sabato 30 settembre 2017

Whitesnake - The Purple Album (recensione)


Ad oggi l'ultima uscita discografica dei Whitesnake di David Coverdale + chiunque passi da quelle parti, trattasi di una sorta di tributo al passato del caro Davidone. Nel dettaglio, questo Purple Album si tratta di un album di cover di pezzi dei Deep Purple. Ora, posso sforzarmi di capire le buone intenzioni di Coverdale, cantante che amo sia nella sua epoca porpora che in quella nei Whitesnake (beh dai, buona parte, non tutto ahah), ma il "perchè?" sorge spontaneo. Non che sia un brutto album, per carità; solo che non ne capisco il senso, il valore, l'utilità. Perchè ok, i pezzi sono tutti suonati perfettamente, non una nota fuori, grande potenza e carica, nonostante la voce di Coverdale che pare sia rimasta tra le strofe di Still Of The Night una trentina di anni fa. Paradossalmente tutta questa carica travolgente appiattisce pesantemente tutti i pezzi. L'apertura con Burn ne è un esempio, con tanto di inutile assolo esteso in tapping e muri di chitarre a condire la batteria del pur ottimo Tommy Aldridge che però non vale un decimo di quella di Ian Paice in questo pezzo. Da notare perlomeno l'italianissimo Michele Luppi alle tastiere che almeno riesce a suonarlo giusto quel maledetto assolo (sembrerà banale, ma un certo Jens Johansson negli attuali Rainbow proprio non ce la fa ad esempio...). Quello che riescono a fare i Whitesnake in questo album è banalizzare gli ottimi pezzi dei Deep Purple, pezzi di storia del rock ridotti ad una versione da giubbotto di pelle, Harley Davidson, capelli al vento e radio americane. E siccome non esiste album dei Whitesnake senza ballate, e i Deep Purple non erano certo famosi per queste cose, ecco che Sail Away diventa un lentone acustico, si ripesca una Holy Man dimenticata tra i solchi di Stormbringer.. Insomma si fa di tutto per rendere quest'album un ulteriore tassello nella discografia dei Whitesnake con tutti gli elementi dei dischi precedenti nonostante il repertorio ben diverso (sulla carta). Ammetto che alcuni pezzi funzionano discretamente in questa veste "hair metal fuori tempo massimo (anche se ormai è più un wig metal)", nello specifico la già citata Burn, Stormbringer, You Fool No One... Pur non avvicinandosi assolutamente alle originali. Oltretutto la produzione ed il mastering non aiutano, perchè l'impressione che si ha è di un muro di suono che travolge senza alcuna dinamica (invece presente negli originali), tanto che dopo un po' anche un pezzo carichissimo e trascinante non colpisce, che tanto è allo stesso volume e potenza delle ballate... Ahhh cara loudness war, grazie per aver ucciso la musica. 
Insomma mi sono sforzato di apprezzare quest'album ai tempi, ma il punto è che anche album non certo capolavori come Good To Be Bad e Forevermore (rispettivamente del 2008 e 2011) erano perlomeno un tentativo di buttare fuori cose nuove. Che poi proprio nuove non erano perchè sempre della solita solfa si trattava, ma alcuni tocchi di classe c'erano (la title track di Forevermore mi piace tutt'ora ad esempio). Ma quest'album.... Ho sempre odiato quando gli artisti ri-registrano pezzi del loro passato con formazioni nuove. Che siano tributi o tentativi di miglioramento perchè magari "ai tempi uscì in un certo modo ma non era come lo intendevamo e quindi ora lo rifacciamo come doveva essere". Mapperfavore. Gli album ci sono, li ascoltiamo da anni se non decenni; per forza di cose una nuova versione di quegli album o quei pezzi, vuoi perchè ci siamo affezionati o perchè magari i musicisti coinvolti non hanno più la stessa età di allora, sarà percepita come inferiore, è inevitabile. Quindi, con tutto l'affetto che provo per Coverdale (che vorrei tanto si decidesse a sfruttare quel suo vocione da blues e lasciasse perdere l'hair metal vista anche la sua età, e lo dico da non fan del blues), quest'album è un po' un pasticcio inutile. Certe cose forse è meglio farle solo ed esclusivamente dal vivo e poi magari ricavarci un album live (occasione sprecata visto che il tour con questo repertorio l'hanno fatto, ma di live continuiamo ad averne a bizzeffe con sempre gli stessi pezzi dei Whitesnake e niente dei Deep Purple). Si eviterebbe così la sterilità di un lavoro in studio e si guadagnerebbe un po' di calore, ma questa è solo una mia opinione. Un voto? Beh, per me se arriva alla sufficienza è solo grazie all'affetto nei confronti di Coverdale o del repertorio in questione, quindi direi un 5,5 arrotondato a 6 per i fan.
Qui sotto allego qualche video, da notare la pacchiana fiera del clichè a basso prezzo che è il video di Stormbringer. Curioso notare che questi paiono essere gli standard di un po' tutti i video della napoletana Frontiers, anche per altri artisti. 
Ah e se volete ascoltare l'album, eccovi il link a Spotify.


