mercoledì 28 ottobre 2020

John Lennon - Gimme Some Truth. The Ultimate Mixes (2020) Recensione

A celebrare quello che sarebbe stato l'ottantesimo compleanno di John Lennon, ecco puntualmente arrivare l'ennesima uscita  dedicata alla carriera solista dell'ex-beatle. Questa volta non si va a pescare negli archivi, non si tirano fuori filmati inediti e non si filmano nuovi documentari, ma si gioca, come già fatto per i Beatles, la carta del remix. Operazione sempre discutibile e controversa questa, c'è da dire che per quanto riguarda il catalogo dei Fab Four ha prodotto cose perlomeno interessanti, andando da una parte a presentare versioni alternative di album leggendari, e dall'altra offrendo svariate outtake di contorno, spesso di grande interesse (vedasi gli "Esher demo" del White Album). Qui il discorso è leggermente differente, in quanto non vi è nulla di veramente inedito di contorno, e l'uscita in questione si presenta come una semplice, seppur sostanziosa, raccolta su doppio CD. Diciamocelo, c'è veramente bisogno di un'altra raccolta di John Lennon solista? Ovviamente no, ma andiamo a vedere se questa ha qualcosa in più da offrire. 

Sotto la supervisione di Yoko Ono e di Sean Lennon, con una bella copertina con una foto di John scattata il giorno in cui restituì l'MBE ed un titolo di poca fantasia (in quanto già utilizzato per un cofanetto di appena dieci anni fa), ci troviamo di fronte ben trentasei brani tratti sia da album che da singoli, remixati da Simon Hilton e Paul Hicks. Ovviamente ci sono tutti i brani più famosi, con largo spazio ad album come Imagine e Double Fantasy, molto meno a Mind Games e Some Time In New York City, ed ovviamente ognuno potrà gioire o lamentarsi per questa o quell'assenza. Personalmente trovo un peccato l'assenza di un brano fondamentale come Mother, ma soprattutto di Woman Is The Nigger Of The World, in quanto sarebbe stato interessante ascoltarne un remix per via del suo arrangiamento grandioso e roboante; ma mi rendo conto che in tempi di piena regressione sociale sarebbe stato discutibile inserire un brano con la "N word", magari col rischio di sfociare in censure e/o boicottaggi da parte di persone con seri problemi di comprensione del testo, cioè la maggioranza, quindi meglio lasciarlo in un album in gran parte dimenticato, suppongo... 

Fin dall'apertura con Instant Karma (We All Shine On), pare chiaro l'intento generale dei nuovi mix: rendere più presente e chiara, quasi cristallina, la voce di Lennon, portare in alto il molto spesso sacrificato basso (specie nelle produzioni spectoriane), ed in generale ripulire e "modernizzare" il tutto. Per i puristi amanti del wall of sound spectoriano ciò si avvicina alla blasfemia, ma per gli altri può equivalere ad una ventata di aria fresca. Un'altra cosa che si nota è come i nuovi mix tentino di uniformare tutti i brani, nonostante gli originali fossero molto diversi fra loro; ora, ad esempio, non si nota molta differenza tra la resa sonora di God e di, che so, Woman, nonostante ci passi un decennio tra le due. Il che è ovviamente discutibile, in quanto elimina certe caratteristiche delle versioni originali, a volte anche fondamentali, solamente per uniformare il tutto. Eclatante la differenza ad esempio di Stand By Me, o Angel Baby (quest'ultima uscita in Menlove Ave nel 1986 ma registrata nelle stesse session di Stand By Me, quelle dell'album Rock And Roll del 1975), dove la sporca e caotica produzione di Lennon ad imitazione di Spector è totalmente scomparsa. Se però in questi casi, vista la radicale differenza, un remix può anche aver senso, lo stesso non posso dire dei brani di Double Fantasy e Milk And Honey, dove le differenze sono veramente minime (anche se da sola la versione di Every Man Has A Woman Who Loves Him con Yoko eliminata dal mix vale quasi da sola il prezzo d'acquisto). 


Insomma altro non è se non l'ennesimo modo di portare a casa qualche soldino da parte di Yoko e Sean, pur offrendo un ascolto tutto sommato piacevole (ed una confezione, tra libro e poster, di tutto rispetto). Anche perchè, diciamocelo, chi conosce Lennon ha già i suoi album, e a meno che non sia audiofilo non è che gliene freghi più di tanto dei remix, per di più non degli interi album ma di una selezione di canzoni, le più famose; mentre chi non conosce Lennon avrebbe senso che partisse da una raccolta di remix? Insomma, tutta l'operazione rischia di risultare in un paio di ascolti per pura curiosità e poi via a prender polvere che si torna ad ascoltare gli album originali, magari nella versione rimasterizzata nel 2010, che hanno un'ottima resa. Piccolo appunto tecnico personalissimo: se ad un volume medio la resa dei brani è ottima, nel momento in cui si vuole alzare un po' il volume, specie in cuffia, la combinazione micidiale della consueta "loudness" dei master moderni (anche se per fortuna non esasperata qui) e l'abbondanza di frequenze bassissime rende il tutto quasi fastidioso. Qualche piccolo accorgimento in fase di master, non di mix, avrebbe migliorato il prodotto finale. 

Per il resto, dategli un ascolto, anche solo per curiosità; magari può risvegliare in voi la voglia di (ri)scoprire la carriera solista di John Lennon, che ha MOLTO altro da offrire oltre ai brani inclusi qui.

