venerdì 28 giugno 2019

The Moody Blues - Seventh Sojourn (1972) Recensione

Ottavo album e settimo della formazione classica dei Moody Blues prima dell'importante scioglimento che, nonostante una reunion qualche anno dopo, segna la fine della fase più interessante di questa band. E se senza alcun dubbio gli album compresi tra Days Of Future Passed e A Question Of Balance sono i più riusciti, i due successivi mantengono un livello comunque piuttosto alto e costante, compreso quindi questo Seventh Sojourn. La più grande differenza rispetto ai lavori precedenti fu la decisione, da parte di Mike Pinder, di passare dal Mellotron al simile, ma comunque diverso a livello timbrico, Chamberlin. Questo porta il classico suono dei Moodies ad un leggero cambiamento, con i caldi e pastosi suoni di Mellotron sostituiti da quelli più brillanti ed un pizzico più freddi del Chamberlin (che comunque di base aveva lo stesso funzionamento), a cui si è ovviato con una pesante aggiunta di un costante riverbero.
Un altro piccolo cambiamento si ha all'inizio dell'album, in quanto laddove di solito c'era una più o meno lunga introduzione, strumentale o narrata, qui trova posto Lost In A Lost World, tipico brano di Pinder con bellissimi cori e sognanti inserti del nuovo Chamberlin. Un inizio inusuale ma senza dubbio un brano degno della loro migliore produzione. Ed è quindi subito il turno della calda voce di Justin Hayward con la magnifica New Horizons, a parere di chi scrive una delle sue migliori ballate insieme alla sempreverde Nights In White Satin. Anche Ray Thomas ci regala una delle sue migliori canzoni, con la serena e solare For My Lady, impreziosita da bucolici interventi ai fiati, tra cui la bellissima parte di oboe nel ritornello. Probabilmente uno dei pezzi più belli dell'album e non solo, che introduce tra l'altro il picco indiscusso del disco: Isn't Life Strange. Ad opera di John Lodge e cantato prima da lui e poi da Hayward, prima del trionfale ritornello corale in cui sembrano intervenire tutti. Bellissimo il ruolo del Chamberlin a simulare il violoncello, in un modo creativo di usare lo strumento che si è negli anni perso totalmente, nonostante le innumerevoli versioni campionate sia del Chamberli che del ben più famoso Mellotron alla portata di mano di chiunque. La versione estesa di questo brano, presente come bonus nella versione CD (per quei pochi che volessero spendere meno ed avere di più, invece di comprare il vinile, se c'è) vanta una bellissima sezione strumentale centrale, dove Pinder mostra di nuovo le sue doti orchestrali.
Da qui in poi l'album perde un po', e sembra non essere in grado di mantenere il livello altissimo raggiunto nei primi quattro brani, comprensibilmente. La più ritmata You And I è alquanto piacevole e coinvolgente, così come anche la successiva The Land Of Make Believe, entrambi brani in un certo senso più "canonici", che se non dovessero combattere con la prima metà dell'album probabilmente ne gioverebbero non poco. La più misteriosa When You're A Free Man sembra avvicinarsi ad alcune cose dei Barclay James Harvest (sì, lo so, ironico), e ci porta al brano conclusivo, che poi fu anche un singolo di discreto successo, I'm Just A Singer (In A Rock and Roll Band). Bel brano spinto che non ha nulla da invidiare a cose come Ride My See Saw, e che fa strano vedere spinto alla fine dell'album.
Se si è in possesso della versione in CD rimasterizzata, si può avere, oltre alla già citata versione estesa di Is'nt Life Strange e ad alcuni mix alternativi, l'inedita Island, altro bel brano di Hayward che pare fosse destinato al successore di Seventh Sojourn, che non vide poi la luce.
I Moody Blues infatti si sciolsero di lì a poco, e quando si riformarono nel 1977 con Patrick Moraz al posto di Mike Pinder, le cose furono un po' diverse, e gran parte della magia di questa fase andò perduta.
Seventh Sojourn è un lavoro che non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori, seppur più incentrato su canzoni "normali" e privo di quell'aria psichedelica più folle ed imprevedibile degli album di fine anni '60.

