sabato 20 aprile 2019

Peter Gabriel - Rated PG (2019) Recensione

Che belle le uscite per il Record Store Day. Pubblicare album, singoli, EP potenzialmente interessanti in edizione limitata, in vinile, spesso su picture disc (che già il vinile è inferiore al CD come qualità sonora, aggiungiamoci uno strato di plastica colorata sopra...) rendendo quindi indispensabile il download in Flac (di nuovo, alla faccia della superiorità del vinile). Ennesima celebrazione del culto dell'oggetto al di sopra del contenuto (quando invece le due cose dovrebbero andare di pari passo in questi ambiti, anche se il secondo è infinitamente più importante del primo). Oggetto che inevitabilmente finirà su Ebay a prezzi indicibili nel giro di qualche giorno, giusto il tempo di scaricarsi i suddetti file Flac per ascoltarsi l'album in modo decente. Certo, iniziativa carina il Record Store Day, anche se ho come l'impressione che chi abitualmente compra dischi nei negozi lo farebbe indipendentemente dal giorno celebrativo, e chi non lo fa continuerà a non farlo; e vista la sfilza di negozi che continuano a chiudere credo sia ovvio da che parte la gente tenda a ricadere.
Detto questo, una delle uscite più interessanti per il RSD di quest'anno è questo Rated PG di Peter Gabriel, che in sostanza si tratta di una raccolta di canzoni tratte da colonne sonore di film di varie epoche (ed il che spiega sia il geniale titolo che la riuscita copertina). Non si può certo elevare Rated PG allo status di "nuovo album", ma la presenza di materiale difficilmente reperibile altrove lo rende in un certo senso la cosa più vicina a cui possiamo ambire oggi.
Si aprono le danze con la sinfonica That'll Do da Babe 2: Pig In The City del 1998, scritta da Randy Newman. Versione questa identica a quella che si può trovare online, ma è comunque una presenza gradita vista la sua assenza in un qualsivoglia album ufficiale. Segue Down To Earth da Wall-E del 2008, di nuovo in una versione identica a quella già conosciuta. Gran bel pezzo questo, forte di belle atmosfere e melodie, in linea con la produzione Gabrielana dagli anni '90 in poi.
Con This Is Party Man però le cose si fanno decisamente più interessanti. Risalente al 1995 ed utilizzata nel film Virtuosity, da anni è disponibile su internet in svariate versioni titolate semplicemente Party Man. Qui si è cercato di portare il brano ad uno stato più "compiuto" includendo parti vocali aggiunte tratte dal demo This Is The Road degli anni '80, con un testo accennato tra l'altro ripreso già in Make Tomorrow da OVO. Non un capolavoro imprescindibile, ma il primo vero e proprio inedito di Rated PG.
The Book Of Love è invece un brano decisamente più noto, risalente al 2004 e presente nel film Shall We Dance?, nel 2010 è stato poi ri-registrato per l'album di cover orchestrali Scratch My Back. Qui però è stata usata la versione precedente, peraltro comunque molto simile.
Taboo è invece del 1994, usata nel film Natural Born Killers e proposta qui in una versione leggermente editata. Si tratta sostanzialmente di un atmosferico ed inquietante brano con un sempre impressionante Nustrat Fateh Ali Khan alle prese con le sue consuete acrobazie vocali per tutta la durata del brano.
Everybird è invece il brano più recente, risalente al 2017 ed usato nel film Birds Like Us ma passato totalmente inosservato. Uno dei tipici brani pacati e malinconici di Gabriel, ed un'aggiunta perlomeno interessante, soprattutto essendo un brano recente.
Walk Through The Fire risale invece al 1984, dalla colonna sonora di Against All Odds (sì, proprio quella con l'omonima canzone di Phil Collins), ed è un brano molto ritmico tipico dello stile anni '80 di Gabriel, che già guardava al suono che caratterizzerà di lì ad un paio di anni So.
Speak (Bol) è invece senza dubbio il brano più interessante di questo album, seppur con un grosso difetto. Risalente al 2012 e parte della colonna sonora di The Reluctant Fundamentalist, è un bellissimo pezzo fatto di contrasti tra le intense parti con piano, orchestra e voci (di Gabriel e Atif Aslam) ed i consueti inserti ritmici a spezzare il brano in due punti diversi. Il risultato è veramente riuscito, anche se questa specifica versione è più corta di quella usata nel film, perdendo vari spezzoni tra cui una bella coda orchestrale.
Nocturnal è invece uno scarto di Up, usato nel film Les Morsures De l'Aube del 2001, ed è un altro brano ritmico dal suono tipico di quell'album, finora inedito, perlomeno in questo mix.
Curiosamente Rated PG si conclude con una versione di In Your Eyes non troppo diversa dall'originale, usata nel film Say Anything del 1989. Quest'ultimo è forse l'unico brano in un certo senso inutile dell'album, viste appunto le minime differenze dalla versione nota a tutti, principalmente localizzate nel mix. Diciamo che al posto di quest'ultima potevano trovare posto altri brani usati nei film e non inclusi qui, come Love Town da Philadelphia, la recente The Veil, o la Why Don't You Show Yourself suonata in tour nel 2013/14.
Ma dopotutto lamentarsi del contenuto di questa uscita è forse fin esagerato, visto comunque che molto del materiale incluso è inedito o difficilmente reperibile. Rimane la perplessità sulla scelta di relegare un'uscita del genere al Record Store Day, a cui si può però aggiungere la speranza di una futura decisione di rendere Rated PG disponibile anche diversamente; se non nell'ormai stupidamente tabù CD, almeno in streaming.
Se siete fan di Peter Gabriel, specialmente della sua produzione più "recente", merita attenzione.


