giovedì 2 maggio 2019

Peter Gabriel - Up (2002) Recensione

Dopo aver parlato del recente Rated PG, ho pensato di tornare indietro di qualche anno.
Ad oggi l'ultimo album di nuove canzoni pubblicato da Peter Gabriel, frutto di ben 7 anni di lavoro (non continuo, vista la pubblicazione di OVO e Long Walk Home nel frattempo). Si tratta di un lavoro più oscuro del solito, soprattutto se confrontato con i precedenti So e Us, andando in un certo senso a recuperare certi toni presenti nel terzo e quarto album e tingendoli di una modernità tipica dell'approccio al passo con i tempi che ha sempre contraddistinto Gabriel. La lunga lavorazione di Us conferma una tendenza che gradualmente ha preso piede nel suo modo di produrre musica, che tra liste infinite di musicisti ed ospiti, minuziose scelte di produzione ed arrangiamenti che cambiano continuamente (specialmente da quando lo stesso Peter ha deciso di diventare il principale produttore dei suoi lavori) e continui cambi di tracklist, porta a pubblicazioni sempre più distanti nel tempo, sfiorando i 10 anni tra Us e Up e facendone passare, ad oggi, ben 17 senza l'ombra di un vero e proprio successore di quest'ultimo.
Up affondò le sue prime radici già nel 1995, ed intorno al 1998 gran parte del lavoro era già stato fatto, ma passeranno ancora 4 anni prima della sua pubblicazione. Quello che si nota subito è l'importanza del tema della morte, ricorrente in più tracce ed in totale contrasto con l'altro tema fondamentale presente, che è la vita. I toni, come detto, sono oscuri, spesso elettronici, industriali, c'è molto poco colore anche laddove si celebra la vita, come nel bel singolo ballabile Growing Up. Già dall'inizio con Darkness si capisce subito la direzione dell'album: dopo una devastante sezione introduttiva in cui rock, elettronica e suoni orchestrali creano un potente muro sonoro, il brano si sposta su toni più melodici guidati dal piano, in un inno al combattere e sconfiggere le proprie paure.
Si diceva della morte, ed infatti essa affiora nella complessa No Way Out, che sembra quasi essere una più moderna e "canonica" The Family And The Fishing Net nella sua natura multiforme, e ritorna nella magnifica I Grieve, il cui arrangiamento riesce a renderla particolarmente emozionante e coinvolgente, tra un crescendo ed un inaspettato cambio ritmico prima della conclusione. Senza dubbio uno dei migliori brani di Gabriel degli ultimi 30 anni, impreziosito oltretutto da una performance vocale particolarmente enfatica. Nel mezzo ci sono brani in un certo senso "minori", come la divertente ed amara The Barry Williams Show e la più greve My Head Sounds Like That, ma c'è anche un piccolo capolavoro come Sky Blue. Caratterizzata dalla presenza dei Blind Boys Of Alabama nel tema vocale ripetuto (tra l'altro già incontrato precedentemente in Long Walk Home, a riprova dell'affermazione di Gabriel secondo cui gli ci vollero ben 10 anni per finire questo brano), Sky Blue è forse uno dei più riusciti sunti del "suono Gabriel" di questa fase, di nuovo con l'incontro di world music, pop ed elettronica senza sbilanciarsi del tutto in alcuno di questi generi, oltre a dimostrarsi una delle poche parentesi lucenti di Up.
More Than This invece tenta di intraprendere la strada del pop, quella che ha portato a perle come Sledgehammer e Steam, lasciandosi però questa volta alle spalle il funk e i fiati sintetizzati e puntando invece su arrangiamenti più moderni, quasi glaciali, a contorno di melodie genuinamente riuscite che invocano a "qualcosa in più" di ciò che si può vedere.
Il picco dell'album però si ha senza dubbio verso la fine, con Signal To Noise. Picco assoluto non solo di Up ma anche di buona parte della carriera solista di Gabriel, questo brano combina di nuovo l'elettronica, la world music e l'orchestra, raggiungendo però una combinazione di un indescrivibile fascino difficilmente eguagliabile. Come ciliegina sulla torta c'è la presenza di Nustrat Fateh Ali Khan, che ci regala acrobazie vocali al limite delle possibilità umane. Tristemente Nusrat morì prima di riuscire a partecipare alla registrazione di Signal To Noise, costringendo quindi Gabriel ad usare una registrazione dal vivo risalente al 1996, quando suonarono insieme una versione primordiale di questo brano. Il crescendo orchestrale finale in particolare è letteralmente mozzafiato.
Insomma Up è un album che non può vantare la freschezza di un lavoro come So, essendo "vittima" di un andamento pesante, oscuro, con poche parentesi luminose o colorate, ma allo stesso tempo si nota una maturità che in molti album precedenti non era così evidente. Anche solo se confrontato con il precedente Us, se da una parte in quest'ultimo c'erano brani di assoluto valore (Secret World, Come Talk To Me, Digging In The Dirt...), dall'altra sembrava essere un lavoro un po' discontinuo, con brani che davano l'impressione di essere riempitivi. Sensazione questa a mio parere decisamente meno presente in Up, che invece mantiene uno standard più o meno alto dall'inizio alla fine, pur avendo meno "picchi" di Us.
La speranza è che non sia l'ultima uscita interamente inedita della carriera di Gabriel, ma anche se lo fosse non si potrebbe certo parlare di delusione.



1 commento:

  1. x chi ha seguito peter gabriel dagli inizi con i genesis .e in seguito da solista .ogni sua uscita sia in vinile che live.merita a mio avviso .massimo rispetto attenzione ,certo i tempi dei primi dischi di so stesso ..non sono piu'gli stessi.nonostante tutto il growning up tour con lo splendido live del filaforum .fa' accettare up.e nonostante tutto nonostante peter sia sulla soglia dei 70 anni .dira' ancora la sua ,x il resto la recensione di simone e'lucida .precisa,quando un musicista scrive sa amare altri stili io sono con lui

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