lunedì 12 marzo 2018

Marillion - Marbles (recensione)

Io, come tanti, ho conosciuto i Marillion grazie ai loro lavori anni '80 con Fish alla voce. Inutile negare che l'interesse è stato causato dalla loro somiglianza superficiale con i primi Genesis; solo successivamente scoprii l'innegabile personalità del loro suono anche nei primi anni, specialmente quando poi maturarono con Misplaced Childhood e Clutching At Straws (il mio preferito di questa prima fase). Comprensibilmente il cambio di voce e frontman con l'arrivo di Steve Hogarth non mi attirò molto all'inizio, tanta era la differenza non solo di voce ma anche a livello stilistico della band dagli anni '90 in poi (pur con un cambio graduale). Certo, brani come The Space non potevano non piacermi, ma il resto mi lasciò un po' perplesso. Gli anni passarono e per qualche motivo mi ritrovo oggi con un'idea a riguardo quasi totalmente opposta, quasi più a favore dell'era Hogarth rispetto all'era Fish, pur adorandole entrambe. E quando si parla di "miglior album" di questa seconda fase la lotta alla fine si riduce ad un duello tra Brave e Marbles (senza nulla togliere agli altri album, comunque in gran parte più che meritevoli, con molti lavori eccellenti)... Brave è un ottimo album, sicuramente tra i migliori, ma non mi ha mai catturato del tutto: molte vette ma anche pezzi un po' più anonimi a mio parere, e a tratti non scorre benissimo. Marbles invece l'ho sempre preferito a tutti gli altri sotto molteplici aspetti. Ah premessa: parlo ovviamente della versione intera doppia, che a quanto pare ne esiste anche una singola di cui non capisco molto il senso sinceramente...
Fin dall'inizio con The Invisible Man si capisce che siamo di fronte a qualcosa di molto intenso: la struggente storia di un uomo che non può più interagire con la realtà, pur essendone ancora parte. 13 minuti e mezzo di saliscendi magistralmente orchestrati come poche altre loro cose ed un finale struggente: sicuramente una delle cose migliori dell'album e non solo. Dopo un inizio di altissimo livello segue la prima delle 4 parti della title track: i 4 intermezzi a nome Marbles 1-2-3-4 sparsi nell'album sono, appunto, niente altro che intermezzi, in cui spicca però la 3 che ho sempre apprezzato particolarmente. Il primo Cd procede con un trio di pezzi più "tranquilli" a partire dalla più "poppettara" Genie, cui segue la bellissima ed atmosferica Fantastic Place, un altro dei miei pezzi preferiti di questa fase dei Marillion. Discorso simile per The Only Unforgivable Thing, altro brano di gran classe. E dopo Marbles 2 ecco un altro pezzo da 90: Ocean Cloud. Dall'alto dei suoi 18 minuti che non pesano affatto, ci racconta una storia di un uomo di mare tra i loro tipici saliscendi, assoli quasi Gilmouriani ed in generale un approccio alle suite per loro tipico, che rivedremo esteso a dismisura nel loro ultimo album F.E.A.R., in modo però, secondo me, a tratti un po' meno efficace.
Il secondo Cd viene aperto dalla già citata Marbles 2, che adoro, e poi ci regala la parte più pop ed accessibile dell'album.
A partire dalla beatlesiana The Damage (bellissima), la godibile Don't Hurt Yourself e You're Gone, brano di discreto successo di classifica ai tempi che però, specialmente a causa del ritmo che si trascina per tutto il brano, ci ho messo un po' per apprezzare. Angelina è un altro brano che subito può lasciare un po' interdetti, con questo suo fare quasi sonnolento, ma che acquista presto fascino e senso una volta fatto caso al testo (che di fatto si presenta quasi come uno spot di una radio\programma notturno) con fare jazzato-swing (anche se poi si evolve in un brano più tipicamente "alla Marillion") che si aggiunge alla già notevole varietà di stili presenti nell'album. Drilling Holes è un brano che non può non colpire fin da subito con il suo fare inquietante e martellante, in totale contrasto con il testo, intervallato da parti più distese: un gran bel pezzo. Dopo Marbles 4 eccoci ad un altro innegabile picco dell'album e dell'intera carriera di questo gruppo: Neverland. Questo brano e The Invisible Man sono quelli che fin da subito mi hanno attirato all'album, il resto è "arrivato" dopo. Neverland è piuttosto semplice a livello compositivo, e forse il bello è proprio quello; ma un po' l'atmosfera, un po' il testo, un po' la combinazione micidiale dell'interpretazione di Hogarth ed un Rothery ispiratissimo alla chitarra, è quasi impossibile arrivare alla fine con gli occhi asciutti. Posso solo immaginare, guardando i numerosi video live, cosa possa essere sentirla dal vivo.
Insomma un album che naturalmente, essendo doppio, ha alti e bassi; però per qualche motivo lo preferisco a Brave. Sarà per una certa atmosfera che percepisco un po' in tutti i brani, qualcosa che non so spiegare, qualcosa che unisce il tutto, brani capolavori e semplici composizioni oneste, e li racchiude in un tutt'uno che scorre come pochi altri album di questa lunghezza. Credo ci sia anche un concept di fondo, legato al "losing marbles", modo di dire che significa in sostanza impazzire, però lo trovo un collegamento un po' labile e giustificato praticamente solo dalle 4 parti della title track sparse e da qualche frase ricorrente nei vari brani. Ma questo non diminuisce il valore di un album che sa emozionarmi ogni singola volta, forse anche nelle imperfezioni che ha, e che per questo si merita un 9.

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