domenica 29 luglio 2018

I migliori bootleg dei Queen

Sei un fan accanito dei Queen? Hai ascoltato tutto ciò che è stato pubblicato ufficialmente e ne vuoi ancora di più? Bene, allora quella dei bootleg potrebbe essere la strada giusta da percorrere! Ma a volte può esssere un po' difficile passare attraverso letteralmente centinaia di registrazioni solo per trovare qualcosa che non sia solo interessante, ma abbia anche una qualità del suono accettabile.

Quindi qui cercherò di farvi una panoramica su alcuni dei migliori bootleg dei Queen, in ordine cronologico. Ho provato a scegliere quelli che hanno qualche punto di interesse nella setlist, le performance e la qualità del suono. E se dopo tutto vorrete ancora qualcosa, alla fine ci saranno alcune "honorable mentions" che sicuramente avranno una qualità del suono peggiore o si riveleranno essere meno essenziali, ma potrebbero comunque essere interessanti.

Inoltre, tenete presente che nuovi bootleg vengono pubblicati in continuazione, quindi questa lista può cambiare in futuro.

Un'ultima cosa importante: non inserirò i link a siti dove potete trovare questi bootleg, ma se siete interessati potete facilmente trovarli tutti su YouTube.

1 - Golder's Green Hippodrome, Londra, 13/09/1973

Questa è la prima registrazione conosciuta dei Queen live, e questo è abbastanza per essere interessante. Registrato dalla BBC, in realtà ora questo non è più propriamente un bootleg, visto che la maggior parte di esso (non nella sua interezza) è stato pubblicato come parte della versione a 6 CD di On Air del 2016. Comunque, se volete la versione completa di questo live relativamente breve, è comunque necessario trovare il bootleg. La qualità del suono è in realtà molto buona, l'unico problema è la voce di Freddie Mercury che è tristemente sepolta nel mix a un volume molto basso. È anche interessante ascoltare i brani dell'album Queen II (Ogre Battle e Father To Son) prima di essere registrati.

2 - Budokan, Tokyo, 01/05/1975

Ho saltato il 1974 principalmente perché non c'è molto con una buona qualità audio, e anche perché quell'anno è ora molto ben rappresentato dall'uscita di Live At The Rainbow '74. Così ora siamo proprio alla fine del loro primo tour in Giappone, e mentre ci sono varie registrazioni da quel tour che suonano abbastanza bene, questa è particolarmente interessante per la setlist e la grande performance della band. È la migliore occasione per ascoltare l'inedito Hangman, insieme ad altri pezzi come Great King Rat e Doing All Right, tutti suonati raramente dal vivo. La qualità del suono non è perfetta, essendo una registrazione del pubblico, ma trovo che sia ancora molto piacevole all'ascolto.

3 - Music Hall, Boston 30/01/1976

So che potrebbe sembrare superfluo avere un concerto di appena un mese dopo quello  all'Hammersmith Odeon uscito ufficialmente come A Night At The Odeon (che di per sé è stato un bootleg per decenni), ma in realtà potrebbe essere uno dei migliori bootleg che io abbia mai sentito. Il primo motivo per cui potreste trovarlo interessante è per la setlist, che ovviamente ha parecchie somiglianze con il concerto di Hammersmith Odeon del dicembre 1975, ma poiché quello era uno speciale della BBC, in realtà era più breve. Qui abbiamo anche cose come Sweet Lady, Flick Of The Wrist, The Prophet's Song e Lazing On A Sunday Afternoon; e se si aggiunge a ciò una qualità del suono impressionante considerando che stiamo parlando di una registrazione del pubblico (che in realtà suona meglio di alcuni soundboard), abbiamo un vincitore. Inoltre, tutti qui sono al top della forma, molto meglio di Hammersmith '75 secondo me.

4 - Hyde Park, Londra 18/10/1976

Questo non è uno dei migliori concerti Queen sia in termini di prestazioni che di qualità audio, ma è senza dubbio una delle registrazioni non ufficiali più famose. Il motivo è perché, insieme ad alcuni altri concerti di cui parlerò più avanti, questo è uno dei pochi che ha anche un video. Non è mai stato pubblicato ufficialmente nella sua interezza, ma ne abbiamo visto frammenti nei documentari, e può sembrare molto buono con un po 'di lavoro. Purtroppo, per ora abbiamo solo una instabile registrazione soundboard e un video sbiadito. Ma meglio di niente! E sicuramente una grande occasione per vederli e non solo per ascoltare.

5 - Earls Court, Londra 06/06/1977

Di nuovo una delle registrazioni non ufficiali più famose e anche con un video! Questo penso sia meglio di Hyde Park, essendo più lungo e con una qualità generale migliore. Il concerto è lungo circa due ore, si vede e suona molto bene, e ha canzoni come Good Old Fashioned Lover Boy, The Millionaire Waltz, You Take My Breath Away e White Man. Interessante anche ascoltare l'integrale Death On Two Legs prima che diventasse parte di un medley, il ritorno di Doing All Right e il classico di Elton John Saturday Night's Alright For Fighting. La voce di Freddie sembrerebbe non essere al top della forma, e ci sono anche alcuni problemi con il suo microfono all'inizio, ma tutto il resto (e i suoi costumi) compensano ampiamente.

6 - The Summit, Houston, 11/12/1977

Pur essendo ancora nel 1977, questo concerto fa parte di un altro tour, di supporto a News Of The World. Quindi la setlist ha alcune differenze (Brighton Rock, Get Down Make Love, Love Of My Life, una sublime My Melancholy Blues, Sheer Heart Attack e le nuove We Will Rock You, in due versioni, e We Are The Champions), ma il principale punto di interesse qui è che questo, di nuovo, ha un video completo. E se ciò non bastasse, la qualità audio è persino migliore di Earls Court '77 (se sorvoliamo il basso volume di Freddie qui), e il video, anche se un po' buio, è semplicemente meraviglioso. Purtroppo la setlist è un po 'più breve rispetto ad altri spettacoli di quello stesso tour. Quindi, se volete ascoltare altre canzoni suonate in quel tour, come It's Late e Spread Your Wings, potete andare direttamente alla sezione "honorable mentions", perché la qualità dell'audio diminuisce un po' su quelle registrazioni.

7 - Montreal Forum, Montreal 01/12/1978

Ci sono molte ottime registrazioni dal Jazz Tour, ed è molto difficile scegliere. Non è stato il miglior tour per la voce di Freddie, ma ovviamente date iniziali come questa lo mostrano in una forma migliore rispetto al Live Killers pubblicato ufficialmente (che è in realtà registrato in Europa tra Febbraio e Marzo 1979). La setlist è nel complesso la stessa del Live Killers, a parte l'assenza di Don't Stop Me Now (non è stata suonata nel tour americano, è stata appena accennata a Chicago, pochi giorni dopo Montreal); ma in cambio abbiamo canzoni che sono state lasciate fuori da quell'album perché non c'era abbastanza spazio. Quindi è bello ascoltare Somebody To Love, Fat Bottomed Girl, If You Can't Beat Them e It's Late. La qualità del suono è molto buona pur essendo una registrazione del pubblico e le prestazioni sono solide. Di simile qualità e setlist identiche, suggerisco anche Providence 14/11/1978 e Chicago 07/12/1978. Una concorrenza serrata qui, è davvero una questione di preferenze personali. Inoltre, ci sono alcune registrazioni di ottima qualità dalla parte giapponese del tour di Aprile e Maggio 1979, ma la voce di Freddie era letteralmente andata allora, quindi possono essere faticose da ascoltare, anche se la band suonava al meglio.