domenica 23 giugno 2019

Rainbow - Rising (1976) Recensione

Il secondo album della creatura di Blackmore (che tra l'altro, a differenza del primo, cestina il nome del chitarrista dalla copertina lasciando solamente Rainbow, quasi a voler dire "ecco, ora siamo una band") ed uno dei più importanti e fondamentali album della storia dell'hard rock e del conseguente heavy metal. Rispetto alla prima uscita a nome Rainbow la formazione coinvolta è quasi completamente rinnovata, conservando solo Ritche Blackmore e Ronnie James Dio e sostituendo tutti gli altri con Jimmy Bain al basso, Tony Carey alle tastiere e Cozy Powell alla batteria, di fatto costituendo quella che per molti è la line up definitiva di questa band (anche se il sottoscritto ha un debole per l'epoca Bonnet-Glover-Airey).
Rising è tanto breve quanto il tempo impiegato per registrarlo (appena un mese), sfoderando solamente sei brani di fragoroso ed epico hard rock senza alcuna pausa. Se infatti nel primo album c'erano Catch The Rainbow e Temple Of The King ad alleggerire, così come ci sarà Rainbow Eyes nel successivo, qui i ritmi serrati tirano dritto come una locomotiva per tutti e 33 i minuti di Rising, senza spazio alcuno per tirare il fiato.
Fin dall'introduzione di tastiere ad opera di Carey in Tarot Woman si sente la voglia di distaccarsi dal tipico suono "alla Deep Purple", lasciando da parte il classico Hammond che immediatamente richiamerebbe alla mente l'inimitabile Jon Lord e preferendo il più "moderno" Minimoog. L'entrata del resto della band è introdotta da uno schematico riff che poi lascia spazio alla roboante batteria di Powell, dando vita ad un brano che è il prototipo di ogni brano metal di ispirazione fantasy che tanto prenderà piede nei decenni successivi. Blackmore è incredibilmente lucido nei suoi interventi prima al limite del caotico e poi piacevolmente melodici. Poco da dire poi sulla sempre impeccabile performance di Dio, qui forse alla sua prima vera affermazione in uno stile che si porterà avanti per tutto il resto della sua carriera. Run With The Wolf è forse un brano minore insieme a Do You Close Your Eyes, ma entrambi più che il futuro dei Rainbow sembrano prevedere la carriera di Dio con la sua omonima band, in sostanza quindi riuscendo a suonare non così lontani da certe cose dei primi anni '80, però praticamente un lustro prima.
Nel mezzo c'è Starstruck, quasi un prototipo della ben più nota Long Live Rock And Roll che vedremo l'anno successivo, anche se , a parere di chi scrive, questo brano da Rising è decisamente più interessante grazie ad un incrocio di riff tutt'altro che banali. Gran parte dell'attenzione però la cattura il secondo lato dell'album, formato solamente da due brani, ma che brani. Stargazer è forse il picco creativo dei Rainbow oltre che uno degli episodi più belli ed epici di quest'epoca dell'hard rock e non solo. Facile tracciare paralleli con la similmente grandiosa Kashmir dei Led Zeppelin, ma se lì il brano era interamente votato alle sonorità di stampo orientale, qui questo elemento è presente solo in parte, mischiato di nuovo con un immaginario fantasy ed in generale una sensibilità più affine al metal sinfonico ante-litteram. In questo senso è esemplare l'assolo centrale di Blackmore, che dopo un inizio su scale orientali con lo slide sfocia in una cascata di note dall'anarchica precisione. In tutto ciò c'è l'indescrivibile potenza ed intensità della voce di Dio che porta il brano a vette altissime, elevate ulteriormente dall'entrata dell'orchestra nella lunga coda conclusiva. Interessante poi l'aneddoto secondo cui Blackmore scrisse il riff di questo brano al violoncello. Difficile seguire un capolavoro simile, ma A Light In The Black non si tira certo indietro. Una cavalcata lunga quanto Stargazer ma al doppio della velocità, con un Powell in modalità schiacciasassi e Carey e Blackmore che sembrano sfidarsi in duelli all'ultimo sangue tra la cacofonia e gli onnipresenti arpeggi neoclassici su cui qualche chitarrista svedese farà la fortuna di lì a qualche anno.
Rising è un album fondamentale quasi quanto il primo omonimo dei Led Zeppelin o In Rock dei Deep Purple; molta della musica affine a questo genere che affiorerà specialmente dagli anni '80 deve tantissimo a questo album. Un ascolto breve ma decisamente intenso da cui ancora oggi si può imparare molto, anche solo a livello di arrangiamenti e produzione.
I Rainbow non raggiungeranno mai più livelli simili, pur avvicinandosi molto con il successivo Long Live Rock And Roll o con il sottovalutato Down To Earth con Graham Bonnet alla voce. Curiosamente ben pochi brani di questo album troveranno posto in scaletta nei tour contemporanei, con Stargazer e soprattutto A Light In The Black cestinate dopo meno di un anno (la prima verrà ripresa successivamente in modo sporadico) e la sola Starstruck in versione appena accennata al'interno di Man On The Silver Mountain.

