sabato 14 gennaio 2023

Yummy Yummy Yummy - La storia del Bubblegum anni '60


Probabilmente la parentesi più spudoratamente commerciale del pop americano degli anni '60, quella spesso vista più negativamente dagli appassionati di musica, il cosiddetto Bubblegum fu in realtà un fenomeno estremamente interessante, che, seppur spesso (ma non sempre) lontano dalle sperimentazioni che coloravano il pop di fine decennio, merita di essere analizzato, almeno come fenomeno culturale. 

Il Bubblegum, come ogni genere, non nacque dal nulla, e si possono quindi trovare tracce e ispirazioni fin dai primi anni '60, come vedremo più avanti, ma, nonostante ciò, fu di fatto uno dei primi casi in cui la musica fu "creata a tavolino" da produttori e discografici, cercando di andare a coprire una nuova fascia demografica di possibili acquirenti di 45 giri: i pre-teenager, o in generale il pubblico molto giovane. Via quindi a testi molto semplici, a volte vere e proprie filastrocche, spesso con doppi sensi di natura sessuale a sfondo culinario (aspetto, questo, spesso sottovalutato ma che ebbe un enorme impatto culturale e ben rappresenta la rivoluzione sessuale tra i giovani dell'epoca), supportati da un ritmo costante e martellante, con un basso pulsante onnipresente, spesso unito a qualche linea melodica tracciata da un organo combo (Farfisa o Vox) e ad una voce squillante che risalta in mix spesso molto compressi, saturati, perfetti per spiccare in radio. Insomma una musica eccitante, carica di energia, perfetta per alzarsi e ballare.

Il termine Bubblegum pare sia stato coniato dal duo di produttori Jerry Kasenetz e Jeffry Katz, i quali, durante una discussione riguardante il pubblico a cui era destinata quel tipo di musica, capirono che si trattava di ragazzini, e all'epoca molti di essi masticavano le gomme, e da lì il parallelismo con la musica a loro indirizzata, anch'essa dalla simile natura "usa e getta".  Secondo questa definizione, in molti includono nel genere praticamente ogni tipo di canzone pop indirizzata ad un pubblico giovane, arrivando persino a tracciare una linea fino agli idoli dei teenager dei tempi più recenti, o includendo cose precedenti; tuttavia, ai fini di questo articolo, restringeremo la definizione allo stile musicale descritto poco sopra, e al suo relativo picco di fine anni '60. 

Le ispirazioni

Se si guarda a tutto il decennio dei '60, si può notare come questo sound si fosse formato gradualmente, fondendo diversi elementi provenienti da diversi "territori". Se guardiamo, ad esempio, alla discografia di un artista come Tommy Roe, si possono notare brani come Sheila del 1962, la cui figura ritmica (fortemente ispirata da Buddy Holly) non è distante da quella che caratterizzerà poi il Bubblegum, così come altri suoi brani successivi, come Sweet Pea o Hooray For Hazel del 1966, tanto che poi lui stesso, dopo una parentesi più psichedelica tra il 1967 ed il 1968 (guidata soprattutto dal contributo del produttore Curt Boettcher), si butterà in pieno nel genere, anche con discreto successo, con Dizzy nel 1969. Discorso simile per Tommy James and The Shondells, che con la loro Hanky Panky del 1965 di sicuro hanno lasciato il segno, e nel 1967, con i due album I THINK WE'RE ALONE NOW e GETTIN' TOGETHER in particolare (ma anche con il successivo singolo Mony Mony, seppure poi l'omonimo album fosse più di stile soul/r&b) si sono tuffati in pieno nel miglior bubblegum, non solo con le relative title track, per poi allontanarsene con vergogna poco dopo (vedasi Crimson & Clover, che seppur ancora estremamente commerciale, guarda più a certa psichedelia più estesa).    