8 - Hammersmith Odeon, Londra, 26/12/1979

Dopo la tragica fine della parte giapponese del Jazz Tour, la voce di Freddie è tornata più forte che mai per il Crazy Tour. Questa è in realtà l'ultima data di questo tour e suggerirò un'altra registrazione nella sezione "Honorable Mentions" alla fine. Era parte di una serie di spettacoli di beneficenza organizzati da Paul McCartney per la Cambogia. Parte della registrazione soundboard esiste, insieme a parte del video (circa 80 minuti), ma c'è anche una registrazione completa del pubblico di buona qualità che, secondo me, è la strada da percorrere in questo caso. La setlist è nel complesso uguale a quella del tour Jazz, ma qui abbiamo Mustapha, Crazy Little Thing Called Love e Save Me. Inoltre, questo concerto ha la migliore versione live di Don't Stop Me Now: spettacolare.

9 - Estádio do Morumbi, Sao Paolo 20/03/1981

Sì, ci sono registrazioni dal 1980 e alcune sono anche molto buone e sì, ci sono anche altre grandi registrazioni da questo tour sudamericano, ma se dovessi scegliere... Qui abbiamo una grande prestazione e una qualità decente grazie al fatto che questo è stato registrato per una trasmissione radio. Citerò alcuni altri bootleg di The Game tour alla fine dell'articolo, ma questo, se si perdona l'errore di Brian May in Somebody To Love, è un vincitore. Esiste anche in video.

10 - Hokkaidouritsu Sangyou Kyoushin Kaijyou - Sapporo 29/10/1982

Il tour di Hot Space è ben rappresentato dall'uscita di Queen On Fire - Live At The Bowl, che contiene anche circa 20 minuti di un video di Tokorozawa del 03/11/1982, il concerto successivo a  quello di Sapporo. Tuttavia su questo possiamo ascoltare canzoni da Hot Space come Calling All Girls, Body Language e Put Out The Fire, insieme alla migliore versione live di Teo Toriatte, il tutto in una registrazione del pubblico di ottima qualità. Quindi non male!

11 - Nippon Budokan, Tokyo, 09/05/1985

Una delle ultime date del non così perfetto Works Tour, risulta essere una delle migliori. Le date precedenti, a parte la prima a Bruxelles, mostrano Freddie non al top con la sua voce, insieme a scelte di suoni discutibili come i drum pad elettronici. Quindi, nel complesso un passo indietro rispetto al tour precedente; ma una volta arrivati ​​in Giappone, tutto alla fine va a posto. Tristemente canzoni come Stone Cold Crazy, Staying Power e Great King Rat sono scomparse dai medley (a differenza delle date precedenti), ma possiamo ancora sentire una delle migliori versioni di It's A Hard Life e una performance molto solida fino in fondo. Il concerto successivo, allo Yoyogi Gimnasium dell'11/05/1985, esiste sia in audio che in video, quindi potrebbe essere migliore per alcuni, ma ho sempre ritenuto che lo spettacolo del 9/05 fosse migliore, anche se è solo una registrazione del pubblico. Davvero molto buono.

12 - Groenoordhallen, Leiden, 11/06/1986

Il Magic Tour è forse un po 'sovra-rappresentato con due concerti di Wembley, quello di Budapest e alcuni brani di Knebworth su Live Magic, ma credetemi: sono molto lontani dall'essere i migliori spettacoli di quel tour. Questa a Leiden era in realtà la seconda data del tour, e mentre potrebbero non sembrare così affiatati e solidi come in date successive (come il già citato Wembley e Budapest), sono molto più freschi qui, l'atmosfera è fantastica, e Freddie in particolare è in formissima. Sì, cerca di arrivare alle note più alte su Who Wants To Live Forever e fallisce, ma andate ad ascoltare A Kind Of Magic e confrontatela con Wembley. Inoltre, questo è l'unico spettacolo in cui Friends Will Be Friends è suonata nella sua interezza. La qualità dell'audio non è perfetta, purtroppo, ma ne vale la pena.

13 - Maimarktgelände, Mannheim 21/06/1986

Un altro dal Magic Tour? Sì. Avrei potuto scegliere il loro ultimo concerto di sempre a Knebworth, ma trovo che questo di Mannheim sia molto più interessante. Inoltre, questo è stato registrato professionalmente per essere trasmesso in radio, quindi potete aspettarvi una qualità molto buona per un concerto che potrebbe non essere uno dei migliori del tour, ma comunque molto buono.

Honorable Mentions

Quindi, anche se dopo tutti questi concerti ne volete ancora di più, fate attenzione che questi prossimi bootleg possono variare in termini di qualità.

1 - Kosei Nenkin Kaikan, Osaka, 29/03/1976

Ci sono due spettacoli da questo giorno, entrambi registrazioni del pubblico interessanti e di buona qualità. Anche se si dice che Freddie fosse ubriaco nel secondo spettacolo, ciò non toglie (troppo) alla performance.

2 - Brøndby Hallen, Copenhagen, 12/05/1977

Un'altra registrazione del pubblico di uno dei migliori concerti del tour A Day At The Races. Purtroppo mancano gli ultimi due bis, ma dura comunque circa 100 minuti. Vale la pena darci un'occhiata.

3 - Johanneshovs Isstadion, Stockholm, 12/04/1978 - Teatro Falkoner, Copenaghen, 13/04/1978

Due concerti consecutivi molto belli, entrambi registrazioni del pubblico. A volte il suono è un po' confuso, queste non sono registrazioni di altissima qualità, ma sono indubbiamente alcuni dei migliori spettacoli del '77 / '78. Sicuramente le migliori versioni di My Melancholy Blues, It's Late e Spread Your Wings (prima del Crazy Tour del 1979) si possono trovare qui.

4 - City hall, Newcastle, 04/12/1979

Questo è l'altro concerto del Crazy Tour che ho menzionato prima. Considerato da molti uno dei migliori concerti dei Queen in assoluto, è un vero peccato che suoni davvero male. Tuttavia, se riuscite a superare la qualità del suono, ci si può godere il meglio da tutti qui, in particolare da Freddie.

5 - Oakland Coliseum Arena, Oakland, 14/07/1980

Non ho inserito uno spettacolo del 1980 nell'elenco principale semplicemente perché è difficile trovarne uno che suoni bene. Questo però è un ottimo candidato, essendo uno dei loro concerti più potenti di sempre, ma purtroppo è incompleto, mancano alcuni brani alla fine. Tuttavia, la versione migliore di Need Your Loving Tonight è proprio qui.

6 - Milwaukee Arena, Milwaukee 10/09/1980

Come sopra, ma questa volta il suono è un po 'migliore ed è completo.

7 - Nippon Budokan, Tokyo 16/02/1981

Un'ottima registrazione del pubblico da questo tour giapponese. Il motivo per cui non l'ho inserito nell'elenco principale è perché non lo trovo essenziale come altri. Questo è sicuramente il miglior concerto di questo tour, ed è interessante se volete ascoltare versioni live di Rock It, Vultan's Theme, Battle Theme, Flash e The Hero.

8 - Estadio José Amalfitani, Buenos Aires, 08/03/1981

Se volete di più dal tour sudamericano dopo Sao Paolo, questo suona ancora meglio, ma secondo me non è altrettanto buono come concerto. Comunque un'ottima registrazione anche con un video.

9 - Elland Road, Leeds 29/05/1982

Questo è di pochi giorni prima del concerto di Milton Keynes pubblicato ufficialmente. Brian May ha dichiarato che è un peccato che non abbiano registrato e filmato questo al posto di Milton Keynes, dato che era uno dei suoi preferiti. Ottime prestazioni, stessa scaletta di Milton Keynes e qualità audio decente.