giovedì 28 settembre 2017

Sparks - Hippopotamus (recensione)


Conobbi gli Sparks per puro caso un paio di anni fa, precisamente grazie alla cover di This Town Ain't Big Enough For Both Of Us fatta da Justin Hawkins (cantante dei Darkness) nel 2005. Da allora, dopo una leggera confusione iniziale, ho provato ad esplorare le varie fasi della loro carriera, scoprendo quello che secondo me è uno dei gruppi più geniali ed unici dell'ultimo secolo. Non sto qui a raccontare la storia dei 2 fratelli Mael, per quello c'è Wikipedia, ma vi parlo del loro ultimo album uscito poco meno di un mese fa: Hippopotamus.
Si tratta, ovviamente, di un album molto particolare e non facilmente classificabile, un po' come tutti i loro lavori. Ma in questo caso la band si trova a fare quasi un passo indietro stilisticamente; nello specifico un "ritorno alle canzoni". Perchè si, i loro ultimi album sono stati decisamente più complessi, teatrali, difficili da comprendere ed apprezzare, ma forse proprio per questo a loro modo dei capolavori. Poi un paio di anni fa ecco FFS, la collaborazione con i Franz Ferdinand; collaborazione che ci ha regalato uno degli album più belli dell'intera carriera degli Sparks, oltre che un effettivo "ritorno alle canzoni". Ovviamente a quel punto era da vedere se questa cosa sarebbe proseguita o no. Ed eccoci quindi ad Hippopotamus: un album che sicuramente è più "pop" dei precedenti senza però essere pop. Quindi cercherò di non usare etichette e generi da ora in poi. Ben 15 canzoni, tutte piuttosto brevi, una più bella dell'altra. Non mi metto a fare il "track by track" che risulterebbe davvero tedioso e pesante, mi limito quindi a citare gli episodi più interessanti. I singoli pubblicati rendono bene l'idea della direzione stilistica: la filastrocca di Hippopotamus è qualcosa di geniale con il suo nonsense e vi ritroverete a canticchiarla per giorni; così come Missionary Position, di cui non serve che vi dica di cosa parla, e che per me è uno dei picchi dell'album. What The Hell Is It This Time? è l'altro singolo, sicuramente interessante a livello testuale (raccontato dal punto di vista di Dio stanco delle continue richieste degli esseri umani) ma un po' piatta musicalmente a mio parere. Edith Piaf (Said it Better Than Me) è un'altra geniale canzone sull'incapacità di non rimpiangere nulla. Poi Giddy Giddy, I Wish You Were Fun, Bummer, The Amazing Mr. Repeat, Scandinavian Design (IKEA?), tutti gioiellini spesso melodicamente geniali e a tratti molto complessi (ben più di quanto possa sembrare ad un ascolto distratto). Poi all'improvviso 2 grandi colpi di gran classe: When You're a French Director, bellissimo valzer dipinto magnificamente da tinte, appunto, tipicamente francesi; e la conclusiva Life With The Macbeths che tocca sonorità operistiche grazie anche alla cantante ospite Rebecca Sjöwall.