Di certo un genere che ha contribuito moltissimo al sound del bubblegum fu il garage, che si affermò intorno alla metà degli anni '60. Con alle spalle il sound sporco del rock'n'roll e certo surf più spinto (si pensi ai Trashmen), dall'eccitante e poco educato garage presero vita molteplici generi diversi, tra cui è molto difficile tirare delle linee di separazione: da una parte c'è la psichedelia figlia dei 13th Floor Elevators, dall'altra c'è il punk che arriverà nel decennio successivo, ma nel mezzo c'è proprio il bubblegum. Come anticipato, infatti, ciò che caratterizza il sound classico di questo genere, perlomeno nella sua prima ondata tra il '67 ed il '69, è la sua sonorità molto compressa, sporca, spesso con una voce molto nasale ed acuta che spicca particolarmente: tutti elementi che troviamo in band come i Seeds, i già citati Elevators, gli stessi Trashmen, perfetto esempio di ponte tra il surf ed il garage, ma anche in espressioni più "commerciali" del genere come gli Electric Prunes. 

La Super K Productions

La prima vera e propria hit del genere credo che si possa dire senza alcun dubbio che sia Little Bit O' Soul dei Music Explosion, pubblicata ad Aprile 1967, prodotta da Jerry Kasenetz e Jeffry Katz e scritta nel 1964 dal duo di compositori inglesi John Carter e Ken Lewis (tenete a mente questi due ultimi nomi perché ci torneremo più avanti). Gran parte degli elementi tipici del genere sono presenti in questa nuova versione del brano, a parte forse il testo, che ancora non risponde agli stereotipi essendo stato scritto anni prima. Tutto l'album dei Music Explosion è fortemente controllato da Kasenetz e Katz, che lo riempiono di palesi ri-scritture di brani celebri, e la band, forse frustrata dalla situazione, si sciolse poco dopo. Il duo di produttori, però, non demorse, e pochi mesi dopo tirò fuori il nome Ohio Express.

Certamente uno dei nomi più celebri del bubblegum, gli Ohio Express sono anche una delle più spudorate espressioni della metodologia tipica del genere. La prima mossa di Kasenetz e Katz fu ripescare un singolo del 1966 dei Rare Breed che all'epoca ebbe scarso successo, una rielaborazione di Louie Louie intitolata Beg, Borrow And Steal, remixarlo e ripubblicarlo sotto il nuovo nome Ohio Express, di cui i produttori erano proprietari. Il singolo, pubblicato ad Agosto 1967, raggiunse la vetta delle classifiche, ma di fatto mancava una band per farne promozione. Si decise quindi di rivolgersi ad una band chiamata Sir Timothy & The Royals, di Mansfield, Ohio, composta da Dale Powers, Doug Grassel, Dean Kastral, Jim Pfahler e Tim Corwin, per la promozione, ma la distanza geografica dalla sede della Super K (lo studio di produzione di Kasenetz e Katz) di New York rese molto difficile il loro coinvolgimento nella registrazione del primo album degli Ohio Express, e di conseguenza si decise di coinvolgere, dove necessario, svariati session men sotto contratto con la Super K. L'album BEG, BORROW AND STEAL uscì nell'autunno del 1967 includendo il singolo dei Rare Breed, alcuni brani con i Royals, ed altri realizzati da session man (tra cui Joe Walsh, poi nella James Gang e negli Eagles). Di fatto, questa operazione estremizza ciò che era stato fatto con i Monkees (quindi usare compositori, produttori e musicisti professionisti per realizzare dischi che dei personaggi "di facciata" avrebbero interpretato nelle occasioni promozionali, anche se, ricordiamolo, i Monkees presero ben presto il controllo artistico della situazione), che di certo hanno ispirato questa metodologia. Purtroppo l'etichetta che pubblicò l'album, la Cameo-Parkway Records, andò in bancarotta poco dopo l'uscita dello stesso, e così la Super K portò i suoi Ohio Express sotto la Buddah Records.



La Buddah Records, i 1910 Fruitgum Company e i Lemon Pipers

Nata nel 1967 dall'insoddisfazione del fondatore della Kama Sutra Records (i cui artisti di punta erano i Lovin' Spoonful) nei confronti del contratto di distribuzione con la MGM, la Buddah Records nasce con l'idea di occuparsi di diversi generi, non per nulla il primo album sotto la nuova etichetta fu SAFE AS MILK di Captain Beefheart & His Magic Band, ma di fatto lascia il segno come la principale etichetta Bubblegum dell'epoca. Art Kass, capo della Kama Sutra e poi fondatore della Buddah, incarica Neil Bogart della gestione della nuova etichetta, e una delle sue prime decisioni è l'assunzione del duo di produttori Kasenetz e Katz nella seconda metà del 1967, sia per portare avanti i loro Ohio Express, sia per occuparsi di altre band dal sound similare. 