10 - Forest National, Bruxelles 24/08/1984

Il primo concerto del Works Tour e sicuramente uno dei migliori. La voce di Freddie regge ancora splendidamente e la setlist ha ancora spezzoni di Staying Power, Stone Cold Crazy e Great King Rat. Il suono non è molto buono, quindi preparatevi, ma ne vale la pena.

11 - Super Bowl, Sun City 19/10/1984

Un soundboard emerso recentemente di uno dei famigerati concerti di Sun City. Importante per valore storico, ha anche alcuni momenti molto interessanti e alcuni alti e bassi. Comunque molto meglio di molti altri di quel tour.

12 - Knebworth Park, Stevenage 09/08/1986

Un ultimo dal Magic Tour, questo è l'ultimo concerto dei Queen con Freddie Mercury. È una registrazione del pubblico e la setlist è identica a Wembley, ma devo menzionarlo per la sua importanza storica.

giovedì 19 luglio 2018

Procol Harum - A Salty Dog (1969) Recensione

Il terzo album di questa band dal misterioso nome latineggiante è indubbiamente ricordato principalmente, se non esclusivamente, per la title track. Ma chi non conosce il resto, si perde qualcosa di importante ed irrinunciabile? Si e no. Scendiamo nel dettaglio.
Non penso ci sia qualcosa da dire ancora sulla title track, uno dei brani più famosi in assoluto non solo dei Procol Harum, e che vanta una sequenza di accordi talmente azzeccata da sembrare presa da un qualche brano classico, anche se non è così. Non per niente gli stessi Genesis si appropriarono di quella stessa identica sequenza all'inizio di Supper's Ready... Il brano sale, scende, Gary Brooker emoziona con la sua inimitabile voce, entra l'orchestra: un capolavoro indiscusso che per ovvi motivi finisce per mettere tutto il resto in secondo piano.
The Milk Of Human Kindness ha indubbiamente il ruolo di alleggerire il tutto, e devo dire che ci riesce con il suo essere un saltellante brano pop. C'è chi ha fatto notare che, di nuovo, i Genesis pare abbiano ascoltato attentamente questo brano, oppure è semplicemente tornato loro in mente quando hanno scritto That's All qualche annetto dopo, nel 1983. Too Much Between Us è invece forse la prima dimostrazione di come, in questo album, si tenti di spaziare anche in territori che di solito non si associano ai Procol Harum; ed in questo caso si toccano sonorità più acustiche, con un Brooker più leggero alla voce, davvero un gran bel brano dimenticato.
The Devil Came From Kansas ci riporta i Procol più americaneggianti, più in linea con il loro primo album, e finalmente Robin Trower si prende un importante spazio con il suo lancinante stile quasi Hendrixiano. Boredom invece ci introduce ad un altro elemento che caratterizza questo album, e cioè l'essere un lavoro di gruppo. Sono vari infatti i brani in cui Gary Brooker fa un passo indietro e lascia il microfono all'organista Matthew Fisher e a Robin Trower, e per tanto che la mossa possa essere apprezzabile, può facilmente esser visto come un "difetto" di questo album, che a tratti finisce per suonare poco "Procol Harum". Boredom infatti è comunque un gran bel pezzo, ma la voce di Fisher ci allontana dallo stile classico che di solito si associa a questa band, tenendo anche conto che a caratterizzarlo sono percussioni e flauto, non certo piano e organo. In ogni caso, Brooker fa capolino nei ritornelli. Un'arma a doppio taglio quindi, che ci mostra un gruppo che spazia rischiando di allontanarsi troppo dall'idea che si ha dello stesso. Impressione che comunque continua in Juicy John Pink che, seppur con Brooker di nuovo alla voce, si dimostra essere un breve riempitivo blues ad opera di Trower. Wreck Of The Hesperus invece è forse il secondo miglior brano dell'album, di nuovo con Fisher alla voce. Bellissimi arpeggi di piano, di nuovo l'orchestra a far da padrone in varie sezioni, questo si un brano che avrebbe meritato molto di più.
All This And More calma le acque riportandoci in territori conosciuti: un ottimo brano nello stile più classico della band che non avrebbe sfigurato in album come Grand Hotel, e che ritroveremo nel magnifico live con la Edmonton Symphony Orchestra. E a questo punto, nonostante ci siano ancora due canzoni, possiamo salutare la voce di Gary Brooker. Robin Trower si appropria del microfono nella bellissima Crucifiction Lane, che devo ammettere, seppur non sia certo fan della sua voce, essere un altro brano molto solido e coinvolgente. Ed è poi Fisher a salutarci con la suadente Pilgrim's Progress, il terzo capolavoro dell'album. Ne esiste una versione cantata da Brooker nel live al Beat Club del 1971, che ben ci dimostra come questi brani avrebbero potuto suonare più "alla Procol Harum" se solo li avesse cantati lui. Ma a parte questo, Pilgrim's Progress con le sue sequenze distese e classicheggianti non può che essere una conclusione perfetta, con un finale più ritmato e allegro che pian piano sfuma.
Insomma un album che soffre della grandezza della title track e dell'alternanza di voci soliste, a mio parere. Non perchè i vari Fisher e Trower non sappiano cantare, anzi, ma perchè quando si ha una voce come Brooker nella band, chiunque altro ne uscirebbe sconfitto in un eventuale confronto. Oltre al fatto che al nome Procol Harum si associano sostanzialmente tre suoni: piano, Hammond e la voce di Brooker. E quindi per questo l'album risulta suonare meno "Procol" di, ad esempio Shine On Brightly o Grand Hotel... Non si può però certamente dire che ci siano brani brutti, anzi in questo senso è uno degli album più solidi della loro discografia, e quindi non può non meritarsi almeno un 8 come voto.

lunedì 16 luglio 2018

The Moody Blues - In Search Of The Lost Chord (1968) Recensione

Dopo il grande successo e, di fatto, la nascita dei nuovi Moody Blues nel 1967 con Days Of Future Passed, la band si ritrova con il difficile compito di proseguire con un lavoro degno del precedente. Un lavoro privo dell'orchestra, più "di gruppo", e perfettamente in linea con i tempi. Certo, qui non c'è una Nights In White Satin, ma d'altro canto l'album non ha neanche bisogno di un brano di quel livello per essere ricordato. Se infatti una delle caratteristiche principali di Days Of Future Passed si rivelò essere anche un potenziale punto debole dell'album (le parti orchestrali o le sia amano o le si odiano, e senza dubbio occupavano una parte sostanziosa del disco), qui non ci sono lunghi intermezzi fra le canzoni, e sotto questo aspetto In Search Of The Lost Chord risulta indubbiamente più solido e compatto. Ricordiamoci poi che siamo nel 1968, quindi l'album attinge a piene mani tra vari cliché che associamo a quel periodo, come il titolo già suggerisce: la ricerca e la scoperta. Ricerca interiore, dell'amore, esplorazione dello spazio, ricerca dell'accordo perduto, che poi si rivela essere "l'Om". Il tutto condito da un suono più "rock" e figlio di quei tempi, con il mellotron a sostituire l'orchestra ed un vasto assortimento di strumenti indiani come sitar, tambura e tabla.