domenica 14 aprile 2019

Queen - Live Killers (1979) Recensione

Un album storico, in quanto prima uscita live ufficiale della carriera dei Queen, allora ad ormai ben sei anni dall'esordio. Non è un mistero che i Queen, insieme a molte altre band coetanee, non abbiano mai avuto una rappresentazione ottimale della loro faccia live, finendo per pubblicare solamente questo Live Killers e, successivamente, il mutilato Live Magic nel periodo in cui erano attivi. Solo dopo la morte di Mercury si sono viste varie pubblicazioni come l'intero Wembley '86 (dapprima la seconda serata e poi, solo nel 2011, anche la prima), Milton Keynes '82, Montreal '81, Budapest '86, Rainbow '74, Hammersmith '75, sempre con il contagocce e certamente ben lontani da metodologie utilizzate da band come i King Crimson o i Deep Purple. Che diciamocelo, i Queen non è che abbiano la necessità di pubblicare ogni singolo concerto della loro carriera, essendo per natura poco propensi all'improvvisazione e quindi finendo per avere molti concerti simili fra loro; ma è anche vero che tutt'oggi ci sono molti "buchi" temporali non rappresentati, come il periodo dal 1976 al 1978, il magnifico Crazy Tour di inizio '79, molte date dell'80, quelle sudamericane dell'81, il tour di Works...
E se a questo aggiungiamo la tipica constatazione che il materiale ufficialmente pubblicato non è mai tratto dalle serate migliori di un dato tour, ecco perchè tutt'oggi l'interesse per i bootleg è vivissimo.
Tornando a Live Killers, si tratta di un album doppio registrato durante il tour di supporto a Jazz, in particolare in un gruppo di date europee tra Gennaio e Marzo 1979, con ampio spazio dato al concerto di Francoforte del 2 Febbraio.
In realtà non si può neanche parlare di "compilation" di date, quanto piuttosto di un vero e proprio collage, con anche singole parti di strumenti o voci di serate diverse combinate tra loro in studio successivamente. A sua difesa però c'è da dire che ascoltando i bootleg di alcune di queste date non si notano poi enormi differenze in termini di arrangiamenti, esecuzione, atmosfera e via dicendo. Quello che si può invece rimproverare a Live Killers è una qualità sonora ed un mix non certo perfetto, piuttosto caotico, sporco. Ma al di là di questo aspetto, a cui non è così difficile farci l'abitudine (specie grazie alla leggermente migliore versione CD del 2001), ci sono due altre "pecche" forse più vistose: le canzoni suonate ma non incluse (Somebody To Love, Fat Bottomed Girl, It's Late e If You Can't Beat Them), e la scelta di trarre un album live da questo specifico tour. Se infatti strumentalmente la band è, come sempre, praticamente impeccabile, Freddie invece non è certamente al suo meglio. La scelta di iniziare il tour di supporto a Jazz a poche settimane dalla fine delle registrazioni non ha aiutato la voce di Freddie, che infatti seppur in discreto forma nelle prime date americane di fine '78, già in quelle europee perse buona parte dell'estensione sulle note più alte, per poi quasi scomparire