domenica 16 giugno 2019

Queen - Canzoni "rare"

Si sa, sono tanti i casi in cui varie band e artisti "perdono" canzoni per strada. Molte magari finiscono come lato b di un singolo, altre trovano posto in qualche oscura raccolta, altre ancora magari non vedono mai la luce ufficialmente ma, con un po' di fortuna, affiorano nel mondo dei bootleg.
Quello che troverete qui sotto è una sorta di elenco di canzoni che, anche andando ad acquistare tutti gli album ufficiali dei Queen, potreste non trovare. Ci sono infatti svariati casi, che vedremo nel dettaglio, in cui alcuni pezzi sono stati inseriti come bonus in un CD aggiuntivo delle rimasterizzazioni del 2011; ma di fatto non so quanti abbiano optato per le versioni doppio CD di quegli album, preferendo le più economiche versioni singole.
Quindi, escludendo versioni alternative di qualche brano (ad es. Forever, la versione solo piano di Who Wants To Live Forever presente come bonus in tutte le versioni di A Kind Of Magic) se non degne di nota, i remix e i demo di brani noti, in ordine più o meno cronologico abbiamo:

  • Polar Bear

Per ovvi motivi escludo i brani degli Smile, focalizzandomi su quelli registrati dagli effettivi Queen. Questa è una rarissima eccezione (insieme a Doing All Right) in cui la band da poco formata si cimenta in uno dei brani incisi dagli Smile. Essendo questo un pezzo fatto apposta per la voce di Tim Staffel (membro degli Smile che abbandonò la band, lasciandola in mano a May e Taylor), il giovane Freddie fa quel che può, ricorrendo ad un sottile falsetto per raggiungere note piuttosto alte. Questo brano si può trovare su vari bootleg.

  • Mad The Swine

Brano registrato con l'intenzione di includerlo nell'album d'esordio dei Queen e poi scartato. Avrebbe dovuto piazzarsi tra Great King Rat e My Fairy King ma, a causa di differenze di idee con il produttore Roy Thomas Baker, non trovò posto nell'album. Scritta da Freddie Mercury, vide la luce la prima volta nel 1991 come lato B del singolo Headlong, ed oggi si può trovare nel CD bonus dell'album Queen nella versione del 2011.

  • Hangman

Caso curioso di un brano che, a quanto pare, non fu mai inciso in studio (o se lo fu non è ancora arrivato a noi, nonostante un collezionista dica di possederne un acetato). L'unico modo per ascoltarlo è scovare qualche registrazione bootleg di concerti tra il 1973 ed il 1976, purtroppo di qualità variabile, in quanto trovò sporadicamente spazio nelle scalette live. La versione che allego è tratta dal concerto alla Budokan di Tokyo l'1 Maggio 1975, nella data di chiusura del primo tour giapponese. Altre ottime versioni sono quelle di Birmingham del 1973 e l'ultima in assoluto, di nuovo a Tokyo l'1 Aprile 1976.