Come consuetudine per gli album dei Moody Blues, il tutto è introdotto da una sorta di overture con il primo di due poemi di Graeme Edge presenti in quest'album: Departure. Ben presto la cavalcata di Ride My See Saw spazza via tutto con un rock corale che solo ai Moody Blues può venire così bene. Tra l'altro questo brano si tratta forse del secondo loro più grande successo dopo Nights In White Satin. Dr. Livingstone, I Presume è invece immersa nel pieno degli anni '60 puramente inglesi, con di nuovo bellissimi cori a decorare il tutto stavolta insieme al mellotron. Uno de miei pezzi preferiti di Ray Thomas. House Of Four Doors si rivela invece essere uno dei pezzi centrali dell'album; divisa in due parti intervallate da Legend Of A Mind, ci riporta i Moody Blues di certe cose come The Sunset dal precedente album, quelli da lente e suntuose ballate. Ma qui ci sono tanti intermezzi strumentali quante sono le porte in questione, dal barocco all'epico, e l'ultima porta si apre a Legend Of A Mind. Cosa può essere più spudoratamente "fine anni '60" di una dedica a Timothy Leary, guru delle droghe psichedeliche? Da notare l'uso molto originale del mellotron, cosa che si è sostanzialmente persa con l'arrivo degli anni '70 ed oltre, relegando troppo spesso questo primordiale campionatore a mero sostituto di tappeti d'archi o cori in parti più o meno epiche di qualche pezzo prog. Il brano cambia più volte e vanta anche un bell'assolo di flauto. A seguire, come per chiudere un cerchio, ecco la reprise di House Of Four Doors, o meglio la seconda parte, più breve ma in sostanza uguale alla prima.
Voices In The Sky è una bella ballata acustica che, per la prima volta in questo album, ci permette di godere della gran bella voce di Justin Hayward che tanto aveva caratterizzato Nights In White Satin. La leggerezza, spensieratezza e positività di questo brano è uno dei motivi per cui sempre più spesso mi ritrovo a tornare agli anni '60 e a non sopportare ciò che mi circonda oggi.
The Best Way To Travel è un altro brano immerso in quel periodo, parlando di viaggi spaziali e vantando dei begli intermezzi psichedelici. Meritevole di menzione l'ultima sequenza che continua mentre il pezzo sfuma: meravigliosa. C'è chi ci scriverebbe intorno un intero brano.
Ecco finalmente le ispirazioni orientali in Visions Of Paradise: un brano sospeso, volteggiante, sereno, quasi pastorale. Avrebbe potuto essere uscito da cose come Magical Mistery Tour dei Beatles. The Actor è invece un brano più "semplice" e pop, pur avendo un bel cambio di tempo ed atmosfera nel ritornello. Uno dei miei preferiti dell'intero album, il ritornello in particolare ha un che di liberatorio.
Il secondo poema di Graeme Edge, stavolta recitato da Mike Pinder, introduce il brano risolutivo, quello che rappresenta l'accordo perduto del titolo dell'album, il punto di arrivo di questa lunga ricerca: Om. Il brano indubbiamente più spirituale dell'album di nuovo con la presenza di strumenti orientali, questa sorta di mantra corale ci accompagna alla fine dell'album e di questo multicolore viaggio.
In alcune edizioni di questo album in CD, tra le varie bonus track, potete trovare anche A Simple Game, un gran bel pezzo uscito come singolo che non avrebbe sfigurato troppo nell'album, seppur distanziandosi un po' dai temi che lo caratterizzano.
Probabilmente uno degli album più solidi dei Moody Blues ed indubbiamente uno tra i miei preferiti; anche se, detto fra noi, a pescare un album qualunque tra Days Of Future Passed e Seventh Sojourn non si può certamente rimanere delusi. Qui però i Moodies sembrano osare un po' di più che in altri casi, prima di semplificare un po' il loro suono e le loro composizioni album dopo album, che spesso si "limitano" ad essere ottime raccolte di canzoni. Non è un concept album ma dà quella sensazione. Consigliatissimo a chiunque ami il progressive rock, il pop inglese anni '60, la psichedelia e tutto ciò che sta nel mezzo. Un 9 per me.

venerdì 13 luglio 2018

Queen - Queen (1973) Recensione

Devo ai Queen gran parte della mia formazione musicale, e mi sembra quindi appropriato scrivere qualche riga sul loro omonimo album d'esordio che oggi compie esattamente 45 anni.
Ricordo che per me si trattò del loro primo album acquistato in CD, quando avevo 8 anni. Certamente avevo già alcuni altri loro lavori, ma in cassetta, e fui immensamente felice una volta scoperto il CD alla luce della migliore qualità audio e maggiore stabilità ed affidabilità. Bei tempi quelli senza hipster che impongono svolte a 180 gradi sui supporti musicali.
Comunque, il loro primo album è certamente un lavoro in parte piuttosto acerbo, come nei casi di quasi tutte le altre band, ma dimostra già vari segni di ciò che verrà.

Già l'apertura con Keep Yourself Alive non potrebbe essere migliore: un carico brano rock scritto da Brian May che rimarrà fisso in scaletta nei concerti di gran parte della loro carriera. Il fatto che non raggiunse un gran successo all'uscita è solo segno inequivocabile di una promozione sbagliata e/o assente. E già qui si nota la tendenza dei Queen a realizzare pezzi molto memorabili e coinvolgenti, talento certamente non comune.
Doing All Right calma un po' le acque, e si tratta di un pezzo risalente alla band precedente ai Queen, gli Smile, e scritta da May e l'ex-cantante Tim Staffel. Pur iniziando come una semplice ballata acustica, sfoggia uno dei primi esempi di uno stile compositivo che tornerà prepotentemente, e con risultati assai migliori, successivamente: l'uso dei cambi. Cambi di tempo, atmosfera, aggiunta di sezioni anche molto diverse fra loro. Caratteristica spesso attribuita al progressive con le sue suite, è in realtà ben presente in molti lavori dei Queen (che diciamocelo, non hanno genere). Qui sono delle improvvise impennate elettriche a spezzare il ritmo, ma vedremo che non sarà sempre così.
Great King Rat è una delle composizioni più ambiziose dell'album, un'altra cavalcata ritmata, stavolta scritta da Freddie Mercury, che oltre agli immancabili cambi di tempo, stop e riprese varie, sfoggia uno dei primi e migliori esempi di virtuosismo da parte di Brian May. Interessante notare come, complice la sua Red Special auto-costruita ed i fidi amplificatori Vox, May avesse già qui un suono molto personale e riconoscibile.
My Fairy King invece è forse il brano più "strano" dell'intero album. Un condensato di voci, in coro ma anche in contrappunto, su di un pezzo in continuo cambiamento che ben anticipa la tendenza che farà da padrone non solo in Bohemian Rhapsody qualche anno dopo, ma anche e soprattutto in quel gran capolavoro che si rivelerà essere Queen II. Vogliamo poi parlare dell'acuto di Roger Taylor all'inizio?
Liar è il brano centrale dell'album, in tutti i sensi. Altro pezzo che rimarrà in scaletta per tanto tempo, è di nuovo una composizione multiforme, forse anche più delle precedenti. La tendenza più heavy dei primissimi Queen si fa ampiamente sentire qui, specialmente nella lunga introduzione strumentale ripresa poi successivamente. Un brano che a livello compositivo non sarebbe totalmente fuori posto nel calderone del progressive rock, ma siccome non ci sono "mellotron moog tempi dispari" e, soprattutto, perchè sono i Queen (ed in quanto famosi, per natura meno validi di gruppi più di nicchia) ovviamente sarebbe una blasfemia.
The Night Comes Down tende un po' ad essere dimenticata a causa della grandiosità che la precede, ma si dimostra essere un discreto brano che permette di godersi una bella prestazione di Brian May alla chitarra acustica.
Modern Times Rock 'n' Roll è invece il primo di una lunga serie (di solito uno per album) di brani dove Roger Taylor si prende il suo spazio, anche come cantante. E qui più che mai la sua anima da rocker viene fuori prepotente, oltre che la sua grande voce. Brano forse non particolarmente memorabile, ma apprezzabile, seppur molto breve.
Son And Daughter è invece un brano molto importante per i primi Queen, non tanto in questa versione in studio, quanto piuttosto in sede live come punto di partenza ed arrivo per il lungo assolo con delay di Brian May, che poi si concretizzerà su disco due album dopo in Brighton Rock. Il brano in sé è un semplice blues, ed è forse anche uno dei motivi principali per cui alcuni critici, ingiustamente, li definirono "i Led Zeppelin dei poveri", o qualcosa del genere.
L'album a questo punto scivola veloce verso la fine con Jesus, dimenticabile brano che tende quasi alla psichedelia fuori tempo massimo, e Seven Seas Of Rhye. Attenzione però, perchè se magari quest'ultimo titolo potrebbe farvi suonare una campanella, in realtà la versione che potreste conoscere è quella dell'album successivo Queen II; qui infatti, per qualche motivo, si tratta di un breve strumentale che contiene lo stesso inizio al piano e la stessa prosecuzione, ma che finisce per non andare da nessuna parte e sfumare subito dopo. Non ho mai capito il senso di questo ultimo brano, specialmente alla luce della pubblicazione di una versione completa poco dopo.
Non ho citato John Deacon perchè in sostanza qui si limita a suonare il basso, ed il suo innegabile talento compositivo non si farà strada prima di Sheer Heart Attack e A Night At The Opera, per poi maturare definitivamente qualche anno dopo.

