella sul suo sito aprendosi a discussioni e consigli con chiunque, permettendo così a più persone di contribuire. Successivamente, in contemporanea alla pubblicazione dell'album Endless Wire, Townshend inaugura il Lifehouse Method.
In sostanza si trattava di un software in grado di creare ritratti musicali. Ci si iscriveva online e si riceveva una password che permetteva poi di creare le proprie composizioni. Il team musicale dietro al sito avrebbe poi scelto alcuni di questi ritratti musicali e li avrebbe estesi in composizioni più grandi che sarebbero poi state presentate in un concerto o una serie di concerti, inviando poi una percentuale degli eventuali ricavi ai proprietari dei ritratti usati. Il sito generò circa 10.000 ritratti fino alla sua chiusura nel 2008. Purtroppo però fino ad oggi non c'è stato alcun concerto.
Il sistema di composizione che stava alla base del Lifehouse Method portò però ad un album di musica elettronica di Lawrence Ball, prodotto dallo stesso Townshend e Bob Lord, dal titolo Method Music, nel 2012.

6 - La musica e le canzoni


Se da un lato ci si potrebbe accontentare di Lifehouse Chronicles come rappresentazione definitiva di quello che sarebbe potuto essere Lifehouse, dall'altro si può fare di meglio. Il primo passo potrebbe essere quello di sostituire nella tracklist i demo di Townshend con le rispettive versioni degli Who (quando esistenti), recuperandole da Odds And Sods, Who's Missing e rimasterizzazioni varie. Ma anche facendo così, ci si ritroverebbe in mezzo canzoni successive al periodo di lavorazione sul progetto originale. Quindi, tenendo come base Lifehouse Chronicles, togliendo canzoni realizzate successivamente e dopo aver letto varie teorie a riguardo, qui cercherò di illustrare la musica che avrebbe composto il progetto originale e tenterò di organizzarne a grandi linee una sorta di tracklist.
O perlomeno fornire una guida per crearne una.