Insomma un album veramente molto interessante ed allo stesso tempo godibile. Capace nella difficile missione di colpire l'ascoltatore fin da subito e di migliorare comunque ad ogni ascolto (un po' come avere la botte piena e la moglie ubriaca). E pur non trattandosi di un capolavoro, specie se confrontato con altri lavori della loro discografia, fa comunque riflettere il fatto che i signori Ron e Russel Mael (rispettivamente 72 e 68 anni) riescano ancora a pubblicare lavori validi e scevri da ogni sorta di confronto con qualunque altro artista. E dovrebbe far riflettere soprattutto molti ragazzi ventenni (me compreso) che si approcciano alla musica, indipendentemente dal genere. Ma comunque, per me Hippopotamus è uno dei più probabili candidati al titolo di "miglior album del 2017 imho". E dire che tra uno Steven Wilson ed un Roger Waters, tra un Procol Harum ed un Deep Purple, la concorrenza è agguerrita! Un voto? Un solido e deciso 9.
Oltre ai video sparsi qua e là nella recensione, vi lascio un link per ascoltare l'intero album. Siccome so che non tutti sono iscritti a Spotify, stavolta ci vengono incontro proprio gli Sparks stessi condividendo l'intero album su YouTube! Eccovi quindi il link alla playlist.



lunedì 25 settembre 2017

Toto - Hydra (recensione)


Aaahh il difficile secondo album.. Ci è passato chiunque! Specialmente quando il primo album è stato un successo. Cosa fare dopo? Bella domanda. Beh, i Toto nel 1979 erano reduci dal notevole successo dell'omonimo primo album, trainato nientemeno che da Hold The Line, sorta di prototipo di pezzo pop-rock perfetto che andrà a rifocillare insieme a Rosanna le scalette delle cover band da 4 soldi che puntualmente le demolirà a livello vocale. Ma questo è un altro discorso... Il punto è che dopo un successo del genere qualunque cosa rischia di essere ingiustamente criticata o sminuita (non per niente ci vorranno ancora 3 anni e un altro paio di album per sfornare qualche altro successo a quei livelli). Quindi ecco che i Toto semplicemente proseguono per quella che era la strada già imboccata nel primo album, in linea con il loro nome (Toto che non solo era il cane del Mago di Oz, ma anche inteso come "in toto", che comprende tutto, quindi musicalmente molto vario), pubblicando un album tra i migliori della loro discografia. 