Insomma un album che soffre un po' dell'inesperienza della giovane band, che però farà passi da gigante già con l'album successivo, da molti (compreso me) visto come uno dei loro migliori in assoluto. La stessa voce di Mercury, per molti attrazione principale dei Queen, qui non è ancora del tutto formata, ma già dimostra molte delle sue peculiarità.
La presenza di pezzi come Keep Yourself Alive, Great King RAt, My Fairy King e Liar lo rende imprescindibile per i fan e non solo. Il resto rimane un po' in secondo piano, ma non vi è nulla di realmente terribile o inascoltabile, anzi. Un 7 per me.

giovedì 12 luglio 2018

Jean Michel Jarre - Magnetic Fields \ Les Chants Magnetiques (1981) Recensione

Diciamocelo, dopo due album come Oxygene e Equinoxe qualunque lavoro sfigurerebbe, indipendentemente dal suo valore. Il discorso poi si può estendere praticamente all'intera discografia di Jarre, che continuerà sempre ad essere all'ombra di quei due colossi, nonostante vari album altrettanto validi e i vari seguiti di Oxygene che ne ricatturano le atmosfere. Però qui più che mai il peso si sente, e forse proprio per questo l'album in questione mostra i primissimi segni di un cambiamento che arriverà prepotentemente con il successivo Zoolook. Perchè se già in Equinoxe i sequencer fecero da padrone, in Magnetic Fields vengono ridimensionate anche gran parte di quelle atmosfere sospese, quasi spaziali che caratterizzavano i lavori precedenti. Qui è tutto più ritmico, più secco, all'apparenza anche più essenziale (anche se non è propriamente così in realtà).
Indubbiamente Magnetic Fields, pt. 1 svetta su tutto il resto, dimostrando come, nonostante le premesse, Jarre sia in grado di creare un capolavoro sinfonico da annoverare tranquillamente tra le sue cose migliori. Molteplici linee di synth si intrecciano in un saliscendi di 18 minuti diviso in tre distinti movimenti. L'inizio è dirompente, teso, che avanza costantemente per più di 6 minuti, lasciando poi spazio al secondo movimento, più tranquillo ma carico di suoni e rumori a renderlo sinistro ed inquietante. Il terzo movimento è decisamente più ritmico e tipicamente "alla Jarre", che anche qui lo fa crescere man mano aggiungendo più e più linee intrecciate fino al culmine, dove un sax sintetico si allontana insieme al resto, sfumando.
Magnetic Fields, pt. 2 è l'immancabile singolo: ritmato, melodico, contagiosamente "cantabile" ed in totale contrasto con l'epica prima parte. Non sarà Equinoxe 4 ma personalmente lo adoro. Forse un po' troppo lungo per le idee che offre, ma si può sopportare.
Magnetic Fields, pt. 3 invece sa molto di intermezzo, con rumori meccanici di ingranaggi e atmosfere più sospese, questo pezzo funziona bene come pausa, ma lascia un po' il tempo che trova se preso singolarmente.
Sequencer e drum machine ritornano prepotentemente in Magnetic Fields, pt. 4, altro brano che ha forse qualcosa in comune con la seconda parte, ma che a mio parere risulta essere un po' più interessante essendo strutturato a crescendo invece di rimanere in sostanza sempre uguale a sé stesso, come la parte 2. Davvero bello anche verso la fine, quando parti di synth più lente e distese entrano in contrasto con il ritmo sempre costante.
Un assordante rumore di un treno porta alla conclusione il brano, lasciando spazio alla parte più strana di tutto l'album. Magnetic Fields, pt. 5 è in sostanza una rumba, un brano che sconfina quasi nella muzak e che nel suo essere totalmente fuori posto crea un contrasto che, a mio parere, funziona mirabilmente. Per intenderci, mi dà un po' la stessa sensazione di quei brani anni '30 usati in ambientazioni post-apocalittiche. Certo, lascia un enorme punto di domanda in testa, ma si rivela essere una scelta coraggiosa che ho apprezzato.
Interessante notare che il titolo francese "Les Chants Magnetiques" sia un gioco di parole basato sul quasi identico suono delle parole "chants" e "champs", risultando quindi in "canti magnetici" invece di "campi magnetici". Ovviamente in inglese questo tipo di giochetto non si può fare, e per questo motivo il titolo perde il doppio senso e si assesta sul semplice "Magnetic Fields".
Insomma, certamente non il lavoro migliore di Jarre ma indubbiamente uno dei più sottovalutati. Non è infatti difficile apprezzarlo se già si amano i due lavori precedenti, visto comunque che a livello stilistico ne è un'evoluzione, non una totale rivoluzione come invece il successivo Zoolook. Personalmente ritengo che la prima parte svetti su tutto il resto di gran lunga, finendo per oscurare parentesi comunque valide come la seconda e la quarta parte. Rimane comunque un lavoro ben fatto dall'inizio alla fine, oltre che un'altra dimostrazione del talento compositivo di Jarre.
Un 7,5 come voto.


martedì 10 luglio 2018

Concert Reviews 4: Toto - Villafranca di Verona 17/07/2011

Appena tre giorni dopo aver visto i Jethro Tull nel loro ultimo tour ad Astimusica (che, come segno dei tempi che cambiano, qualche anno fa invitava gente come Steve Hackett, Jethro Tull, Rick Wakeman, Asia, mentre l'edizione in corso alterna Youtubers, DJ, il Volo.... mi sento vecchio) ho avuto il piacere di vedere, per la prima volta, i Toto a Villafranca di Verona.

Il concerto si svolse in un luogo molto suggestivo, all'interno delle mura del Castello Scaligero. Ma perchè mai, visti gli altri concerti a cui ho assistito, ho deciso di andarne a vedere uno così lontano? Beh, all'epoca si vociferava che quella avrebbe potuto essere l'ultima data italiana dai da poco riformati Toto. Infatti il motivo della riformazione (che tra l'altro segnò il rientro di Joseph Williams alla voce al posto di Bobby Kimball, di David Paich e di Steve Porcaro alle tastiere, con l'aggiunta di Simon Phillips alla batteria, Nathan East al basso, Mabvuto Carpenter e Jenny Douglas-McRae ai cori oltre al sempre presente Steve Lukather) era la raccolta fondi per le cure dell'allora malato Mike Porcaro (che purtroppo ci ha lasciato nel 2015). Quindi non si sapeva se avrebbero continuato a fare tour o meno; oggi si sa che i Toto stanno vivendo una seconda giovinezza, ma all'epoca c'erano tanti dubbi.