  • Pare evidente che il primo brano non possa che essere Teenage Wasteland. Molto probabilmente ci sarebbe stata una sorta di introduzione, magari analoga a quella di Baba O' Riley o comunque simile, ma senza ombra di dubbio questa ballata con il protagonista Ray che parla in prima persona avrebbe introdotto perfettamente la storia. Interessante notare che non esiste una versione degli Who di questo brano.
  • Il secondo brano di fatto dipende da cosa si sarebbe fatto seguire nella storia a questo punto. In Lifehouse Chronicles abbiamo la vivace Going Mobile, a descrivere la vita in caravan della famiglia di Ray, Sally e Mary; mentre in alcune versioni si trova Time Is Passing, su cui torno successivamente.
  • In Lifehouse Chronicles a questo punto troviamo Baba O' Riley, ripresa in versione strumentale più avanti. Secondo me però non ha molto senso, avendo avuto poco prima Teenage Wasteland, e credo sia più sensato spostarla più avanti, al posto della versione strumentale, vedremo poi perchè.
  • Love Ain't For Keeping è più o meno sicuro che sia tra i primi brani in quanto canzone d'amore da parte di Ray per la moglie Sally, quindi prima della fuga di Mary. Di solito piazzata intorno a Going Mobile.
  • La gradevole Time Is Passing può essere piazzata un po' dove si vuole nel primo gruppo di brani, essendo una chiara presentazione del personaggio di Bobby l'hacker: di fatto dipende dalla scelta di voler focalizzarsi sulla famiglia di Ray, Sally e Mary all'inizio o di fare una carrellata di presentazioni anche di altri personaggi.
  • A questo punto alcune versioni (non in Lifehouse Chronicles) piazzano la cover di Baby Don't You Do It a rappresentare il brano che Mary sente alla radio, trasmesso nel programma di Bobby. Come detto non ve ne è traccia in Chronicles, ma può aver senso. Doveroso notare che nello stesso periodo suonarono live altre cover, (I'm A) Roadrunner e Bony Moronie, che non so se furono registrate ma potrebbe anche essere. 
  • La posizione di Baba O' Riley, come detto poco fa, poteva essere variabile, e potrebbe rappresentare la sperimentazione di Bobby sull'unica nota. Se interpretata così, si può piazzare in quasi qualunque punto nella prima parte della storia. D'altro canto però il testo in gran parte uguale a quello di Teenage Wasteland (in questo senso può anche essere una sorta di reprise) in cui era Ray a parlare, rende difficile pensare che qui sia Bobby a farlo. Insomma, è difficile dire con certezza il ruolo e la posizione di questo brano.
  • Il trittico Mary, I Don't Even Know Myself e Greyhound Girl è spesso posizionato a questo punto dell'album. Queste tre canzoni sono incentrate sul rapporto tra Mary e Bobby dopo la fuga da casa di lei ed il loro incontro, e anche se possono esser disposte in ordine diverso, può aver senso raggrupparle. A meno che, come in Lifehouse Chronicles, non si voglia intervallare il tutto con altri brani e parti di storia: lì sono scelte, ed è difficile dire quale possa essere stata la più realistica nel 1971.
  • Bargain, se interpretata in modo puramente letterale, è facile pensare che racconti il momento in cui il Ray decide di partire alla ricerca della figlia Mary. Quindi il suo posizionamento nella scaletta dipende esclusivamente da quando si vuole raccontare questo fatto particolare, se prima o dopo l'incontro fra Mary e Bobby.
  • Behind Blue Eyes è spesso indicata come la canzone che descrive Jumbo, colui che gestisce la griglia, e di fatto il principale antagonista della storia oltre al governo in generale. Di nuovo, il suo piazzamento in scaletta dipende da quando si vuole introdurre Jumbo, ma secondo me ha senso farlo all'arrivo di Bobby e Mary a Londra per il concerto, quindi certamente successivamente al loro incontro.
  • Too Much Of Anything in The Lifehouse Chronicles è piazzata molto prima nella tracklist, ma secondo me ben si adatta a descrivere l'esperienza di chi vive nei bozzoli o suits, dove grazie alla tecnologia possono vivere numerose esperienze virtuali, ben più che nella vita reale. Quindi anche qui, dipende da quando si vuole affrontare l'argomento in questione, e a mio parere l'arrivo in città è un ottimo momento per farlo.
  • A questo punto è praticamente appurato che Let's See Action e Getting In Tune siano consecutive, anche se è da discutere in che ordine. La prima può rappresentare l'arrivo sul luogo del concerto e gli ultimi preparativi, mentre la seconda può essere il brano introduttivo del concerto, avendo riferimenti più strettamente musicali della prima: "Sto cantando questa nota perchè si adatta bene agli accordi che sto suonando". 
  • Pure And Easy è il brano manifesto dell'intero progetto, quello in cui si parla apertamente del concetto di unica nota perfetta. Il suo piazzamento è molto incerto: in Lifehouse Chronicles la troviamo prima di Let's See Action e Getting In Tune, mentre in altre versioni non ufficiali la troviamo dopo. Si può quasi certamente dire che questo brano rappresenta il momento in cui Bobby espone l'idea dell'unica nota prima o durante il concerto ai presenti, quindi a grandi linee il suo piazzamento nella tracklist è sicuramente vicino ai due brani citati sopra.
  • A questo punto in Lifehouse Chronicles troviamo una serie di brani all'epoca non ancora composti: Slip Kid, Relay, Who Are You e Join Together. O meglio, Slip Kid e Who Are You sono indubbiamente successive, mentre per Relay e Join Together non è esclusa la possibilità che fossero state scritte proprio all'epoca di Lifehouse. Il fatto però è che furono registrate solamente nel 1972, quindi è difficile pensare che potessero far parte di una tracklist del 1971, anche se a livello di storia potevano avere un senso.
  • A questo punto si arriva forzatamente a Won't Get Fooled Again, in corrispondenza del momento in cui l'armata di Jumbo entra con la forza nella Lifehouse e l'unica nota viene suonata facendo sparire tutti.
  • The Song Is Over chiude perfettamente l'album, sia a livello di testo, sia per la reprise di Pure And Easy sul finale sfumato; un finale molto suggestivo.
  • Una nota a margine riguarda Put The Money Down, Water e Naked Eye, brani di quel periodo che però non si sa bene se e come avrebbero potuto far parte della storia. Si sa però che almeno Naked Eye fu registrata agli Olympic Studios contemporaneamente agli altri brani, quindi non è da escludere la sua possibile inclusione. Dove di preciso nella tracklist è difficile a dirsi; l'unica versione che ho visto includerla la posiziona all'arrivo di Mary e Bobby in città, prima di Behind Blue Eyes.




Quindi, spero che questa analisi vi sia piaciuta e/o interessata. Il mio consiglio è perlomeno di ascoltare l'album Who's Next e gli altri brani di questo progetto, perchè al di là dell'importanza o della bellezza della storia di base, si tratta di ottimi brani. E spero anche che questa mia analisi possa aver dato un'idea della mente geniale di Pete Townshend, mai abbastanza celebrato, o perlomeno non per i motivi giusti.