Proprio in quel periodo un'altra importante band fu messa sotto contratto dalla Buddah: i 1910 Fruitgum Company. Band del New Jersey fondata nel 1966 da Frank Jeckell, Mark Gutkowski, Floyd Marcus, Pat Karwan e Steve Mortkowitz, i 1910, seppure spesso affiancati agli Ohio Express (con cui ci fu anche una evidente sovrapposizione di brani, a volte riproposti da entrambe le band), in realtà erano una band vera e propria, e la loro prima hit, Simon Says, seppur scritta da Elliot Chiprut, porta il loro marchio nell'arrangiamento. Simon Says, uscita a Dicembre 1967 e prodotta dal duo della Super K, apre ufficialmente la stagione del Bubblegum, incarnando in tutto e per tutto le caratteristiche della formula vincente che poi caratterizzerà l'intero genere. Seguirono quindi May I Take A Giant Step (Into Your Heart), 1,2,3 Red Light e Goody Goody Gumdrops nel 1968 e Indian Giver nel 1969, trasformando i 1910 in uno dei nomi di punta del genere. Simon Says rimane il brano più celebre, e l'unico ad aver raggiunto altissime posizioni in classifica anche in UK, ma i brani successivi non rimasero troppo indietro. Ovviamente a supporto dei singoli uscirono anche degli album omonimi, ma sugli album torneremo dopo, perché c'è un discorso interessante da fare. 


Nonostante l'enorme successo di Simon Says, il primo numero uno in classifica della Buddah Records fu Green Tambourine dei Lemon Pipers a Febbraio 1968. Molto spesso si tende ad inserire i Lemon Pipers nel Bubblegum, sia per questo brano che per altri come Jelly Jungle, ma di fatto, nonostante la natura estremamente commerciale dei singoli in questione, stilisticamente non si può dire che rientrino totalmente nei canoni del genere, quindi li cito soprattutto in quanto parte della Buddah, ma anche perché sono un perfetto esempio di un approccio di cui si parlerà a fine articolo. 

Parallelamente, anche gli Ohio Express andavano portati avanti, e la svolta per questa "band" arrivò grazie al coinvolgimento del compositore e cantante Joey Levine. Levine era già piuttosto noto nell'ambiente, anche grazie all'album ID MUSIC della sua band The Third Rail, un gran bell'album uscito nel 1967, e già in quell'anno iniziò a proporre materiale alla Super K (Try It, nel primo album degli Ohio Express, è sua). Ad inizio 1968 Levine registrò un demo, realizzato con i musicisti di studio della Super K e con una sua voce guida, di un nuovo brano intitolato Yummy Yummy Yummy, e Neil Bogart lo apprezzò a tal punto da decidere di pubblicarlo così com'era, senza alcuna modifica. Il successo strepitoso del singolo fece sì che da quel punto in poi gran parte dei singoli degli Ohio Express furono composti e cantati da Levine, la cui acuta voce nasale divenne una caratteristica rappresentativa del genere. Ovviamente, una volta trovata la formula vincente, l'effettiva band ingaggiata per la promozione non suonò né cantò una singola nota nei successivi due album della band (CHEWY CHEWY e MERCY del 1969) e relativi singoli, tanto che, quando uscì, ad esempio, Chewy Chewy, la band non ne era al corrente, e quando il brano venne richiesto loro ai concerti ne rimasero alquanto stupiti, oltre che impossibilitati a suonarlo (si narra che un membro della band abbandonò in quel periodo proprio per questo motivo).