Si perchè già dalla title track si notano delle intelligenti combinazioni di sonorità tipicamente americane (quell'ombra del funk, quasi sempre presente nei loro album) con cambi e tempi dispari che quasi strizzano l'occhio al progressive, specialmente nell'ostinato che spunta ogni tanto e che diventerà base per improvvisazioni in tour più recenti. Da notare come in questo pezzo, ed in generale nei primi album, ci sia una netta predominanza del tastierista (e allora principale compositore) David Paich alla voce, presenza che andrà pian piano a sfumare fino a sparire negli album successivi. Cosa comunque interessante in un gruppo in cui c'erano 4 cantanti di cui uno di ruolo, Bobby Kimball, che in quest'album si "accontenta" di cantare 3 pezzi soltanto da solista e di stare ai cori negli altri. Ed eccolo il signor Kimball a fare la parte del leone nel gioiellino pop St. George And The Dragon, la cui sequenza di accordi delle strofe sarà saccheggiata innumerevoli volte, a riprova della sua validità. Bellissimo oltretutto il crescendo alla fine che porta ad un climax notevole; gran bel pezzo. E poi 99, con Lukather alla voce, altra impeccabile opera pop con una delle sequenze di accordi più raffinate mai concepite in questi ambiti. Le successive Lorraine e All Us Boys vedono di nuovo Paich alla voce, e nonostante si tratti di onesti brani pop tutto sommato apprezzabili, sono secondo me il punto più "basso" dell'album. Un po' come Rockmaker nel precedente album insomma (anche se Lorraine ha qualche trovata carina). In Mama tornano prepotentemente tutte le influenze soul e funk della band, con un Kimball letteralmente incredibile alla voce; un brano che all'inizio quasi non sopportavo (provo odio per gran parte delle cose funk), ma che nel tempo ho imparato ad apprezzare come un'importante sfaccettatura di quest'album. White Sister è il brano più puramente rock dell'album, una sorta di gran finale prima dell'encore di A Secret Love. Un brano che dal vivo guadagnerà una forza inarrestabile anche nelle recenti versioni con Joseph Williams alla voce, più che in grado di reinterpretare le ottime parti di Kimball. E poi vogliamo parlare del finale dove l'intera band si lascia andare a briglie sciolte? Spettacolare. La delicata A Secret Love (unico brano composto, ed in gran parte cantato, da Steve Porcaro) chiude l'album in modo quasi dimesso.

Insomma non tanto il "difficile secondo album" pur non raggiungendo il successo del primo per ovvi motivi. Sarà forse il successivo Turn Back, prima del trionfo di IV, a rappresentare un momento di leggera crisi, pur essendo un album di tutto rispetto. Hydra rimane per molti anni l'album forse più tendente al prog dei Toto, fino almeno a Falling In Between, che con metodi e sonorità diversi riuscirà ad essere altrettanto vario. Tra questi 2 album c'è stata una serie di lavori sicuramente più pop e "vittime" degli anni '80, seguiti poi da una fase più "dura" guidata da Lukather negli anni '90. Tutti album che meritano un ascolto a mio modesto parere. Se dovessi dare un voto a questo Hydra, probabilmente si aggirerebbe su un solido 8 - 8,5, un po' tirato giù da un leggero momento di stanca intorno alla metà dell'album. 


lunedì 11 settembre 2017

King Crimson - Sailor's Tales (1970 - 1972)

Come ho anticipato in qualche post indietro, i King Crimson hanno annunciato il boxset di quest'anno! Perchè ormai è tradizione: ogni anno si va a coprire un'epoca diversa. In uscita il 3 Novembre, questa volta, come da titolo, si tratta del triennio dal 1970 al 1972: quindi da In The Wake Of Poseidon a Islands passando per Lizard. E via di album remixati, mix 5.1 e innumerevoli live di contorno (a quanto pare TUTTI i live esistenti di quest'epoca, che poi si tratterebbe solo del tour di Islands non essendocene stati per gli album precedenti). Ma andiamo nel dettaglio. Stando al sito della DGM, il contenuto sarebbe (scusate se lo copio pari pari in inglese ma qui nessuno mi paga, accontentatevi):

The complete 1970-72 King Crimson boxed set: 21CDS/4Blu-Rays/2DVD – all audio.
3CDs feature Steven Wilson & Robert Fripp stereo mixes of In The Wake Of Poseidon (1970), Lizard (1970) & Islands (1971) + additional tracks.
6CDs feature the Islands line-ups early concerts from Germany (new to CD) & the UK (1971).
9CDs feature live recordings (several new to CD and/or previously unreleased in any format) from the 1972 US tour, including a new stereo mix of Summit Studios & an expanded Earthbound.
3CDs feature auditions for the Islands band & two further, as yet, unidentified concerts from 1972 (all previously unreleased)
3 Blu-Ray discs contain the main studio albums in 5.1 Surround Sound & recent stereo editions mixed by Steven Wilson & Robert Fripp + 30th anniversary masters of the original stereo albums mixes (all in 24/96 hi-res), plus extensive additional material with each disc also featuring a complete alternate album + a further selection of additional, related studio/live material in hi-res.