nelle date giapponesi di Aprile e Maggio '79. Sia il tour precedente, quello a cavallo tra '77 e '78 a supporto di News Of The World, che quello appena successivo, il Crazy Tour di fine '79, sono invece tra i migliori in assoluto per quanto riguarda la voce di Mercury. Insomma, come detto prima, si conferma la tendenza a scegliere date ben lontane dall'essere le migliori per compilare un live album. Succederà di nuovo con Wembley nell'86, un buon concerto ben lontano dall'essere il migliore, nonostante la fama acquisita (già Budapest lo supera, per non parlare delle primissime date come Leiden).
Tralasciando però ciò che poteva essere, Live Killers è comunque un buon album live che celebra e chiude la prima fase della carriera dei Queen, che all'alba del nuovo decennio porteranno a bordo sintetizzatori, funk, e tenteranno vie un po' diverse, senza però mai cadere nel mediocre.
Qui i Queen sono ancora una rock band dura e pura in grado di "infiammare" i palazzetti come poche altre band in quegli anni, termine questo non casuale visto l'impiego di un light show soprannominato "forno per le pizze". La scaletta è ben bilanciata, e non ci si può lamentare (certo, tra le escluse Somebody To Love fa un po' gridare allo scandalo, ma si sa che il suo apice live lo raggiungerà da lì ad un paio d'anni). La versione "rock" di We Will Rock You introduce perfettamente  il concerto dopo un roboante tuono, seguita dalla concitata novità Let Me Entertain You, per poi spostarsi in un ottimo medley (con, tra le altre, una sanguinosa Death On Two Legs ed una rumoristica Get Down Make Love), ad una Now I'm Here estesa dal solito botta e risposta tra Mercury ed il pubblico, e una sezione acustica con probabilmente la versione più famosa di Love Of My Life (curiosa, questa si, la scelta di includere un brano "minore" come Dreamer's Ball). Ottima Keep Yourself Alive, più spinta dell'originale, accettabile Don't Stop Me Now (renderà a dovere solo nel Crazy Tour) ed eccellente Spread Your Wings, di cui non si spiega la non inclusione in scaletta nei tour successivi. I lunghi assoli di Brighton Rock introducono la parte finale del live, con la sfilza di "hit" che partono da Bohemian Rhapsody ed arrivano a We Will Rock You e We Are The Champions, con una puntatina al punk di Sheer Heart Attack ed all'hard rock di Tie Your Mother Down.
Un album che tutto sommato scorre bene, e che davvero, al di là delle carenze vocali di Freddie, avrebbe beneficiato dalla presenza dei brani scartati. Diciamo che però se si vuole avere il meglio live dei Queen a mio modesto parere non lo si trova qui, pur avvicinandosi.
Quest'anno cade il quarantesimo anniversario di Live Killers; chissà che non ci sia in cantiere una versione ampliata di questo live? Magari con più date incluse in un cofanetto, dei video, un bel remix...
Ma no, ovviamente sono tutti troppo occupati a promuovere quel pastrocchio di film che è Bohemian Rhapsody, non c'è tempo per queste sciocchezze. Ci "accontenteremo" dell'originale e dei bootleg.