Nonostante l'obbligatoria pubblicazione degli album, il focus di questa operazione erano i singoli, e gran parte del lavoro e dell'attenzione andava lì, tanto che, giusto per citare un aneddoto curioso, per evitare che certi DJ radiofonici, nella loro proverbiale ignoranza, trasmettessero erroneamente il lato B al posto del lato A di un 45 giri, spesso sul lato B veniva messo un brano mandato al contrario (come nel caso di Yummy Yummy Yummy degli Ohio Express, il cui lato B era una versione strumentale di Poor Old Mr. Jensen dei 1910 mandata al contrario), o uno particolarmente strano e non radiofonico (Sticky Sticky dietro a 1,2,3 Red Light dei 1910), in modo che la scelta di cosa trasmettere fosse la più ovvia possibile. Gli effettivi album, a volte, erano delle semplici raccolte di singoli o possibili tali, altre volte non solo, ma su questo torneremo a fine articolo. 

I progetti a nome Kasenetz-Katz

Come penso sia ovvio, il duo Kasenetz-Katz non si limitò a produrre gli Ohio Express e i 1910 Fruitgum Company, ma si occupò anche di altri progetti, sempre a grandi linee legati al bubblegum. Alcuni di essi portarono in copertina proprio il nome del duo di produttori, ed è il caso, ad esempio, di KASENETZ-KATZ SINGING ORCHESTRAL CIRCUS e QUICK JOEY SMALL, quest'ultimo a nome di Kasenetz-Katz Super Circus. Il primo è un album che testimonia una sorta di concerto-festival promozionale in cui tutti i nomi di punta del bubblegum si incontrano e si alternano su di un palco (alla Carnegie Hall il 7 Giugno 1968), per un totale di 46 membri suddivisi in 8 band, alcune vere, alcune fittizie: 1910 Fruitgum Company, Ohio Express, Music Explosion, Lt. Garcia's Magic Music Box, Teri Nelson Group, 1989 Musical Marching Zoo, J.C.W. Rat Finks e St. Louis Invisible Marching Band.
Di fatto, però, l'album contiene 10 tracce realizzate in studio dai soliti turnisti con giusto qualche applauso finto aggiunto in un paio di momenti. Ci sono cover (We Can Work It Out, We've Lost That Lovin' Feeling, Hey Joe) e alcune delle maggiori hit (Simon Says, Little Bit O' Soul), e Jamie Lyons introduce i gruppi. QUICK JOEY SMALL invece si presenta come un normale album in studio, con la title track come singolo trainante di discreto successo, un altro brano di Levine. Il successivo, e ambizioso, CLASSICAL SMOKE del 1969 tentava invece di combinare la musica classica e il Bubblegum, proponendo riarrangiamenti, in stile, appunto, Bubblegum, di famosi brani classici. 


Altre band e singoli Bubblegum

Va da sé che, oltre ai grandi nomi principali, all'epoca furono in molti a tentare di accodarsi a questa nuova tendenza musicale, non sempre con grande successo. I già citati Tommy Roe e Tommy James & The Shondells se la cavarono molto bene a livello commerciale, questi ultimi in particolare, con gli album I THINK WE'RE ALONE NOW e GETTIN' TOGETHER riuscirono a pubblicare alcuni dei lavori più solidi ed interessanti del genere, dove, ovviamente, convivevano svariati approcci alla musica pop dell'epoca, comprese tendenze barocche e, più in generale, psichedeliche, ma su questo aspetto torneremo a fine articolo. Sempre sotto la Buddah ci furono anche i Salt Water Taffy, che ebbero un discreto successo con la loro Finders Keepers, mentre il loro unico album spingeva di più su sonorità sunshine, complice la loro natura di gruppo vocale. 