...comunque "The Ultimate Mixes" è un po' esagerato come titolo, sarebbe stato meglio chiamarlo "The Alternate Mixes". E non mi si faccia dire nulla sul fatto che i video musicali su YouTube ora abbiano tutti i nuovi mix al posto di quelli vecchi...




mercoledì 14 ottobre 2020

Alcatrazz - No Parole From Rock 'N' Roll (1983) Recensione

 


Album d'esordio della band formata essenzialmente da Graham Bonnet dopo il suo successo come cantante dapprima nei Rainbow di Down To Earth (da cui fu estratta Since You've Been Gone, scritta da Russ Ballard), poi nel Michael Schenker Group in Assault Attack, con l'aggiunta di un allora giovanissimo Yngwie Malmsteen alla chitarra, Jimmy Waldo alle tastiere, Gary Shea al basso e Jan Uvena alla batteria. In realtà Bonnet iniziò la sua carriera come cantante pop nei Marbles, i quali raggiunsero il successo nel 1968 con Only One Woman, scritta dai Bee Gees, e passò poi gli anni '70 come artista solista, pubblicando anche un album a suo nome nel 1977. Solamente nel 1979, quando fu chiamato nei Rainbow a sostituire Ronnie James Dio, mise la sua potente voce per la prima volta al servizio dell'hard rock, di fatto dando una definitiva ed importantissima svolta alla sua carriera. Ovvi contrasti interni nei Rainbow potarono al suo abbandono, per poi ripetere sostanzialmente la stessa storia con il Michael Schenker Group (pubblicando nel frattempo anche il suo album solista Line Up). A quel punto fondò una band per conto suo, portandosi a bordo anche un giovane Blackmore nordeuropeo, ugualmente vestito, con simili movenze, stessa chitarra, ma se possibile ancora più tamarro ed egocentrico. Yngwie Malmsteen fa qui il suo vero e proprio esordio, sfoderando probabilmente una delle sue migliori performance di sempre.

Aperto dal singolo ottantiano Island In The Sun, No Parole From Rock 'N' Roll si dimostra essere un solidissimo conglomerato del miglior hard rock di quei tempi, forse giusto un po' penalizzato da una produzione a dir poco discutibile. Se infatti da un lato le performance vocali di Bonnet sono tra le più spinte ed estreme fino a quel momento, le comprensibili imperfezioni tipiche di una performance al limite sono come lasciate da sole, senza il supporto di un adeguato lavoro di produzione atto a rendere più armonico il risultato. Ciò è particolarmente evidente ad esempio in Jet To Jet, sostanzialmente una riscrittura di Spotlight Kid dei Rainbow, in cui Bonnet fa i salti mortali al limite del possibile ma la sua voce è come abbandonata a sé stessa, risultando a tratti stridula nelle note più alte. D'altro canto però nulla si può dire sulle sue performance, né tanto meno su quelle di Malmsteen. Proprio in Jet To Jet, ad esempio, sfodera un assolo che combina mirabilmente le consuete ispirazioni classiche ed il puro e semplice esercizio tecnico-virtuosistico, non mancando però di sezioni più melodiche che mantengono un ottimo equilibrio. E questa tendenza la si trova ovunque, in una serie di brani uno più memorabile dell'altro: dal classico Hiroshima Mon Amour alla cavalcata Too Young To Die, Too Drunk To Live, fino a General Hospital o alle più epiche Big Foot e Kree Nakoorie. Il breve strumentale Incubus è la parentesi solista di Malmsteen, quasi un preludio di ciò che accadrà di lì a poco. A chiudere ci pensa l'immancabile ballata Suffer Me, che vanta sia un'altra intensa interpretazione di Bonnet, sia uno dei più riusciti ed emozionanti assoli del chitarrista svedese. Una conclusione perfetta di un album terribilmente solido. Di lì a poco Malmsteen pubblicherà il suo primo album solista, Rising Force, concepito inizialmente come una parentesi strumentale alternativa agli Alcatrazz, si evolverà poi in un album vero e proprio, con Jeff Scott Soto alla voce e Barriemore Barlow (ex Jethro Tull) alla batteria, e porterà all'abbandono del chitarrista. Una volta trovato un sostituto in nientemeno che Steve Vai, gli Alcatrazz pubblicheranno ancora ottima musica, ma mai nulla raggiungerà l'urgenza e la solidità di questo esordio. Bonnett ha qui la sua conferma del titolo di una delle voci migliori del genere, nonostante tutt'oggi non goda della fama di altri ben più noti colleghi, mentre Malmsteen tiene ancora in gabbia il suo ego, sfoderando, a parere di chi scrive, la sua migliore performance riversata su disco, sia mostrando le sue innegabili doti, ma anche suonando al servizio dei brani, cosa che non succederà quasi mai più. 

Difficile consigliare la migliore edizione di questo album, personalmente ho avuto la fortuna di trovarne una di produzione polacca che, a differenza di quella più comunemente diffusa, non contiene i demo strumentali come bonus track, ma bensì aggiunge tre brani live: Since You've Been Gone dei Rainbow, Desert Song del Michael Schenker Group, ed una inutile Guitar Crash il cui titolo parla da solo. A parte un po' di inevitabile loudness war in fase di rimasterizzazione, è difficile lamentarsi della qualità di questo CD. 

Se si vuole esplorare ulteriormente questa prima fase della carriera degli Alcatrazz, ci sono per fortuna svariate pubblicazioni live. All'epoca uscì Live Sentence, breve registrazione dal vivo effettuata a Tokyo nel gennaio 1984 su singolo album, quindi incompleta, per fortuna ampliata nella rimasterizzazione del 2011. Negli anni si è poi arrivati a pubblicare l'intero concerto in molteplici versioni, fino a quella definitiva del 2018 intitolata Live In Japan Complete Edition, disponibile anche in video. Un'alternativa è Live '83, album più raro uscito nel 2009, di nuovo su CD singolo, registrato a Reseda, in California.