domenica 7 aprile 2019

The Apples In Stereo - Travellers In Space And Time (2010) Recensione

Creatura principalmente di Robert Schneider e parte di quella miniera d'oro che è l'Elephant 6 Collective, gli Apples In Stereo si sono sempre a grandi linee inseriti all'interno di un genere largamente ispirato al pop psichedelico degli anni '60 con una forte tendenza al lo-fi.
L'album in questione è invece forse il più vicino ad un'idea di pop radiofonico che se da una parte può far rabbrividire un certo tipo di ascoltatori, dall'altra riesce ad affrontare tutto ciò con una classe che manca totalmente al pop da almeno 35 anni.
Ad oggi l'ultimo album degli Apples In Stereo, Travellers In Space And Time in sostanza si tratta quasi di uno spudorato tributo all'Electric Light Orchestra, con brani che riportano subito alla mente il tipico suono della band di Jeff Lynne. Si parla del periodo che va da A New World Record a Time, passando per Out Of The Blue, Discovery e Xanadu; insomma la parentesi più "commerciale", quella con le puntatine nella disco ed il graduale processo di sostituzione degli archi con i sintetizzatori. Ed infatti questo Travellers In Time è ricoperto di sintetizzatori, vocoder, ritmi ballabili, con al centro la sottile ed acuta voce di Schneider. Elemento quest'ultimo che può fare uno strano effetto all'inizio, ma che non è difficile arrivare ad apprezzare dopo un paio di ascolti, proprio per via della sua particolarità.
Praticamente tutte le canzoni qui sono dei conglomerati di melodie contagiosissime, allegria, quel tocco di prevedibilità che però non sfocia mai totalmente nella banalità, ed in generale di tutto ciò che il pop potrebbe e dovrebbe essere.
Già da Dream About The Future si capisce benissimo dove l'album voglia andare a parare, con quei bellissimi cori in falsetto ed interventi di vocoder che sembrano riportarci a cavallo tra i '70 e gli '80 senza però sembrare "musica vecchia".  Hey Elevator continua a percorrere questa strada e ci porta ad un breve intermezzo di solo vocoder veramente particolare e divertente. Il singolo Dance Floor è indubbiamente il pezzo più famoso tratto da questo album, pur non essendo il migliore a mio parere, mentre la successiva C.P.U. è forse la più vicina alle uscite precedenti di questa band. Ritorna la tendenza disco in No One In The World, e si cita apertamente il riff di Do Ya degli ELO (prima ancora dei Move) in Dignified Secretary, ed il tutto con misurati ma riuscitissimi interventi di strumenti aggiunti come archi, fiati e clavicembalo (nella magnifica No Vacation ad esempio, che dal ritmo di Mr. Blue Sky prende vie inaspettate e combatte fieramente per il titolo di miglior brano dell'album).
Told You Once e It's All Right mantengono alto il livello, mentre Eric Allen interviene nella sua Next Year At About The Same Time e l'album scivola nel perfetto duo di Nobody But You, che guarda a Don't Bring Me Down degli ELO, e la semplicemente grandiosa Wings Away, dove si sente l'importante contributo di Bill Doss in una delle sue ultime uscite. La narrazione di Time Pilot chiude l'album donandogli una sorta di filo tematico, seppur molto superficiale.
Insomma quando ascolto questo album finisco a pensare a quali sono le potenzialità della musica pop più "semplice", e quante di queste non siano affatto sfruttate nelle uscite ascrivibili al suddetto genere negli ultimi decenni. E per colpa di ciò ogni cosa che viene  associata al termine "pop" finisce per far rabbrividire quella razza di ascoltatori più snob a cui il 4/4 sta come l'aglio ai vampiri. Come al solito, fare di tutta l'erba un fascio e/o suddividere ogni cosa per generi ben separati fra loro porta a perdersi tanta, ma tanta di quella magnifica musica che neanche ci si immagina.
Travellers In Space And Time ci regala 50 minuti di pura e spensierata gioia, e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno oggi. Se esistesse.