Ci sono poi tantissimi casi di band tutt'altro che famose che cercarono di imboccare questa via: si possono citare, ad esempio, i Candymen, all'epoca backing band di Roy Orbison, che pubblicarono due album di stampo bubblegum tra il '67 e il '68, oppure i Tricycle, prodotti da Kasenetz e Katz, nel cui unico album del 1969, oltre alle consuete cover di brani come Simon Says e Poor Old Mr. Jensen, trova posto una hit bubblegum mancata come Mr. Henry's Lollipop Shop, oppure il più particolare THE MYSTICAL POWERS OF ROVING TAROT GAMBLE dei Queen's Nectarine Machine, sempre prodotti dalla Super K, o singoli isolati come la più oscura Captain Groovy and his Bubblegum Army, dell'omonimo ensemble fittizio creato dalla Super K, con Levine alla voce e i soliti session man coinvolti, concepita come sigla di un mancato cartone animato. Ci sono poi album interessanti come AND SUDDENLY dei Cherry People, il cui singolo omonimo ebbe anche un discreto successo, oppure i primi due album di Tommy Boyce e Bobby Hart, duo di compositori dietro ai primissimi successi dei Monkees (Last Tain To Clarksville, per dirne uno), che in qualche brano si avvicinarono molto al genere, come in quello forse più celebre, I Wonder What She's Doing Tonight?.
La lista sarebbe veramente lunghissima e impossibile da stilare in modo esaustivo, ma vi lascio un paio di video qua sotto per fari un'idea. 

La discesa e la migrazione in TV  

Il picco del Bubblegum classico si può dire che fu tra il 1968 ed il 1969, in quanto proprio in quest'ultimo anno si inizia a notare un cambiamento nel metodo di pubblicazione e promozione della musica di questo genere. Se, come detto precedentemente, l'esperienza dei Monkees ha in qualche modo ispirato la metodologia, ovviamente estremizzata, utilizzata per realizzare questo tipo di musica, è quasi ovvio che, ad un certo punto, anche questa nuova musica facesse a sua volta il salto verso la TV. Se infatti l'estremo successo commerciale dei primi Monkees fu indubbiamente spinto dall'omonima serie televisiva, non poteva passare molto tempo prima che qualcuno non ne sfruttasse nuovamente le potenzialità; e vista la ribellione dei quattro Monkees nel 1967 nei confronti della loro situazione, specialmente rivolta a Don Kirshner, direttore musicale nei loro primi due album allontanato dalla band alla ricerca di maggiore libertà artistica, non poteva che essere lui a riprendere in mano le potenzialità del medium televisivo nel 1969. Proprio in quell'anno, infatti, la sua nuova creatura debuttò in TV, questa volta evitando che i protagonisti potessero ribellarsi, e quindi usando l'animazione, ecco gli Archies. La loro Sugar Sugar, ovviamente realizzata da session man dietro i personaggi animati, aprì le porte a tutta una serie di progetti similari, non sempre di animazione, come i Banana Splits, con i protagonisti vestiti con grossi costumi animaleschi, la cui sigla The Tra La La Song (One Banana, Two Banana) ebbe un enorme successo, o Lancelot Link, serie con come protagoniste delle scimmie, che, di nuovo, suonavano, mimando, musica Bubblegum. Questo aprì la strada ad altre serie televisive il cui elemento musicale era molto importante, e di conseguenza spingeva la vendita di relativi album e singoli, come la Partridge Family e Brady Bunch, le cui canzoni erano realizzate da session man e, a volte, cantate dagli attori. 

Ovviamente ciò rese obsoleto il bubblegum strettamente discografico, di certo non aiutato dall'abbandono di Levine alla Super K (scriverà anche qualche brano per i Banana Splits), il cambio di direzione dei 1910 Fruitgum Company (che vedremo poco sotto), e di altre band che ormai ne avevano abbastanza del genere e dei metodi utilizzati, e nonostante ci fu comunque qualche singolo sparso nella prima metà degli anni '70, questo genere sparì poi definitivamente, almeno così come lo si era conosciuto fino a quel momento. Kasenetz e Katz rimarranno attivi nell'ambiente discografico, raggiungendo nuovamente il successo nel 1977 con Black Betty, vecchio canto popolare afroamericano riadattato, con un testo modificato, e pubblicato dai Ram Jam. Curiosamente, fu l'ex chitarrista dei Lemon Pipers, Bill Barlett, a realizzarne una versione per la sua band di allora, gli Starstruck; il brano raggiunse un discreto successo locale, e i due produttori si interessarono, ripubblicarono quello stesso brano, nella stessa identica versione, giusto un po' accorciata, sotto il nome Ram Jam, di fatto costruendo una band per l'occasione intorno a Barlett. Inutile dire che a quel punto il brano ebbe un enorme successo che continua ancora oggi, e i Ram Jam si aggiunsero alla lunga lista di "one hit wonders". Tornando al Bubblegum, sicuramente nei decenni seguirà altra musica confezionata apposta per i ragazzini, ma sarà, ovviamente, diversa. 