L'attesa fu piuttosto pesante, a metà Luglio sotto al sole del pomeriggio, potete immaginare. All'apertura dei cancelli notammo cartelli vistosi che avvisavano il pubblico che la serata sarebbe stata ripresa, ed il che mi rese immediatamente felice: potrò rivedere questo concerto in DVD! Ovviamente poi così non fu. Per motivi a me ignoti (ma suppongo casini con la simpatica etichetta Frontiers) il concerto fu si ripreso (ricordo un enorme braccio meccanico che ci passava continuamente sopra la testa) ma tutt'ora giace dormiente da qualche parte, avendone ricavato solamente un breve spot per il tour successivo.
All'interno del Castello Scaligero attendemmo per ore accampati sul prato, ascoltando a ripetizione l'intero The Wall diffuso dall'impianto. Giuro, non credo di aver riascoltato quell'album per mesi dopo quel giorno. Ma dopo qualche ora finalmente la musica introduttiva inizia e tutti si alzano in piedi. L'eccitazione si fa sentire insieme ad una triste realizzazione: il palco è basso e la gente alta. Per tutta la durata ricordo ancora l'immane fatica per riuscire a scorgere qualcosa tra le teste del pubblico, mannaggia agli organizzatori. Certo, ebbi modo di vederli decisamente meglio nel 2015 su di un palco ad altezza normale, ma comunque... E come se non bastasse, ad un certo punto ecco la pioggia! Portando con sé una marea di ombrelli ovviamente ancora più alti delle suddette teste. Dopo questa esperienza, potete ben capire perchè dei miseri telefoni in aria non riescono a disturbarmi.
Ma sorvolando sul problema visibilità, il concerto parte in quarta con l'intera Child's Anthem, collegata senza pausa a Till The End da Farenheit. La band suona in modo eccellente, e Joseph Williams ha ritrovato la voce del lontano 1987, ben lontana dal disastroso tour del 1988. Certo, fisicamente è appesantito, tanto da guadagnarsi il mio appellativo di Garfield, ovviamente in simpatia, ma la performance non ne risente minimamente. Afraid Of Love segue e, tra la sorpresa generale, viene collegata, esattamente come nell'album Toto IV, a Lovers In The Night. Una doppietta micidiale segnata dal grande ritorno di David Paich, che avrà modo di migliorare notevolmente a livello vocale in questi ultimi anni.
I ritmi si calmano con il reggae di Somewhere Tonight, altra grande sorpresa, che comprende una jam finale guidata dal corista Mabvuto Carpenter su No Woman No Cry, coinvolgendo il pubblico. Segue la quasi sempre presente Pamela, impeccabile come d'abitudine, e la "novità" di Lea, lento brano dimenticato da Farenheit. Steve Lukather guadagna poi il centro dell'attenzione con Gift Of Faith, caratterizzata anche da un gran bel finale con la corista Jenny Douglas-McRae in primo piano: uno dei pezzi forti della serata. L'assolo-duetto di tastiere precede l'immancabile Africa, che finalmente può vantare un ritornello cantato dal vivo e non in playback come ai tempi di Bobby Kimball. Ciò lasciò spazio a quella che di fatto fu una dedica: Human Nature di Michael Jackson. Erano passati appena due anni dalla sua morte, e la band pensò di portare questo bel brano in scaletta, forti del fatto di avere in formazione colui che la scrisse, Steve Porcaro. Un applauso a Joseph Williams che non ha avuto il minimo problema a re-interpretare questo pezzo. Ci si avvicina al rush finale, ed ecco quindi Rosanna con la consueta jam in coda, Georgy Porgy che spezza un po' il ritmo (ammetto che non ho mai amato questo brano), una Stop Loving You di grande potenza, estesa anch'essa da una jam finale dove Simon Phillips si lascia andare in un assolo, e la sempre magistrale Home Of The Brave.
Il bis non poteva non essere Hold The Line, con come ospite il figlio di Mike Porcaro. Anche qui il tutto è stato esteso da una jam finale che ricordo essere ottima. E così, tra l'entusiasmo di tutti, la pioggia, e Sgt Peppers sparato dall'impianto, ci avviamo all'uscita, consci di aver, seppur non visto, almeno ascoltato un gran bel concerto.
Il ritorno di Paich e Steve Porcaro ha riportato molta dell'identità del "suono Toto", e la presenza di Joseph Williams e dei due coristi ha rappresentato un notevole salto di qualità rispetto agli ultimi tour con Bobby Kimball, cantante incredibile ma tutt'altro che costante, come testimoniato da quella "fiera dell'autotune" che è il live di Falling In Between.
Ovviamente è triste non avere tra le mani il DVD di quel concerto, ma possiamo consolarci con il fatto che i Toto sono ancora vivi e vegeti, e quando li avrei rivisti quattro anni dopo si sarebbero rivelati ancora più solidi ed impeccabili, come solo le grandi band sanno essere.