lunedì 1 aprile 2019

Toto - 40 Tours Around The Sun (2019) Recensione

Ed eccoci a parlare dell'ennesimo live dei Toto, registrato lo scorso 17 Marzo 2018 allo Ziggo Dome di Amsterdam, all'inizio del loro tour celebrativo per il quarantesimo anniversario di carriera. La formazione mantiene il nucleo principale già affermato negli ultimi tour, e composto da Steve Lukather, David Paich, Steve Porcaro e Joseph Williams (anche se Paich da qualche mese è purtroppo assente per motivi di salute, anche se non è il caso di questo live), con l'aggiunta dell'ottimo Shannon Forrest alla batteria, il gran ritorno di Lenny Castro alle percussioni e Warren Ham a fiati e cori e la new entry Shem Von Schroeck al basso e cori. Un'ottima e solida formazione che si ritrova ad affrontare una scaletta decisamente interessante e mediamente più lunga del solito, specialmente se confrontata con altre del dopo 2000, superando le due ore e venti di lunghezza.
Non è la prima volta che i Toto ripescano vecchi brani raramente suonati e li riportano in scaletta negli ultimi anni, ma questa volta si può tranquillamente dire che si sono superati, e senza ricorrere ai soliti medley, ovviando però in un altro modo che vedremo più avanti. Innanzitutto ci sono le novità Alone e Spanish Sea, entrambe suonate perfettamente come ci si può aspettare, ma poi arrivano cose come English Eyes, Lea, Lovers In The Night, Angela (!!!) cantata da Williams, Goodbye Girl, Lion, Stranger In Town con un Paich magnifico in veste di frontman, poi addirittura il Desert Theme da Dune, Jake To The Bone...
Il tutto ovviamente è proposto con qualche strategico cambio di tonalità, ma senza mai intaccarne la resa o l'impatto sonoro, che come sempre si conferma essere di altissimo livello.
Non mancano ovviamente le tre hit Hold The Line, Rosanna e Africa, le ultime due in particolare rese sempre interessanti grazie alle jam che le concludono. Ma il punto più interessante in un certo senso arriva a metà concerto, grazie ad una sezione di una ventina di minuti che si può definire "storytellers" o "unplugged" o altri termini tanto in voga nei non troppo rimpianti anni '90.
Insomma la band racconta qualche aneddoto e accenna estratti acustici di brani più o meno oscuri, dal primissimo demo Miss Sun al classico Georgy Porgy, dalla Human Nature ceduta a Michael Jackson alle chicche Holyanna, No Love e, soprattutto Mushanga (che avrebbe meritato una performance per intero a mio parere), concludendo con l'accenno a Stop Loving You. Insomma una divertente pausa che spezza la scaletta offrendo qualche chicca: cosa chiedere di più?
Joseph Williams, aiutato da Von Schroek e Ham, offre un'altra prova incredibilmente solida e, per fortuna, senza l'ombra di autotune (cosa che tanto affliggeva ad esempio l'ultimo live con Bobby Kimball, Falling In Between Live); senza ovviamente poter rivaleggiare con le sue incredibili vette del live del trentacinquesimo anniversario, anche a causa di un evidente aumento di peso che per fortuna non sembra intaccare molto a parte la presenza scenica.
Tutti gli altri sono sempre più che all'altezza, compresa soprattutto la "nuova" sezione ritmica ed il sempre efficace duo tastieristico, per non parlare poi del sempre mostruoso Steve Lukather, che in brani come Jake To The Bone, Lion e la cover di While My Guitar Gently Weeps non fa altro che confermare la sua inarrivabile statura di ottimo chitarrista tecnico ma mai glaciale.
L'audio è buono, non sembrano esserci grandi manipolazioni (sia ascoltandolo normalmente che confrontandolo con vari bootleg), e la regia fa il suo senza particolari eccentricità. A dire il vero ci sono un paio di pecche a livello registico che fatico a mandar giù, la prima a livello tecnico e la seconda per puro gusto personale. Innanzitutto la presenza di riprese non perfettamente in sincrono e provenienti da una diversa serata, evidente anche da alcune differenze nei vestiti, che non è nulla di tragico trattandosi di pochissimi secondi, ma rovina un po' il senso di immersione.
E poi, capisco dare spazio alla gioia dei fan accorsi ad assistere al concerto, ma un 80% di Africa è occupata da riprese del pubblico, e per quanto mi riguarda è davvero troppo.
Si tratta però di minuscoli appunti in una pubblicazione live che non solo è all'altezza delle già magnifiche uscite precedenti, ma che a tratti si rivela essere anche più interessante, se non altro per la interessantissima scaletta. Imperdibile per i fan e non solo.