La timida risposta inglese al Bubblegum

Non si può propriamente parlare di bubblegum inglese, in quanto il genere non ebbe altrettanto successo al di qua dell'oceano, tuttavia ci sono alcuni casi in cui si può notare perlomeno un'influenza, o qualche "incrocio". Il primo incontro importante è proprio nella prima hit bubblegum, la già citata Little Bit O' Soul dei Music Explosion, composta da John Carter e Ken Lewis, entrambi inglesi, nel 1964. I due compositori negli anni prenderanno parte a vari progetti discografici diversi, spesso utilizzandoli come veicolo per le loro canzoni, usando nomi e musicisti diversi di volta in volta, quindi un metodo non così lontano dal bubblegum americano, seppur non toccando mai fino in fondo quel genere. Tolto il loro prolungato coinvolgimento nel gruppo vocale Ivy League, ricordato principalmente per Funny How Love Can Be (ma anche per l'ottima My World Fell Down, poi resa definitiva dagli americani Sagittarius), già i successivi Flower Pot Men, ricordati per Let's Go To San Francisco, altro non erano che session man sotto il controllo dei due, così come i Friends di Piccolo Man, insomma non si era così lontani dalla Super K. un altro incontro importante fu tra la Super K e i futuri membri dei 10 CC, i quali vennero ingaggiati per il brano Sausalito (Is The Place To Go) degli Ohio Express nel 1969, in una fase in cui, visto l'abbandono di Levine, il duo di produttori era alla ricerca di nuovi compositori ed interpreti per i loro singoli. 

Musicalmente, invece, si possono tracciare dei parallelismi con band come gli Herman's Hermits, il cui pubblico era sostanzialmente sovrapponibile a quello del bubblegum, e la musica non così distante, oppure Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich, il cui sound duro ai limiti del garage e la natura commerciale di molti loro singoli (Hold Tight, Save Me), li posiziona non troppo distanti dal genere. 
Di fatto, però, siamo di fronte ad eccezioni e casuali somiglianze, stilistiche o di metodo, non ad una vera e propria versione inglese del genere.  

Solo bubblegum?


Come accennato poco sopra, non tutte le band coinvolte nel Bubblegum erano felici della loro situazione, e anzi molto spesso accettavano controvoglia le condizioni giusto in luce dei guadagni economici; tuttavia la loro indole creativa e la loro identità a volte prendevano il sopravvento. Già ascoltando gli album dei Lemon Pipers, che nonostante non li reputi strettamente Bubbblegum erano sotto la Buddah e i loro singoli di successo sono stati realizzati con la stessa metodologia, ci si rende conto dell'alternanza di brani pop molto commerciali, con arrangiamenti orchestrali, barocchi, e altri più distorti, con lunghi assoli, tra il garage e la psichedelia più pesante. Ovviamente ciò è una perfetta rappresentazione di ciò che poteva accadere nel momento in cui si lasciava la band libera di riempire l'album dopo aver realizzato i singoli richiesti, visto che il mercato ancora si focalizzava in gran parte lì. Discorso simile si può fare con gli Ohio Express, ad esempio nel loro secondo album, dove a Yummy Yummy Yummy e Down At Lulu's si alternano la pesante First Grade Reader e la lunga e carica di organo Hammond The Time You Spent With Me, che ben poco hanno a che fare con il genere con cui di solito li si identifica. Ci sono poi i Crazy Elephant, nel cui omonimo album del 1969 la hit Gimme Gimme Good Lovin' è quasi l'eccezione in un album più tendente a certo rock organistico, nonostante la produzione della Super K. Ma l'esempio forse più eclatante riguarda proprio i 1910 Fruitgum Company, che nel 1969 pubblicano HARD RIDE, spinto dal singolo The Train, che è un album dai tratti decisamente più sperimentali, tra jazz, funk, sezioni rumoristiche, interventi di fiati distorti, lunghi brani dal blues al sinfonico, e nonostante sia praticamente dimenticato dalla Storia, si tratta di uno dei lavori più interessanti di quel periodo. 

