giovedì 5 aprile 2018

The Kinks - Something Else By The Kinks (recensione)

Ho come l'impressione che i Kinks siano sempre stati un po' sfortunati dopo il boom iniziale con You Really Got Me. Sembra quasi che pubblicassero album ottimi ma sempre con un anno di ritardo. Non per niente fatico a togliermi dalla testa il collegamento Village Green - 1967. Perchè in realtà si tratta di un album del 1968, però solo io lo vedrei perfetto in quel colorato anno precedente? E forse è proprio per questo che, a livello puramente commerciale, gli album di fine anni '60 non potevano certo ambire alle vette dei Beatles; complice anche il divieto di fare tour in America e la spiccata "englishness" delle composizioni, in veloce maturazione, di Ray Davies (che diciamocelo, canzoni sul tè in America non vanno molto).
Tra il '66 ed il '67 in realtà l'idea di un progetto che poi sarebbe diventato Village Green già esisteva, però tardò a realizzarsi, e quindi al suo posto arrivò una "semplice" raccolta di canzoni dal titolo Something Else By The Kinks. Titolo non certo altisonante che anzi, sembra quasi voler sminuire il contenuto e dare l'idea di un album di canzoni messe insieme tanto per buttare fuori qualcosa. E se da un lato, vista la mancanza di concept (che seppur debole era presente sia nel precedente Face To Face che nei successivi Village Green, Arthur etc...), sembra essere così, all'ascolto si rivela invece essere tutt'altro.
Fin dall'apertura di David Watts pare chiara la progressione naturale dal precedente Face To Face: atmosfere e sonorità simili ma maggiore maturità compositiva. Maturità che trova qui l'apice in brani come Death Of A Clown, Two Sisters, Tin Soldier Man, Situation Vacant... Insomma praticamente tutti i brani presenti qui sono di ottima qualità, senza riempitivi, a differenza invece di altri album decisamente più celebrati. E forse la mancanza di concept ha aiutato in questo senso, non sentendosi "costretti" ad usare un brano perchè in funzione dello svolgimento dell'album al di là del suo effettivo valore musicale. Anche un pezzo semplice come Harry Rag diventa contagioso come pochi; lo canterete per giorni, ve lo assicuro. Ed è proprio in brani come questo che si sente la forte natura puramente inglese (Harry Rag è uno slang che indica una sigaretta, difficilmente in uso al di fuori di Regno Unito ed Irlanda). Come anche in Afternoon Tea, uno dei miei preferiti dell'album, con quel suo avanzare sonnolento emana fascino britannico da ogni nota. E poi che dire di Waterloo Sunset?
Uno dei brani più famosi in assoluto dei Kinks, quasi nascosto in quest'album (curiosamente all'ultimo posto), e perfettamente in grado di rappresentare al meglio un tempo ed un luogo, creando immagini di una nitidezza e profondità seconde forse solo a Penny Lane, guarda caso nello stesso anno. End Of The Season e Lazy Old Sun sono altri due gran bei brani perfettamente descrittivi, rispettivamente, dell'inizio dell'inverno e del sole "pigro" che si nasconde dietro le nuvole. Due ottimi esempi di ciò che dicevo prima sulla maturità di Ray Davies nel suo modo di scrivere e descrivere, anche musicalmente, qualunque cosa gli passi per la testa. Senza nulla togliere al fratello Dave, ovviamente, che offre importanti contributi a Death Of A Clown e scrive le più "canoniche" Love Me Till The Sun Shines e Funny Face, che ben si accompagnano al resto dell'album. Se comprate la versione CD potrete godervi una lunga serie di bonus tracks, tra cui spicca il capolavoro Autumn Almanac: Ray Davies al massimo delle sue capacità nello scrivere una canzone ispirata ad un giardiniere con frasi come "breeze blows leaves of a musty-coloured yellow, so I sweep them in my sack" e "my poor rheumatic back". Geniale. Senza dimenticare altri bei brani come Wonderboy e Polly. Insomma tanti bei brani in linea con l'album vero e proprio e che quindi sono i benvenuti per ampliare un lavoro già ottimo in partenza.
Se proprio dovessi trovare un difetto in questo album, che poi è lo stesso del successivo Village Green, è la produzione. Lo stesso Ray Davies se ne occupò qui, e lui stesso a posteriori lo definì un errore a causa della sua poca esperienza. Infatti questo album suona molto "anni '60", e non sempre nel bene; specialmente se confrontato con le vette dei Beatles grazie a quel geniaccio di George Martin! Certo, tutto ciò contribuisce al fascino di un album incastonato in un'epoca ben precisa, però diciamo che avrebbe potuto esser decisamente migliore sotto questo aspetto. Magari un bel remix gli farebbe bene se solo esistessero ancora i nastri originali da qualche parte...
Mi è difficile dare un voto a quest'album, perchè in sostanza adoro ogni loro album tra Face To Face e Lola allo stesso modo o quasi, quindi non è facile dar loro dei numeri. Però credo che, visto il mio amore incondizionato per il pop inglese anni '60, si meriti un 8,5 abbondante.


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