Lizard Blu-Ray: also contains the audition material from CDs19/20

Islands Blu-Ray: also contains the following concerts in stereo Zoom Club (4 shows), Marquee Club, Plymouth, Glasgow, Detroit all from 1971.

Earthbound Tour: Blu-Ray features an expanded version of the original album, Summit Studios gig in Stereo & Quadraphonic (newly mixed), the Schizoid Men sequence from the Ladies of the Road album, 2 newly discovered concerts in hi-res stereo & every existing soundboard concert recording from the 1972 US tour: Wilmington, NYC (2 shows), Chicago (2 tracks only), Detroit, Jacksonville, Orlando, Pittsburgh, Milwaukee, Peoria, Indianapolis & Denver (2 shows).

2 DVDs feature the expanded Earthbound, Summit Studios, Schizoid Men, New York 1972 & the recently discovered live concerts.
12” box with booklet, memorabilia, a further downloadable concert, new sleeve-notes by Sid Smith, Jakko Jakszyk & David Singleton


Quindi tanti, forse troppi, live. Anche Earthbound "expanded", audizioni della lineup di Islands, insomma taaaaante cose per gli appassionati di questo interessantissimo periodo dei King Crimson. Lo comprerò? Ovviamente no, perchè con questi soldi non riesco neanche a contare quanti album di altre band potrei comprare, o magari vedermi qualche concerto, ma a ognuno il suo immagino... Qui trovate tutte le informazioni a riguardo anche per prenotarlo.
E come sempre, anche se la formazione è diversa, il motto è sempre quello: Eeeeeeasy moneeeeyyy!

sabato 9 settembre 2017

Electric Light Orchestra - Discovery (recensione)

Ci sono album che tutt'ora sono un po' un simbolo di bassa qualità. Forse a causa del successo commerciale che hanno avuto, o forse perchè in contrasto con una qualche idea di "musica colta" che la band in questione o i singoli componenti sembrava(no) produrre fino a quel momento. Parlo di album come Abacab dei Genesis, un qualunque album degli Asia, 90125 degli Yes. Tutti album di gruppi illustri che, all'affacciarsi del nuovo decennio popolato da pettinature cotonate e percussioni "piu piu tsch", cambiano marcia. Forse per semplice spirito di sopravvivenza, o magari per un normale processo di evoluzione o cambiamento (molti direbbero involuzione, ma tant'è). Fatto sta che anche l'Electric Light Orchestra (ELO da ora in poi perchè sono pigro) nel 1979 pubblica un disco di enorme successo e, inevitabilmente, molto discusso. Parliamo di Discovery, o come viene spesso chiamato a causa delle sue sonorità disco, "Disco Very". Perchè ebbene si, nonostante gli ELO non abbiano mai nascosto la loro natura pop fin dai tempi di Eldorado, qui "vanno oltre", abbracciando anche le tipiche sonorità in voga a fine anni '70 grazie a personaggi come Giorgio Moroder. Ritmi secchi e ballabili, synth strabordanti, inevitabili ballate da strusciamenti vari; insomma c'è tutto. Ma quindi è un album brutto? Eh no cari miei! Perchè io ho gusti strani!
Perchè vedete, forse proprio in quel periodo in cui si usciva da una stagione musicale irripetibile e ricca di sperimentazioni, un "ritorno al pop" era la cosa peggiore che ci si potesse immaginare. Ed è forse proprio in quel periodo che è nata la concezione di pop = fuffa. Che è la cosa più sbagliata che si possa dire. Perchè come c'è pessimo pop (e ce n'è tanto), c'è anche ottimo pop! Così come c'è ottimo prog e pessimo prog (credetemi sulla parola, non voglio fare nomi). Poi c'è l'indie che è un discorso a parte perchè cambiano solo le sfumature di marrone ma ssshhh. O forse, come dico tante volte, parlare di generi è utile come la manicure ad un contadino, ma non importa. Il punto è che qui abbiamo l'esempio perfetto di album pop che centra in pieno il suo obiettivo. Perchè se è vero che qui non siamo di fronte ad un pop "colto" come in un Pet Sounds, un Sgt. Pepper o lo stesso Out Of The Blue degli ELO, abbiamo comunque un album pieno di canzoni pop perfette.
E credetemi, è dannatamente difficile scrivere canzoni pop perfette. Anzi, lo è scrivere pezzi pop in generale! E non lo si può comprendere finchè non si prova. Quindi abbiamo una sfilza di hit una dopo l'altra: Shine A Little Love e Confusion aprono l'album, quale modo migliore? Need Her Love calma le acque in vista di The Diary Of Horace Wimp e Last Train To London, dove forse la prima non sarà un capolavoro, ma la seconda sfido chiunque a non canticchiarsela per giorni dopo averla ascoltata. Midnight Blue è un'altra ballata semplicemente bellissima e On The Run è un altro pezzo pericolosamente contagioso. Wishing è forse l'anello debole dell'album, ma ci pensa Don't Bring Me Down a risollevare il tutto con la sua potenza ed un'altra melodia riuscitissima. Insomma sarò di parte, ma se per un attimo smettessimo di fare gli snob, potremmo goderci musica semplicemente bella. Senza grandi pretese, bella e basta, orecchiabile, che si può ascoltare senza troppo impegno. Ricordate come si fa? O lo si deve considerare un peccato mortale? Beh, in tal caso sono uno dei peggiori peccatori sulla faccia della terra.