Poi, in realtà senza andare a cercare i contrasti più estremi, è sempre interessante ascoltare gli album Bubblegum per intero, perché comunque c'è sempre qualcosa che esce da quei canoni, anche solo toccando parentesi più psichedeliche o orchestrali, in quanto in quel periodo il pop era al suo picco in termini di creatività e varietà, e anche questi album ne risentivano positivamente il più delle volte. 

Concludendo, vi lascio qua sotto una playlist di Spotify, curata dal sottoscritto, che include gran parte dei brani citati nell'articolo, o perlomeno quelli più attinenti al genere. Buon ascolto! 

martedì 3 gennaio 2023

Meat Loaf - Bat Out Of Hell III: The Monster Is Loose (2006) Recensione


Indubbiamente BAT OUT OF HELL è l'album che più di ogni altro ha spinto e caratterizzato l'intera carriera sia del cantante Meat Loaf che del compositore Jim Steinman fin dalla sua uscita nel 1977. Quel suo misto di rock'n'roll, teatro, musical, grandiosità "wagneriane", interpretato dall'enorme Meat Loaf, sia come voce che come presenza, con quella sua produzione tanto potente quanto sporca e caotica ad opera di Todd Rundgren, era qualcosa di unico ed irripetibile, ed infatti per tutti gli anni '80, per via di varie vicissitudini che non sto a raccontare qui, l'album non ebbe un vero e proprio seguito (anche se BAD FOR GOOD del solo Steinman e DEAD RINGER di Meat Loaf sono forse quelli che più si avvicinano), e il duo, di fatto, si separò fino alla fine del decennio. Proprio allora, infatti, nacque l'idea di tirare fuori un successore, che però vide la luce solamente nel 1993. 

BAT OUT OF HELL II: BACK INTO HELL è un altro capolavoro, seppur la sua natura sia un po' diversa dal primo capitolo: Steinman per tutti gli anni '80 si affermò come compositore per artisti come Bonnie Tyler, ed il suo stile si allontanò via via da quel contrasto fra enfatiche ballate e frenetico rock'n'roll del primo BAT, avvicinandosi più ad una sorta di rock da stadio, sempre molto teatrale ed esagerato, forse ancora di più che in passato, con brani lunghissimi e pieni di cambi, anche quelli che sembrano più semplici in superficie. BAT II è tanto un album unico quanto fermamente piantato nei primissimi anni '90, almeno quanto il primo lo fu negli anni '70, come sonorità, produzione (in quest'ultimo caso ad opera dello stesso Steinman) ed estetica generale. Il successo fu enorme, ma, di nuovo, il duo si separò per il resto del decennio.

Siamo quindi nei primi anni 2000, e finalmente si riprende in mano l'ormai leggendario titolo e si pensa a concludere la saga con un terzo ed ultimo capitolo, ma questa volta le cose non vanno lisce quanto in passato. Per motivi non ancora ben noti (da una parte si citano problemi di salute di Steinman, dall'altra problemi legali), dopo un po' di tempo in cui i lavori procedevano molto lentamente, Meat Loaf decise di continuare a lavorare a BAT III senza l'aiuto di Steinman, avvalendosi invece dell'importante contributo, sia come compositore che, soprattutto, come produttore, di Desmond Child. In molti, in luce di ciò, non riescono a considerare BAT III al livello dei primi due capitoli, proprio perché la mente dietro ai precedenti non è presente, e anche se metà dei brani nell'album sono di sua composizione, si tratta di cover e "scarti" da progetti poi non andati in porto, la mancanza di voce in capitolo di Steinman è, per molti, imperdonabile. Ma tolto questo aspetto, alla fine, la musica com'è? Davvero è così lontana dai precedenti? Sì e no.