  • See What A Fool I've Been

Forse il brano in cui più si nota l'influenza dei Led Zeppelin nei primi Queen. Un pezzo spudoratamente blues risalente all'epoca di Queen II. Fu suonato svariate volte dal vivo come bis dal 1974 al 1976, con l'ultima eccezione il 6 Ottobre 1977 nel breve concerto improvvisato dopo aver filmato il videoclip di We Are The Champions (versione che trovate qui sopra insieme a quella in studio). Si può trovare sia in live come quello al Rainbow 1974, Hammersmith Odeon 1975 e nel CD bonus di Queen II del 2011.

  • Silver Salmon

Curioso brano dalla provenienza indefinita. Secondo alcune fonti risale ai primissimi anni della band, mentre secondo altre proviene dalle session di News Of The World, quindi nel 1977 (basandosi principalmente sulla voce di Freddie e la presenza dei roto-tom nella batteria di Roger Taylor). Recenti teorie suggeriscono che si possa trattare effettivamente di un brano risalente al primo periodo della band, ripescato poi in una session del '77, probabilmente con una modalità simile al brano Sheer Heart Attack.
Un bel pezzo rock reperibile solamente su bootleg in 4 versioni diverse (tra take multiple e fonti sonore diverse).

  • Feelings

Qui invece è confermato il fatto che si tratti di uno scarto di News Of The World del 1977. Brevissimo brano, lungo giusto 2 minuti, di spinto rock che avrebbe meritato più lavoro ed ulteriori sviluppi. Quello che abbiamo sono almeno due o tre take diverse, di cui una reperibile nel CD bonus di News Of The World del 2011, comunque tutte molto simili fra loro. Una di queste tende più ad essere una jam, ed una parte di chitarra sul finale è identica a quella udibile all'inizio di una take di Silver Salmon, suggerendo quindi che i brani siano parte delle medesime session.

  • A Human Body

Leggero brano di Roger Taylor, che si occupa anche della voce, scartato da The Game. Finirà come lato B del singolo Play The Game e lo si può trovare nel CD bonus di The Game del 2011.

  • Cool Cat (con David Bowie)


Le session dell'epoca di Hot Space da cui nacque Under Pressure non si limitarono al suddetto brano, ma proseguirono con Cool Cat. Bowie infatti tentò di inserirsi anche in questo brano, che poi finì in Hot Space cantato solo da Freddie. Si vocifera di altri brani da quelle session, ma per ora questo è ciò che abbiamo. Questa versione si trova solamente su bootleg.

  • Soul Brother

Curioso brano dai toni soul (come si intuisce dal titolo) in cui Freddie, che ne è anche il compositore, sfodera il suo miglior falsetto. Curiosa poi la decisione di inserire nel testo citazioni a titoli di altri brani dei Queen, come Under Pressure, We Will Rock You e Keep Yourself Alive. Uscì come lato B del singolo Under Pressure nel 1981 ed oggi si può trovare nel CD bonus di Hot Space del 2011.

  • Feel Like

Tecnicamente si tratta di un demo abbastanza improvvisato nelle session di Hot Space, ma è perlomeno interessante vista la presenza di alcune idee che finiranno in Under Pressure. Si può trovare solamente su bootleg.

  • I Go Crazy

Gran bel pezzo ad opera di Brian, per qualche motivo rimasto fuori da The Works. Si dice che risalga addirittura ai tempi di The Game e che ne esista un demo del 1981, oltretutto Brian ne improvvisò il riff nel suo chilometrico assolo dal vivo nel tour sudamericano del 1981. Uscì come lato B del singolo Radio GaGa nel 1984 e si può trovare nel CD bonus di The Works del 2011.