giovedì 7 settembre 2017

Veruno 2 days prog + 1 - 3 Settembre 2017 (recensione)


Sono ormai 3 anni che, almeno per un giorno, faccio il possibile per essere presente a questo magnifico festival. Sia perchè sono "di zona", ma anche perchè organizzazione, luogo e band scelte sono sempre di alto livello. Certo poi alcune band possono piacere meno di altre, ma di gusti si tratta e nient'altro.

Quest'anno ho finalmente avuto l'occasione di portarci anche la mia ragazza, ed il motivo principale per andarci erano, ovviamente, i Procol Harum: band che entrambi adoriamo. Ovviamente non potevamo perderci anche le band che suonavano prima, sarebbe stato stupido visto il prezzo del biglietto (gratis, per chi non lo sapesse).

Quindi arriviamo nel primo pomeriggio, riusciamo a "beccare" i Procol Harum fare il soundcheck, ascoltiamo un paio di pezzi dei Cellar Noise all'auditorium lì vicino (molto bravi i ragazzi), e poi ci avviamo in piazza a curiosare tra le bancarelle, fare acquisti, mangiare qualcosa, il solito insomma. E sempre in un'atmosfera che solo al festival di Veruno si può trovare.



Tutto questo mentre iniziano gli Ingranaggi della Valle. Purtroppo, a causa della nostra necessità di nutrirci con (almeno) un paio di ottimi panini, non abbiamo potuto prestare attenzione all'intero set, ma da quello che abbiamo potuto sentire posso dire che questi ragazzi hanno davvero le carte in regola per essere molto interessanti; con un suono in bilico tra i King Crimson "epoca Larks" e alcune melodie quasi canterburiane nel cantato, oltre alla presenza del violino ed in generale una buona varietà nella strumentazione che difficilmente può lasciare indifferenti.

Il primo set che seguiamo per bene è quello di Sophya Baccini's Aradia, di cui ammetto che non conoscevo nulla. E che sorpresa è stata! A parte la magnifica voce su cui credo non ci sia nulla da aggiungere, mi sono proprio piaciuti i pezzi! Alcuni dei quali mi sono pure rimasti in testa spingendomi a cercarli in giro nei giorni successivi (molti tratti dall'album Big Red Dragon nel caso vogliate anche voi cercare qualcosa). Poi mi è piaciuto il coinvolgimento che c'è stato, la presenza scenica, tutte cose che spesso nel prog vengono un po' lasciate in secondo piano, in favore di tecnicismi strumentali vari spesso suonati a testa bassa. Ovviamente la presenza di Christian Decamps è stato un grande valore aggiunto. Sicuramente uno dei picchi della serata (l'intera esibizione ovviamente).