Innanzitutto bisogna soffermarsi sull'elefante nella stanza: Desmond Child. Nel primo decennio dei 2000 in particolare, Child fu uno dei produttori e compositori più presenti in certo rock commerciale, dai Bon Jovi agli Scorpions, con il suo stile estremamente moderno e spesso caratterizzato da toni epici e grandiosi, e proprio questo suo stile caratterizza il sound di BAT III. Quindi, come anticipato, se il primo BAT suonava molto anni '70 ed il secondo era perfettamente inserito negli anni '90, il terzo acquisisce pregi e difetti di una certa produzione molto in voga negli anni 2000, quindi, in fondo, Steinman o no, sotto questo aspetto permane un senso di continuità nella natura del progetto. 

In BAT III Child mette mano a circa metà dei brani in qualità di compositore, spesso insieme ad altri (da John 5 a Nikki Sixx fino a Diane Warren), cercando di combinare il suo tipico stile moderno dell'epoca con una sorta di "imitazione" dello stile di Steinman, di cui Child è indubbiamente fan. Fin dalla prima traccia, The Monster Is Loose si mette bene in mostra un sound piuttosto pesante, quasi metal, con aggiunte tinte elettroniche ed orchestrali, ed un Meat Loaf ancora in ottima forma, aggressivo e carico come sempre e forse anche di più. Questo sound duro tornerà solamente in un altro caso, curiosamente in un brano di Steinman, In The Land Of The Pig, The Butcher Is King, composto per un musical su Batman poi cancellato, un altro brano aggressivo, a tratti quasi violento, certamente tra i migliori dell'album. Diversamente troviamo invece un vasto assortimento di ballate dai toni epici, dall'ottima Blind As A Bat di Child alla nuova versione, qui in duetto con Marion Raven, del classico di Steinman It's All Coming Back To Me Now (ottima l'idea del duetto, come ottima è l'interpretazione di Meat Loaf, tuttavia non convince troppo il sottoscritto il ruolo di Raven). Alive è forse la migliore approssimazione dello stile di Steinman in un brano di Child, seguito a ruota dall'ottimo duetto con Patti Russo in What About Love, mentre brani come If God Could Talk e Cry Over Me, seppur apprezzabili, lasciano un po' il tempo che trovano. Trova spazio anche il vecchio classico Bad For Good di Steinman, seppur in una versione accorciata (manca la sezione "Godspeed"), ottimamente interpretata da Meat Loaf, così come l'epico trittico conclusivo di Seize The Night (lungo brano orchestrale estratto dal musical Tanz der Vampire), The Future Ain't What It Used To Be (da ORIGINAL SIN del progetto Pandora's Box) e Cry To Heaven, tre ottimi brani, di nuovo ad opera di Steinman, che chiudono nel modo migliore l'album. 


Tutti i brani sono decorati ulteriormente dalla presenza di musicisti aggiunti come Brian May, Steve Vai, e dal ritorno, seppur solo su tre brani, di Todd Rundgren nel ruolo di direttore dei cori. Il tutto è caratterizzato dalla già citata produzione piuttosto moderna di Child, sempre molto "spinta", compressa e senza troppa dinamica, atta a far sembra tutto più "forte" e "potente" senza però riuscirci sempre del tutto, se a questo poi aggiungiamo una delle prime incursioni del maledetto Autotune (per fortuna usato poco e con molto tatto), si può capire perché questo terzo capitolo è considerato il peggiore della trilogia. I brani di Steinman sono, come sempre, ottimi, ma nessuno è stato scritto apposta per l'album, mentre i brani di Child sono perlopiù buoni e adatti allo stile di Meat Loaf, e sono convinto che se l'album non fosse uscito con un titolo così ingombrante, sarebbe stato accolto decisamente meglio. 

Perché in fondo BAT III è un ottimo album di Meat Loaf, tra i suoi più solidi, forse l'ultimo in cui lo si può sentire ancora in possesso della quasi totalità della sua iconica ed inimitabile voce, e l'assenza di Steinman, onestamente, pesa fino ad un certo punto, basti ascoltare il più recente BRAVER THAN WE ARE per capire quanto la totale collaborazione tra i due non fosse sempre sinonimo di indiscutibile qualità. 
BAT III è il BAT dei 2000: esagerato, moderno, sopra le righe, forse più serio (e anche qui, ciò è coerente con i tempi più moderni, ahimè), e quindi, nonostante tutto, è esattamente quello che doveva essere.