  • Thank God It's Christmas


Non si tratta di un pezzo raro, ma per anni lo è effettivamente stato. Alla sua pubblicazione come singolo nel 1984 non destò certo molto interesse o attenzione, e tutt'ora non è presente in alcun album ufficiale dei Queen a parte il Greatest Hits III ed il CD bonus di The Works del 2011. Fu infatti proprio ai tempi del terzo volume del Greatest Hits, nel 1999, che questo bel pezzo natalizio iniziò a fare il giro delle radio, diventando pian piano il classico che è oggi.

  • Let Me In Your Heart Again

Questo brano di Brian May vide la luce nel 1988 cantato dalla sua futura moglie Anita Dobson, ma in realtà risale alle session di The Works sul finire del 1983. Una versione sicuramente molto rivista e modificata è stata pubblicata nel 2014 nella raccolta Queen Forever, usando tracce vocali di Freddie palesemente non definitive in quanto estratte da demo, e musica sicuramente in gran parte re-incisa per l'occasione. Si tratta comunque di un gran bel brano, che per qualche motivo non ha ricevuto molta attenzione ai tempi dell'uscita.

  • A Dozen Red Roses For My Darling

Brano strumentale di natura elettronica che ha molto in comune con Don't Lose Your Head da A Kind Of Magic. Uscì come lato B del singolo A Kind Of Magic e oggi si può trovare su bootleg.

  • New York, New York

Cover dal famoso brano di John Kander e Fred Ebb e registrato durante le session di A Kind Of Magic, è presente nel film Highlander per meno di un minuto, entrando dopo una sezione ritmica molto simile a Dozen Red Roses. Non si sa se esista una versione intera, anche se "ufficialmente" si tende al no, e tutto ciò che abbiamo è, di conseguenza, l'estratto dal film.

  • Dog With A Bone


Curioso brano certamente in gran parte improvvisato e destinato al loro fan club nel 1988. Interessante soprattutto per la presenza di Freddie e Roger alla voce, sia alternati che insieme. Ad oggi si può trovare solamente su bootleg.

  • Stealin'

Un pezzo certamente non troppo essenziale ma divertente e leggero. Risale alle produttive session di The Miracle e venne pubblicato come lato B del singolo Breakthru nel 1989 e nel bonus CD di The Miracle del 2011. La parte interessante è il fatto che la versione più nota è editata da una jam di quasi 12 minuti, che si può facilmente trovare su bootleg.

  • Hijack My Heart

Bel brano di Roger Taylor risalente al periodo di The Miracle e pubblicato come lato B del singolo The Invisible Man. Oggi lo si può trovare nel CD bonus di The Miracle del 2011, ma esiste anche una versione demo reperibile su bootleg.

  • Chinese Torture

Questo ed il prossimo brano non so quanto si possano definire rari, in quanto presenti come bonus in praticamente tutte le versioni di The Miracle in CD. Si tratta comunque di un curioso breve pezzo strumentale dominato dalla chitarra di Brian May.

  • Hang On In There


Bel brano rock di nuovo presente come bonus in The Miracle ed uscito all'epoca anche come lato B del singolo I Want It All. Degno di nota sia per le altissime note raggiunte da Freddie nel cantato (tra le più alte in assoluto), sia per la divertente jam finale presente su bootleg con il titolo A Fiddly Jam.


  • My Life Has Been Saved


Brano sicuramente noto per essere presente in Made In Heaven, in realtà la versione originale risale al 1989, è leggermente diversa nell'arrangiamento e vide la luce come lato B del singolo Scandal.

  • I Guess We're Falling Out

Un'introduzione di drum machine sostanzialmente identica a quella di My Baby Does Me introduce questo bellissimo demo purtroppo mai ultimato tratto dalle session di The Miracle. Certamente uno dei pezzi più interessanti tra quelli mai finiti del tutto, che tra l'altro riprende una sezione della Fiddly Jam di Hang On In There, lo si trova su bootleg.

  • A New Life Is Born


Rimaniamo nel periodo di The Miracle. Parte di questo pezzo fu poi usato per introdurre Breakthru, ma in questo demo se ne può ascoltare la continuazione, almeno finché il nastro non si interrompe bruscamente. Reperibile su bootleg.