A seguire arrivano gli inglesi Frost*, altro gruppo di cui conoscevo poco o niente. E, sarà stata la resa sonora dalla prima fila (che penalizzava tastiere e voci in favore di batteria, basso e chitarra) sarà che il loro suono forse non fa molto per me, ma è l'unico gruppo della serata che mi ha (quasi) annoiato. Nulla da dire ovviamente sulle loro capacità, per di più sono stato felice di sentire Craig Blundell alla batteria (che suona anche con Steven Wilson) che sa essere veramente impressionante. Poi sono stati molto simpatici tutti, addirittura facendo finta di dormire sul palco durante l'assolo di batteria. Hanno suonato per intero il loro ultimo album Falling Satellites ed hanno poi concluso con una manciata di brani dai loro lavori precedenti. Però mi è sembrata un'ora e mezza (o quanto hanno suonato) di muro di suono quasi impenetrabile con solamente qualche melodia afferrabile qua e là. Bravissimi tutti per carità, ma forse non fanno troppo per me. Sarò vecchio ahah.



E finalmente arriva il momento che stavamo aspettando. I Procol Harum salgono sul palco e attaccano con I Told On You dall'ultimo album Novum. Grande potenza sonora e voce di Gary Brooker intatta e sempre impressionante nonostante l'età. Da rimanere a bocca aperta! Il set è sostanzialmente un'alternanza tra brani dal nuovo album (la già citata I Told On You, le più "rockeggianti" Businessman e Can't Say That, la divertente Neighbour e la commovente e classicheggiante Sunday Morning) e classici che tutti conosciamo. In particolare mi è rimasta impressa la magnifica performance di Whaling Stories, uno dei brani più puramente prog della loro discografia. Ammetto che avevo dubbi su questo brano, perchè le uniche versioni live che ho ascoltato avevano orchestra e coro; quindi non sapevo se senza tutto questo avrebbe mantenuto la potenza a tratti drammatica che la contraddistingue. Ebbene c'era tutto, e anche di più! Poi Pandora's Box, Homburg, Simple Sister, A Salty Dog, il gran finale con A Whiter Shade Of Pale introdotta da citazioni a When a Man Loves a Woman e No Woman No Cry (a scherzare sull'abuso della sequenza ad accordi discendenti ahah). Un'esibizione di gran classe da parte di un pezzo importante della storia della musica.



Insomma una bellissima serata come ogni anno, in un festival che può vantare un'atmosfera unica e un'organizzazione sempre impeccabile. Cosa chiedere di più?

mercoledì 6 settembre 2017

Queen: News Of The World 40th Anniversary Edition

Annunciato per il 17 Novembre un nuovo cofanetto dei Queen. Questa volta sono state messe le mani su News Of The World in occasione del quarantesimo anniversario dall'uscita. 
Il cofanetto conterrà:

VINYL LP: The Original News of the World Album – new Pure Analogue Cut.
Side One
1. We Will Rock You (May) 2:01
2. We Are The Champions (Mercury) 2:59
3. Sheer Heart Attack (Taylor) 3:26
4. All Dead, All Dead (May) 3:10
5. Spread Your Wings (Deacon) 4:34
6. Fight From The Inside (Taylor) 3:03
Side Two
1. Get Down, Make Love (Mercury) 3:51
2. Sleeping On The Sidewalk (May) 3:06
3. Who Needs You (Deacon) 3:05
4. It's Late (May) 6.26
5. My Melancholy Blues (Mercury) 3:29

