giovedì 8 marzo 2018

Deep Purple - Live in Paris 1975 (recensione)

Ho sempre avuto un debole per la formazione cosiddetta mark 3 dei Deep Purple: quella formata da Ritchie Balckmore, Jon Lord, Ian Paice, Glenn Hughes e David Coverdale e che pubblicò Burn e Stormbringer. E questo nonostante ci siano casi in cui Hughes sfiorava l'insopportabilità con urla fuori luogo che, se unite alla vena funk-soul di Stormbringer (l'album) quasi mi fa desistere dall'esplorare oltre (ovviamente Burn non lo tocca nessuno). Ma c'è un ma: questa formazione in sede live era devastante. E se già il Live in London o la loro esibizione al California Jam rendeva bene l'idea delle potenzialità di questa band, a mio modesto parere è qui che raggiunsero l'apice. Live in Paris 1975 è in sostanza l'ultimo concerto prima dell'abbandono di Blackmore, tra l'altro già rappresentato parzialmente nel bel Made In Europe, che già era un ottimo album, ma non conteneva la scaletta completa (essendo, a differenza dal Made In Japan, un album singolo tra l'altro composto da 3 serate, non solo da quella di Parigi). Qui abbiamo quindi un concerto storico, vista l'imminente defezione dell'uomo in nero, ma anche il massimo che questa formazione era in grado di offrire. Perchè se da un lato abbiamo delle ottime versioni di brani già consolidati come Burn, Mistreated (entrambe devastanti), la Smoke On The Water con le strofe cantate a turno da Coverdale e Hughes (anche se mai digerirò la ripetizione della prima strofa al posto della terza) e le consuete, infinite versioni di You Fool No One e Space Truckin' con assoli vari a far da contorno; dall'altro abbiamo la freschezza di brani nuovi in versioni spesso superiori a quelle del disco! Basti sentire Stormbringer, che già in studio si distingueva dal resto dell'album in quanto a potenza, ma qui tira giù i muri. The Gypsy ammetto che era spesso altalenante dal vivo, essendo la sua resa totalmente in mano alle armonie di Coverdale e Hughes che diciamocelo, spesso non erano lucidissimi...
Qui fanno un buon lavoro davvero, e l'assolo di Blackmore è devastante. Lady Double Dealer invece, a parte l'inizio zoppicante, si conferma come discreto brano come tanti altri, ma fa la sua figura in scaletta. L'assolo di Blackmore in You Fool No One come al solito è disumano, anche se forse a tratti preferisco la versione un po' più "ordinata" del tour di Burn. Ovviamente prima dell'inizio del suddetto brano possiamo goderci il consueto assolo di Lord sempre in bilico tra classicismi e rumorismi con la sua consueta classe insuperabile. Space Truckin non riuscirò mai ad apprezzarla appieno cantata da Coverdale (come in sostanza tutte le cose di Gillan), però si sa che l'attrazione principale, anche qui, sono le improvvisazioni: e se apprezzate cose come Also Sprach Zarathustra, quasi 20 minuti di Lord e Hughes che si lasciano andare completamente e citazioni estemporanee e Child In Time, allora adorerete questa versione. La sorpresa di questo live però sono i bis, in gran parte improvvisati. E se Going Down di Don Nix è una costante sia nella mark 3 che nella mark 4, Highway Star decisamente no. Ok, oggettivamente è un po' una versione "stuprata" di Highway Star, con Coverdale e Hughes assolutamente non paragonabili a Gillan qui (ma d'altronde non è un loro pezzo, quindi li si può perdonare, hanno fatto di molto peggio altrove), però a metà succede l'inaspettato: Blackmore praticamente "ruba" l'assolo a Lord e....non si ferma! Va avanti per 5 minuti buoni tra libera improvvisazione e quello che sembra il consueto rituale di distruzione chitarristica. Cacofonia? Certo! Ma che cacofonia!
Un live che consiglio assolutamente ai fan e che, pur con le dovute differenze, ho sempre visto come "il Made In Japan della Mark 3". E poi, sarà perchè già sapeva che da lì a poco avrebbe lasciato la band (anzi, pare che l'abbia comunicato agli altri prima di questo concerto) ma Blackmore è inarrestabile per tutto il concerto, perfettamente in bilico tra le follie degli anni precedenti e le derive più melodiche dei prossimi Rainbow. Un voto? Si merita un 8,5 direi. Anche perchè ci sono tante imperfezioni, specialmente da parte di Hughes e Coverdale, che certo, non si fanno troppo sentire vista la "carica" di tutta la band, però se ci si fa caso... Ah, non ho citato Ian Paice? Ma perchè lui è una macchina da guerra sempre, è implicita la sua performance disumana, qui come altrove!
Se volete di più di quest'epoca, è uscito in tempi recenti anche il live a Graz, anch'esso parte del citato Made In Europe e registrato pochi giorni prima. Se invece volete solo un assaggio, il Made In Europe è perfetto.


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