venerdì 6 luglio 2018

The Beatles - Yellow Submarine (1968) Recensione

Trarre un film d'animazione da una semplice canzone che è quasi una filastrocca? Evidentemente si può, o meglio si è potuto fare, e con ottimi risultati. Siamo nel 1968, esattamente 50 anni fa, e l'idea era quella di realizzare un terzo film con i Beatles, dopo A Hard Day's Night e Help.
Con la regia di George Dunning ed una storia scritta da Lee Minoff basata, appunto, sulla canzone Yellow Submarine, l'idea di realizzarne un film d'animazione piuttosto che un film vero e proprio fu apprezzata anche dagli stessi Beatles, non pienamente soddisfatti dal precedente Help. Essi non contribuirono attivamente al film, ma scrissero nuove canzoni e fecero un cameo finale. Le loro controparti animate furono quindi doppiate da altri attori, e se da una parte il che può un po' deludere, dall'altra ammetto che il lavoro fatto è davvero notevole, e contribuisce a dar loro una personalità a tratti caricaturale perfetta per il contesto. Il film inizia a Pepperland, luogo felice dove la musica regna sovrana, che tutto d'un tratto viene attaccato dai Blue Meanies (Biechi Blu in italiano) che odiano la musica e finiscono per pietrificare tutto e tutti tramite frecce e mele (riferimento alla Apple Corps). Il Lord Mayor, prima di essere a sua volta pietrificato, manda Old Fred alla ricerca di aiuto, usando il sottomarino giallo.
Old Fred finisce a Liverpool dove incontra man mano i Beatles. Meritevole di una citazione la scena in casa dei Beatles, una struttura surreale piena di porte e stanze dove i Fab Four vengono presentati uno ad uno: Ringo fin da fuori casa, con il suo umore tetro, il suo essere insicuro, solitario... John subito dopo, che si rivela subito sotto forma di mostro di Frankenstein per poi trasformarsi in sé stesso tramite una pozione, e si dimostra subito essere quello "strambo". Paul esce da una porta dietro cui sembra esserci una festa, e ovviamente viene rappresentato come il belloccio elegante. E poi George, che tra note di sitar di Love You To viene rappresentato in cima ad una montagna e ricordato principalmente per la frase ricorrente durante il film "It's all in the mind y'know?" presa dal Goon Show.
Tutti partono quindi per un lungo viaggio che li porterà attraverso i vari "mari" (sea of time, sea of silence, sea of monsters...). Meritevole di menzione l'incontro con Jeremy Hillary Boob, personaggio perfettamente in bilico tra il comico, l'adorabile e l'irritante che i Beatles incontrano nel Sea of Nothing. Personaggio impegnato in mille diverse mansioni ("eminent physicist, polyglot classicist, prize-winning botanist, hard-biting satirist, talented pianist, good dentist too") che parla sempre e solo in rima, e presentato sulle note di Nowhere Man.
Una sorta di presa in giro degli intellettuali insomma. Ovviamente, dopo aver aggiustato il motore del sottomarino guasto, viene invitato ad unirsi al viaggio. Dopo varie vicissitudini arrivano a Pepperland, e in un tripudio di musica e momenti comici (Hey Bulldog) liberano questa terra dai Blue Meanies, unendosi tra l'altro alle loro controparti che erano state intrappolate ad inizio film, la Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.
All'interno di tutto questo ci sono tanti particolari, troppi da citare qui. Dalla spettacolare sezione animata di Liverpool a inizio film con come sottofondo Eleanor Rigby, all'uso di When I'm 64 nel Sea Of Time, con anche una appropriata conta fino a 64 con ogni numero disegnato in uno stile diverso; alla psichedelia pura di Only A Northern Song nel Sea Of Science e Lucy In The Sky With Diamonds più avanti, tutte animate in uno stile sempre diverso. Ed è proprio questo uno dei punti di forza di questo film a mio parere: il fatto che ci sia ovviamente uno stile predominante, ma che di tanto in tanto appaiano sezioni con uno stile grafico e di animazione totalmente diverso, ed in certi versi spiazzante. Una cosa non comune indubbiamente.
Le nuove canzoni dei Beatles qui sono Only A Northern Song, All Together Now (ripetuta due volte: appena saliti sul sottomarino e nei titoli di coda), Hey Bulldog e It's All Too Much. Tutte le altre sono pescate da altri lavori: Yellow Submarine, Eleanor Rigby, When I'm 64, Lucy In The Sky With Diamonds, Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band, All You Need Is Love e frammenti di Baby You're a Rich Man, Love You Too e A Day In The Life. C'è da dire che le quattro canzoni "nuove" erano in sostanza scarti riutilizzati qui, ma insieme al resto diciamo che non sfigurano. Una parte importante la fa anche George Martin ovviamente, che qui si occupa di una serie di brani orchestrali che affiorano a tratti durante il film, e che andranno ad occupare la seconda metà dell'album\colonna sonora.
Insomma un film d'animazione che dimostra come anche questo settore si sia ridimensionato nel tempo in termini di inventiva ed ambizioni. Oltre a farci notare come questo mezzo di espressione non sia sempre e solo rivolto ad un pubblico infantile, ma può avere caratteristiche universali; e non per niente siamo qui oggi, cinquant'anni esatti dopo, ad assistere alla sua ri-programmazione nei cinema.
Piccolo appunto finale al doppiaggio italiano che ho il piacere di avere compreso nel DVD di cui sono in possesso: tenendo conto dei lavori disastrosi che si facevano a quei tempi in termini di ridoppiaggi in Italia, Yellow Submarine devo dire che mi piace. Certo, uno può storcere il naso nell'ascoltare Old Fred con l'accento genovese o Paul McCartney che balbetta, ma tutto sommato si lascia apprezzare.
Che aggiungere? Non l'avete mai visto? Recuperate! Uno dei film d'animazione che preferisco in assoluto, sicuramente condizionato dal mio essere fan dei Beatles, ma tant'è... Un 9 per me.


martedì 3 luglio 2018

Robert Wyatt - Rock Bottom (1974) Recensione

Un album considerato da molti come l'opera migliore di Robert Wyatt, un album che svetta su molti contemporanei distinguendosi non poco stilisticamente, un lavoro personale come pochi altri, commovente, intenso, potrei continuare all'infinito.
Molti dicono che Rock Bottom sia il risultato della caduta che costrinse Wyatt in sedia a rotelle, mentre in realtà non è propriamente così. Indubbiamente ciò ha comunque lasciato un segno, riscontrabile banalmente nell'assenza del Wyatt batterista e nella sua concentrazione sul canto, le tastiere e le più semplici percussioni, ma i brani che compongono Rock Bottom sono in realtà stati composti a Venezia nel 1973, prima della caduta. La sua futura moglie Alfreda Benge era infatti lì per lavoro, essendo allora un'attrice, e Wyatt in quel periodo si procurò un organo Riviera ed iniziò ad abbozzare i brani che poi finirono nell'album. Quello stesso organo finirà per caratterizzare l'album quasi quanto la voce di Wyatt. Ovviamente Robert continuò a lavorare ai pezzi anche mentre era all'ospedale, grazie alla presenza di un pianoforte, e l'album uscì il 26 Luglio 1974.
Wyatt chiamò molti amici a collaborare: come Nick Mason alla produzione, Hugh Hopper e Richard Sinclair al basso, Laurie Allan alla batteria, Mongezi Feza alla tromba...
Ciò che ne uscì fu un lavoro con un che di acquatico, sospeso, sognante, ma allo stesso tempo straziante e toccante come poche altre cose. Sea Song ben rappresenta il tutto, essendo non per niente anche il brano più celebre dell'album: una delle più curiose e particolari canzoni d'amore mai scritte, raggiunge il suo apice nella coda, con vocalizzi tipicamente Wyattiani che tanto devono alle parti di fiati tipiche del jazz. Sei minuti di perfezione sonora raggiunta tramite l'imperfezione. E forse sta proprio lì il fascino dell'album: nella fragilità, nel non essere tecnicamente perfetto e pulito, a differenza di altri album contemporanei e non. E questo, insieme al rifiuto dello stesso Wyatt di comporre musica complessa per il solo gusto di farlo (lui ha sempre rispettato il pop), mette i suoi lavori in un territorio tutto sommato esterno e parallelo a ciò che stava diventando il progressive a metà anni '70. A Last Straw è un altro brano che vanta una performance vocale di Wyatt che ha dell'incredibile: sembra veramente di ascoltare un assolo di tromba nella sezione centrale. Un tripudio di ottoni introduce Little Red Riding Hood Hit The Road, che mantiene un ritmo sostenuto e un che di caotico per praticamente tutta la sua durata, introducendo però ad un certo punto una parte cantata su accordi più sinistri, e ad esattamente metà della sua durata il tutto viene ripetuto al contrario. Ed intendo letteralmente: l'intera prima metà suona al contrario avendo invertito il nastro, con l'eccezione del basso di Richard Sinclair, a cui è stato detto di suonare anche sulla parte al contrario, e alcune parti vocali. Una breve sezione parlata di Ivor Cutler fa la sua prima apparizione qui in chiusura, e lo ritroveremo alla fine dell'album.
I due brani che seguono, Alifib e Alife (dedicati entrambi ad Alfreda Benge, detta Alfie), sono a mio parere l'apice dell'album insieme a Sea Song.
La prima ha un inizio sospeso, sereno, con una ritmica caratterizzata dalla ripetizione del titolo sottovoce, fino al suo passaggio in minore, su cui Wyatt canta un testo al limite del nonsense con un fascino indescrivibile. "Alife my larder" viene ripetuto più volte, quasi come un mantra, e l'interpretazione di Wyatt non può non emozionare. Senza alcuna pausa ci ritroviamo in Alife, dove il testo del brano precedente viene ripetuto parlato, o dovrei forse dire recitato, con un sax letteralmente folle che barbotta in risposta. Le percussioni di Wyatt accompagnano il brano, dove ad un certo punto il sax di Gary Windo avanza sotto i riflettori e sfoga tutta la sua follia repressa, fino a che la stessa Alfreda Benge conclude il brano rispondendo alla lunga dedica di Wyatt: "I am not your larder, I am Alife your guarder".
Tredici minuti di indescrivibile fascino che vengono conclusi da Little Red Robin Hood Hit The Road, altro gran bel brano che inizia a mo di marcetta e lascia presto spazio ad un gran bell'assolo di Mike Oldfield alla chitarra. Dopo un ulteriore crescendo dove rientra Wyatt alla voce, il tutto si conclude con il ritorno di Ivor Cutler che, su una base di harmonium e viola, recita il testo in un modo monotono in bilico tra il comico ed il surreale. Una conclusione bizzarra ed inaspettata, come forse si possono descrivere molte altre cose di questo album.
Un album che sfugge ad ogni catalogazione, finendo per essere fuori dal tempo. Le interpretazioni vocali di Wyatt non hanno eguali, il suo non essere un cantante convenzionale qui si rivela in tutto il suo fascino (lo stesso Wyatt ha affermato di non usare tecniche tipiche del canto, e che il suo modo si è sviluppando imitando gli assoli di fiati nei dischi jazz).
La carriera di Wyatt, sia prima che dopo Rock Bottom, è piena di lavori di rilievo, anche in collaborazione con altri artisti, ma qui a mio parere raggiunge un apice a cui pochi possono ambire; e per questo, se proprio dovessi dargli un voto, sarebbe un 9,5.