CD 1: The Original Album (Bob Ludwig 2011 master)
1. We Will Rock You (May) 2:01
2. We Are The Champions (Mercury) 2:59
3. Sheer Heart Attack (Taylor) 3:26
4. All Dead, All Dead (May) 3:10
5. Spread Your Wings (Deacon) 4:34
6. Fight From The Inside (Taylor) 3:03
7. Get Down, Make Love (Mercury) 3:51
8. Sleeping On The Sidewalk (May) 3:06
9. Who Needs You (Deacon) 3:05
10. It's Late (May) 6.26
11. My Melancholy Blues (Mercury) 3:29

CD2: NEWS OF THE WORLD : RAW SESSIONS
1. We Will Rock You (Alternative Version) 2:29
2. We Are The Champions (Alternative Version) 4:33
3. Sheer Heart Attack (Original Rough Mix) 4:17
4. All Dead, All Dead (Original Rough Mix) 3:08
5. Spread Your Wings (Alternative Take) 4:56
6. Fight From The Inside (Demo Vocal Version) 3:08
7. Get Down, Make Love (Early Take) 4:02
8. Sleeping On The Sidewalk (Live in the USA, 1977) 3:49
9. Who Needs You (Acoustic Take) 2:46
10. It's Late (Alternative Version) 6:44
11. My Melancholy Blues (Original Rough Mix) 3:36

CD3: NEWS OF THE WORLD : BONUS TRACKS
1. Feelings Feelings (Take 10, July 1977) 1:55
2. We Will Rock You (BBC Session) 1:36
3. We Will Rock You (Fast) (BBC Session) 2:52 
4. Spread Your Wings (BBC Session) 5:33
5. It's Late (BBC Session) 6:39
6. My Melancholy Blues (BBC Session) 3:13
7. We Will Rock You (Backing Track) 2:03
8. We Are The Champions (Backing Track) 2:59
9. Spread Your Wings (Instrumental) 4:23
10. Fight From The Inside (Instrumental) 3:02
11. Get Down, Make Love (Instrumental) 3:49
12. It's Late (USA Radio Edit 1978) 3:52
13. Sheer Heart Attack (Live in Paris 1979) 3:35
14. We Will Rock You (Live in Tokyo 1982) 2:55
15. My Melancholy Blues (Live in Houston 1977) 3:48
16. Get Down, Make Love (Live in Montreal 1981) 4:35
17. Spread Your Wings (Live in Europe 1979) 5:20
18. We Will Rock You (Live at the MK Bowl 1982) 2:08
19. We Are The Champions (Live at the MK Bowl 1982) 3:32
DVD: QUEEN : THE AMERICAN DREAM (One hour)

Detto questo, proprio non ce la fanno a fare un'uscita VERAMENTE interessante? Cioè, avevano iniziato bene, con dei bei live inediti, nel 2014 con Rainbow '74 (un'uscita spettacolare con 2 concerti), poi c'è stato l'Hammersmith Odeon '75, ottimo anche quello; poi, a parte il live alla BBC che sono comunque riusciti a non pubblicare per intero, il vuoto. Ok, Hyde Park '76 può non essere di qualità eccelsa e quindi considerato non pubblicabile; ma da decenni girano Earls Court e Houston '77, sia in audio che in video (per di più di Earls Court esistono 2 serate), in qualità più che buona. Uno ci poteva sperare visto l'anniversario no? Invece ci ritroviamo un album, seppur bellissimo, in una versione già in commercio (perchè la rimasterizzazione è del 2011), delle versioni live note e stra-note, e l'unico punto di medio interesse che risiede nei demo. Insomma un abbondante 90% del materiale è già ampiamente disponibile, quindi la domanda sorge spontanea: perchè?
Ma d'altronde si sa che ora l'attenzione è tutta sui vari Monopoli, libri in 3D e film su Freddie Mercury. Peccato che quelli che effettivamente rimangono a bocca asciutta sono i fan della musica piuttosto che dell'immagine.