  • Lost Opportunity

Trascurabile brano dalle tinte blues scritto e cantato da Brian May, risalente all'epoca di Innuendo ed uscito come lato B del singolo I'm Going Slightly Mad. Si trova nel CD bonus di Innuendo del 2011.

  • Self Made Man

Interessante demo dalle session di Innuendo che in realtà ha poco in comune con i brani poi scelti per l'album, in quanto suona molto anni '80. Gran parte della sezione vocale è opera di Brian, con Freddie che interviene ad un certo punto. Si trova su bootleg.

  • My Secret Fantasy 

Discorso simile al brano precedente, con però Freddie ben presente alla voce solista, in un brano ai limiti della jam, sempre dello stesso periodo. Disponibile su bootleg.

  • Robbery

Un demo decisamente dai toni più rock di appena un paio di minuti di durata, di nuovo dall'epoca di Innuendo. Freddie accenna un testo all'inizio e poi sparisce, lasciando gli altri a continuare riff dopo riff. Disponibile su bootleg.

  • Face It Alone

Forse uno dei brani più misteriosi tra quelli visti finora. Non si hanno molte informazioni a riguardo, e tutt'ora si dibatte sul fatto che possa provenire dalle session di The Miracle o quelle di Innuendo. Si tratta di un brano lento ed epico, decisamente interessante ma purtroppo ben lontano dall'essere ultimato. La sua lunghezza è indefinita, in quanto ne esistono svariate versioni da fonti diverse, tra cui anche una registrazione "rubata" da una convention. Di fatto questo ha spinto molti fan a creare dei mix cercando di portare il brano ad una forma più completa possibile, un po' come quello che trovate qui sopra.

