giovedì 19 luglio 2018

Procol Harum - A Salty Dog (1969) Recensione

Il terzo album di questa band dal misterioso nome latineggiante è indubbiamente ricordato principalmente, se non esclusivamente, per la title track. Ma chi non conosce il resto, si perde qualcosa di importante ed irrinunciabile? Si e no. Scendiamo nel dettaglio.
Non penso ci sia qualcosa da dire ancora sulla title track, uno dei brani più famosi in assoluto non solo dei Procol Harum, e che vanta una sequenza di accordi talmente azzeccata da sembrare presa da un qualche brano classico, anche se non è così. Non per niente gli stessi Genesis si appropriarono di quella stessa identica sequenza all'inizio di Supper's Ready... Il brano sale, scende, Gary Brooker emoziona con la sua inimitabile voce, entra l'orchestra: un capolavoro indiscusso che per ovvi motivi finisce per mettere tutto il resto in secondo piano.
The Milk Of Human Kindness ha indubbiamente il ruolo di alleggerire il tutto, e devo dire che ci riesce con il suo essere un saltellante brano pop. C'è chi ha fatto notare che, di nuovo, i Genesis pare abbiano ascoltato attentamente questo brano, oppure è semplicemente tornato loro in mente quando hanno scritto That's All qualche annetto dopo, nel 1983. Too Much Between Us è invece forse la prima dimostrazione di come, in questo album, si tenti di spaziare anche in territori che di solito non si associano ai Procol Harum; ed in questo caso si toccano sonorità più acustiche, con un Brooker più leggero alla voce, davvero un gran bel brano dimenticato.
The Devil Came From Kansas ci riporta i Procol più americaneggianti, più in linea con il loro primo album, e finalmente Robin Trower si prende un importante spazio con il suo lancinante stile quasi Hendrixiano. Boredom invece ci introduce ad un altro elemento che caratterizza questo album, e cioè l'essere un lavoro di gruppo. Sono vari infatti i brani in cui Gary Brooker fa un passo indietro e lascia il microfono all'organista Matthew Fisher e a Robin Trower, e per tanto che la mossa possa essere apprezzabile, può facilmente esser visto come un "difetto" di questo album, che a tratti finisce per suonare poco "Procol Harum". Boredom infatti è comunque un gran bel pezzo, ma la voce di Fisher ci allontana dallo stile classico che di solito si associa a questa band, tenendo anche conto che a caratterizzarlo sono percussioni e flauto, non certo piano e organo. In ogni caso, Brooker fa capolino nei ritornelli. Un'arma a doppio taglio quindi, che ci mostra un gruppo che spazia rischiando di allontanarsi troppo dall'idea che si ha dello stesso. Impressione che comunque continua in Juicy John Pink che, seppur con Brooker di nuovo alla voce, si dimostra essere un breve riempitivo blues ad opera di Trower. Wreck Of The Hesperus invece è forse il secondo miglior brano dell'album, di nuovo con Fisher alla voce. Bellissimi arpeggi di piano, di nuovo l'orchestra a far da padrone in varie sezioni, questo si un brano che avrebbe meritato molto di più.
All This And More calma le acque riportandoci in territori conosciuti: un ottimo brano nello stile più classico della band che non avrebbe sfigurato in album come Grand Hotel, e che ritroveremo nel magnifico live con la Edmonton Symphony Orchestra. E a questo punto, nonostante ci siano ancora due canzoni, possiamo salutare la voce di Gary Brooker. Robin Trower si appropria del microfono nella bellissima Crucifiction Lane, che devo ammettere, seppur non sia certo fan della sua voce, essere un altro brano molto solido e coinvolgente. Ed è poi Fisher a salutarci con la suadente Pilgrim's Progress, il terzo capolavoro dell'album. Ne esiste una versione cantata da Brooker nel live al Beat Club del 1971, che ben ci dimostra come questi brani avrebbero potuto suonare più "alla Procol Harum" se solo li avesse cantati lui. Ma a parte questo, Pilgrim's Progress con le sue sequenze distese e classicheggianti non può che essere una conclusione perfetta, con un finale più ritmato e allegro che pian piano sfuma.
Insomma un album che soffre della grandezza della title track e dell'alternanza di voci soliste, a mio parere. Non perchè i vari Fisher e Trower non sappiano cantare, anzi, ma perchè quando si ha una voce come Brooker nella band, chiunque altro ne uscirebbe sconfitto in un eventuale confronto. Oltre al fatto che al nome Procol Harum si associano sostanzialmente tre suoni: piano, Hammond e la voce di Brooker. E quindi per questo l'album risulta suonare meno "Procol" di, ad esempio Shine On Brightly o Grand Hotel... Non si può però certamente dire che ci siano brani brutti, anzi in questo senso è uno degli album più solidi della loro discografia, e quindi non può non meritarsi almeno un 8 come voto.

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