domenica 1 luglio 2018

Jean Michel Jarre - Music For Supermarkets - Musique Pour Supermarché (1983)

"L'idea era di puntare il dito contro ciò che stava diventando l'industria musicale, che aveva deciso di vendere dischi nei supermercati, come vasetti di yogurt o dentifricio. Questo è il punto: il disco venduto per poco o niente non comparirà mai sullo scaffale di un negozio." 
- Jean Michel Jarre
Vorrei continuare questa serie di articoli e recensioni dedicate ai lavori di Jean Michel Jarre spezzando un attimo il ritmo e raccontando la storia dietro questo misterioso album. Niente recensione stavolta quindi.

Siamo nel 1983 e Jarre conosce un gruppo di giovani artisti con l'intenzione di organizzare una mostra dedicata ai supermarket, chiamata Orrimbe Show. In sostanza, alla luce dell'evidente e velocissimo affermarsi dei supermarket, la mostra avrebbe esposto opere d'arte rappresentanti oggetti normalmente in vendita nei suddetti, presentati ovviamente in una veste più artistica, per poi essere venduti ad un'asta.
Quello che mancava era un accompagnamento sonoro a questa mostra, e fu quindi proposto a Jarre di occuparsene, che accettò.
Durante la lavorazione, tra Febbraio e Maggio 1983, Jarre realizzò che la musica che avrebbe accompagnato la mostra sarebbe stata in sostanza un oggetto da esposizione a sua volta, al livello di tutto il resto lì esposto. Ebbe quindi l'idea di realizzare questo suo lavoro come un effettivo pezzo d'Arte unico, come un quadro, che sarebbe quindi poi stato venduto ad una singola persona, anch'esso tramite un'asta. Ovviamente la casa discografica ebbe reazioni piuttosto negative, ma alla fine acconsentì. L'album in questione, di circa mezz'ora di durata, finì per chiamarsi semplicemente "Music For Supermarkets" o "Musique Pour Supermarché".

"In un'epoca in cui tutto è standardizzato, trasmesso più volte, un tempo in cui siamo infinitamente ultra-informati, saturi di suoni e immagini, mi è sembrato utile dimostrare che un disco non è solo un pezzo di merce senza valore, infinitamente moltiplicabile, ma può essere, come il quadro di un pittore o il bronzo di uno scultore, parte integrante della creazione di un musicista. Francis Dreyfus, presidente della mia casa discografica, ha accettato la sfida di presentare un singolo album al di fuori dei soliti canali, e in questo modo dimostra che un'azienda può essere creativa, in grado di riconoscere l'identità dell'artista e persino essere umoristica al riguardo. Evviva i supermercati! Il nostro ambiente è un supermercato: incrocio di merci, miscelazione di consumatori e cassieri, tutto è in vendita, tutto è all'ordine del giorno, tutto svanisce, tutto cambia, il nostro cibo, la nostra lingua, le nostre radici. I supermercati potrebbero essere le gallerie e i musei di domani. La musica per tutti può anche essere la musica per ognuno di noi individualmente. " 
Jarre, 1983.
L'esposizione ebbe luogo tra il 2 ed il 30 Giugno 1983 alla galleria Jean-Claude Riedel, e l'asta fu il 6 Luglio, dove vennero vendute tutte le opere esposte. Quello stesso giorno i master dell'album di Jarre furono bruciati, e l'unica copia fu venduta a 69000 Franchi (circa 9000 Dollari) ad un vecchio signore, risvegliatosi da poco da un lungo coma causato da un incidente d'auto. Questo signore, tale M. Gerard, raccontò che al suo risveglio la radio stava trasmettendo Souvenir De Chine di Jarre, e che quindi voleva in qualche modo dimostrare la propria gratitudine. Voci dicono che da allora il disco sia stato venduto ed acquistato altre due volte.
Viste le insistenti richieste, Jarre decise di trasmettere l'album per radio una sola volta, per dare la possibilità a tutti di ascoltarlo. La sera stessa, dopo l'asta, andò quindi negli uffici di Radio Luxembourg di Parigi, e l'album fu trasmesso. Ciò ovviamente permise il diffondersi del lavoro sotto forma di bootleg, visto anche l'incoraggiamento dello stesso Jarre in radio: "pirate me!". Purtroppo i bootleg esistenti non sono di ottima qualità, complice anche la scelta, non si sa se conscia o meno, di trasmettere l'album su una radio AM, risultando quindi in un suono piuttosto distorto.
La tracklist, non sicura al 100% ma probabile, è la seguente:
Side one
1. "Musique pour Supermarché Overture" 4:09
2. "Musique pour Supermarché Part I" 2:18
3. "Musique pour Supermarché Part II" 3:29
4. "Musique pour Supermarché Part III" 2:17
5. "Musique pour Supermarché Part IV" 3:52
Side two
1. "Musique pour Supermarché Part V" 5:54
2. "Musique pour Supermarché Part VI" 3:59
3. "Musique pour Supermarché Part VII" 3:51
Interessante notare che, nonostante il master fu effettivamente distrutto, i nastri precedenti esistano ancora. Alcune sezioni furono infatti utilizzate negli album successivi:

  • "Musique pour Supermarché Part II" (non part III come erroneamente riportato da Wikipedia) diventò l'ultima sezione di Fifth Rendez-Vous, da Rendez-Vous del 1986.
  • "Musique pour Supermarché Part IV" diventò Blah Blah Cafè, nell'album Zoolook del 1984.
  • "Musique pour Supermarché Part VI" diventò la seconda ed ultima sezione di Diva, sempre da Zoolook. In questo caso ci furono però delle differenze: come la presenza di Laurie Anderson alla voce in Diva, diverse linee di basso e alcune parti campionate di Fairlight rimosse.
  • "Musique pour Supermarché Part VII": usata come inizio e fine di Ethnicolor II, sempre da Zoolook. 
Un'ulteriore prova dell'esistenza dei nastri è il recente annuncio della presenza, all'interno della raccolta suddivisa in "temi" chiamata Planet Jarre (in uscita a Settembre 2018), di una fantomatica traccia chiamata Music For Supermarkets (Demo Excerpt) nel volume Explorations & Early Works. Sicuramente sarà una traccia, non si sa quanto lunga, tratta da i nastri pre-master.

La copertina del disco fu realizzata da Bernard Beaugendre, e l'interno conteneva 11 foto polaroid che testimoniavano le varie fasi della realizzazione dell'album, lasciando un ultimo spazio per la dodicesima foto che avrebbe dovuto essere del fortunato proprietario del disco, scattata dallo stesso Jarre. 

Qui sotto vi allego la registrazione radiofonica di Music For Supermarkets ed un'intervista allo stesso Jarre sull'argomento.