mercoledì 5 giugno 2019

Whitesnake - Flesh And Blood (2019) Recensione

Ad ormai otto anni dall'ottimo Forevermore (no, non contiamo il Purple Album che è meglio), i Whitesnake si ripresentano con un nuovo album dal titolo Flesh And Blood. Di fatto siamo di fronte ad una band leggermente diversa, per via dell'abbandono del chitarrista e principale partner compositivo di Coverdale, Doug Aldrich, sostituito da Joel Hoekstra, dal rientro di Tommy aldridge alla batteria e dell'entrata del tastierista Michele Luppi. Certo questo cambio di formazione risale a qualche anno fa ormai, ma l'album in questione è la prima occasione per cimentarsi in nuove composizioni. E se Good To Be Bad e Forevermore erano album molto simili tra loro grazie soprattutto al contributo di Aldrich, in Flesh And Blood si fa finalmente avanti Reb Beach, secondo chitarrista già con Aldrich, ed il nuovo arrivato Hoekstra, pur lasciando a Coverdale il timone.
Quello che si nota subito fin dal brano di apertura Good To See You Again è una leggera tendenza a ripiegare un po' di più su un canonico hard rock con centellinati interventi blues (in questo specifico caso abbiamo una bella chitarra slide), lasciando un po' da parte, specie se confrontato a Forevermore, tendenze spiccatamente hair metal e ballate sdolcinate.
Badate bene, questi due ultimi elementi sono comunque presenti, altrimenti non sarebbero i Whitesnake post '87, ma la resa generale è comunque diversa.
Coverdale ovviamente continua a cantare troppo spesso in tonalità inutilmente alte per la sua età e la sua voce rimasta, cosa che in studio funziona ancora ma che poi dal vivo crea non poche difficoltà.
L'album ci regala un'ora di hard rock vecchio stile, molto spesso affondando nel comfort del già sentito, ed altre cercando di tirare fuori qualcosa di un pelo più ricercato. Già nella seconda Gonna Be Alright ci sono arpeggi e riff più inusuali, così come in Trouble Is Your Middle Name. Il blues ritorna in Well I Never, mentre il singolone Shut Up And Kiss Me, Hey You (You Make Me Rock) e la title track affondano profondamente le radici nel più tradizionale hard rock di sempre. Nel mezzo ci sono le tendenze più pop di Always And Forever e la quasi ballata When I Think Of You (Color Me Blue), che segnano forse una delle parentesi un po' meno interessanti. Sembra poi che si sia voluto "buttare" nella seconda metà alcuni dei pezzi indubbiamente più solidi sia dell'album che della recente discografia dei Whitesnake. Ed è il caso ad esempio di Heart Of Stone, epico brano che sembra uscito dal Coverdale solista di fine anni '90, e dove tra l'altro il suddetto si ricorda di avere ancora una voce della madonna quando sta sulle note basse; peccato accada raramente.
Il più semplice rock and roll di Get Up e la magnifica parentesi acustica, decisamente benvenuta, di After All fanno da preludio all'altro brano epico dell'album, posto strategicamente in chiusura. Sands Of Time va curiosamente a pescare in territori orientaleggianti, cosa questa non certo comune per una band come i Whitesnake, sempre molto con i piedi per terra nelle sue ispirazioni americane. Consueti assoli di chitarra dalla tamarraggine esagerata portano il brano al suo culmine e chiudono l'album nel migliore dei modi.
Diciamo che questa tendenza ad allontanarsi dal suono dell'era Aldrich avrebbe forse funzionato meglio se la si fosse affrontata con un po' più di coraggio; ma è anche vero che non si può chiedere innovazione e reinvenzione ad una band tradizionale come i Whitesnake.
Band che, lo devo ammettere, credevo ormai bollita dopo l'inutile Purple Album, ma che si conferma ancora credibile e, soprattutto, godibile con un album che è senza dubbio tra i più solidi dopo i magici anni '80, pur avendo qualche caduta qua e là (siamo sempre lì, era davvero necessario far durare l'album un'ora? Se c'è una cosa che salvo degli inutili vinili è il limite di durata degli album, poi prontamente ignorato oggi e bypassato dalla pubblicazione di vinili doppi a prezzi folli almeno quanto chi ancora ascolta vinile, ma quello è un altro discorso). Se si acquista la versione deluxe, tra mix diversi e documentari di vario tipo troviamo altri due brani aggiuntivi che, se sostituiti ad alcuni più deboli nell'album, avrebbero fatto un figurone. La blueseggiante Can't Do Right From Wrong è forse quello che molti fan dei Whitesnake della prima ora vorrebbero sentir cantare al Coverdale di oggi, mentre la pesante ballata If I Can't Have You si fa ascoltare senza infamia e senza lode, pur mantenendosi comunque su livelli piuttosto alti.
Insomma non siamo di fronte ad un capolavoro, e ciò è destino comune a qualunque cosa a nome Whitesnake da una trentina d'anni a sta parte, ma Flesh And Blood è sicuramente un album migliore di quanto mi sarei aspettato (forse per via delle aspettative molto basse per via del pluricitato Purple Album), confermandosi mediamente migliore anche del precedente Forevermore, comunque apprezzato non poco dal sottoscritto.

domenica 2 giugno 2019

The Zombies - Odessey and Oracle (1968) Recensione

Strano destino quello degli Zombies, che li ha portati allo scioglimento dopo appena due album, o meglio, prima ancora che uscisse il secondo! Insoddisfazioni varie causate da fallimenti di alcuni singoli ed un generale calo di popolarità hanno portato questa band a sciogliersi a registrazioni ultimate, noncuranti della possibilità o meno che il risultato venisse poi apprezzato alla sua uscita. Ed infatti il risultato, chiamato Odessey and Oracle, piacque e non poco, ma a posteriori, quando la band ormai era morta e sepolta da tempo.
Certamente quelli furono anni pieni di capolavori, e per questo è normale vedere piccoli gioielli "perdersi" e venir riscoperti solo successivamente (S.F. Sorrow dei Pretty Things e Forever Changes dei Love ne sono due esempi); per gli Zombies non fu proprio così, in quanto un singolo in particolare, Time Of The Season, già nel 1969 fece breccia nelle classifiche americane, ma era ormai troppo tardi. Eppure l'album sembrava essere perfettamente in linea con tutto ciò che andava di moda in quel periodo, soprattutto tenendo conto che, pur essendo stato pubblicato nel 1968, è un album concepito nel pieno del 1967 (il primo ad essere registrato ad Abbey Road dopo che i Beatles finirono Sgt. Pepper), con una copertina iconica (che curiosamente causò un cambio forzato al titolo dell'album per via dell'errore del disegnatore che scrisse Odessey invece del normale Odyssey).
L'album è in sostanza quanto di meglio si possa volere dal pop di quegli anni, a partire da melodie memorabili per arrivare ad arrangiamenti mai banali e sempre pieni dei più disparati colori.
Si parte con Care Of Cell 44, un saltellante brano dal sapore Beachboysiano il cui testo è una immaginaria lettera alla compagna del protagonista che si trova in carcere e sta per uscire. Bellissimi i cori e spettacolare l'interpretazione vocale di Colin Blunstone, che svetta su molti cantanti a lui contemporanei. L'acustica A Rose For Emily prosegue mantenendosi su ottimi livelli con bellissime armonie vocali, prima della più canonica Maybe After He's Gone. Il trio di canzoni che segue, Beechwood Park, Brief Candles e Hung Up On A Dream, è probabilmente il primo importante picco dell'album, con melodie e arrangiamenti sempre interessanti, oltre che un uso del mellotron in contesti che, saturati come siamo oggi dal prog e dell'uso che se ne fa in quel contesto, suona decisamente fresco e piacevole. Hung Up On A Dream in particolare è senza dubbio una delle migliori composizioni in assoluto degli Zombies, oltre che una prova di ciò che il pop poteva e può tutt'ora essere se solo lo si volesse. Curioso poi che il proprietario di Beechwood Park abbia provato ad impedire l'uso di quel nome nella suddetta canzone (che tra l'altro, strettamente a livello temporale, sembra anticipare certe cose dei Love del già citato Forever Changes).
L'orientaleggiante Changes, tra percussioni e sempre bellissimo suono di flauti dal mellotron, fa da preludio a due canzoni più semplici, I Want Her She Wants Me e This Will Be Our Year, che seppur ottime tendono a ridimensionarsi non poco quando si arriva alla successiva A Butcher's Tale (Western Front 1914). Brano contro la guerra, tema in un certo senso tipico di quei tempi, è in realtà molto interessante ed originale nell'uso della fisarmonica e nell'interpretazione carica di pathos di Chris White, che è anche il compositore del pezzo. Una delle cose più belle che io abbia ascoltato in tempi recenti. Friends Of Mine alleggerisce il tutto e fa quel che può nel seguire cotanta bellezza, soprattutto visto che fa anche da preludio ad uno dei pezzi più celebri degli Zombies. Time Of The Season chiude l'album nel modo migliore possibile, tra strofe ritmicamente tutt'altro che banali, trionfale ritornello e finalmente uno spazio per le doti tastieristiche di Rod Argent nei due assoli di hammond jazzati. Si tratta di uno di quei brani che sanno squisitamente di "fine anni '60", proprio nell'atmosfera, nei suoni, in tutto, anche forse per l'estensivo uso che se ne è fatto in film e documentari che hanno a che fare proprio con quell'epoca.
L'album esiste sia in mono che in stereo, ed è uno dei pochi casi in cui mi sento quasi di consigliare più la versione in mono, in quanto a costo di perdersi i consueti pazzi "panning" di suoni tipici dei mix stereo anni '60, si guadagna un mix più omogeneo senza raggiungere punti caotici. Valore aggiunto in alcune edizioni in CD sono vari singoli e lati b dell'epoca, con perle come Imagine The Swan che non avrebbero affatto sfigurato nell'album.
In definitiva Odessey and Oracle si tratta di un piccolo gioiello piacevole all'ascolto, né ostico né mai totalmente banale, colorato, vario, scorrevole e semplicemente bello. Tutto ciò che il pop dovrebbe essere.