martedì 30 gennaio 2018

Phil Collins - ...But Seriously (recensione - speciale compleanno)

Ho pensato di spendere qualche parola oggi su uno degli album che preferisco della carriera solista di Phil Collins, in occasione del suo compleanno. Ricordo ancora quando ero nel pieno degli anni '90 e ancora, almeno per quanto mi riguarda, nel periodo dominato dalle musicassette. Passai poi ai CD intorno agli 8 anni, in modo graduale. Prima di allora i miei ascolti erano al 90% i Queen, band che non ringrazierò mai abbastanza per aver formato i miei gusti musicali ed aver impedito la formazione di barriere tra generi nella mia testa; ma non c'erano solo loro. I miei genitori avevano ovviamente varie cassette, e tra una raccolta degli Eagles e una dei Supertramp c'era questo ...But Seriously, comprato ai tempi pensando fosse una raccolta, visto l'alto numero di brani famosi lì contenuti (e l'effettiva mancanza di informazioni rispetto alla sovrabbondanza di oggi, sempre se si è disposti a cercarle, e mi riferisco soprattutto a quelli che ancora dicono "Phil Collins ha rovinato i Genesis gne gne" senza sapere un cazzo delle dinamiche del gruppo e dei crediti nei brani). 
...But Seriously arriva sul finire degli anni '80 e sotto certi aspetti è forse l'ultimo album di enorme successo legato alla figura di Collins solista. I successivi Both Sides, Dance Into The Light e Testify, seppur oscillanti tra l'ottimo e il discreto, hanno si raggiunto grandi numeri, così come i tour seguenti, però è ovvio che il periodo "Re Mida" è in gran parte confinato agli anni '80. Periodo che è culminato con la doppietta No Jacket Required - Invisible Touch, con apparizioni in Miami Vice, enormi tour, la famosa vicenda del Live Aid... Dopo tutto questo frastuono esce ...But Seriously: un album sempre di ottimo pop e con una manciata di tracce che ancora oggi sono tra le più ricordate di Collins, ma a tratti decisamente più raffinato dei lavori immediatamente precedenti. Insomma, vero che mancano i picchi di Face Value e alcune cose di Hello I Must Be Going, ma quello che abbiamo qui è un album di pop maturo e ben fatto, dall'inizio alla fine.
E se l'inizio sembra sbatterci in faccia un'ondata di anni '80, in realtà Hang In Long Enough riesce a portare le caratteristiche di una Sussudio fuori dall'irritabilità. Ritmo contagioso, fiati strabordanti, ma sarà l'uso di una batteria acustica (finalmente) o altro, secondo me funziona decisamente meglio. Le successive That's Just The Way It Is e Do You Remember? ci riportano il Phil delle ballate: e se la seconda è, seppur apprezzabile, tipica del suo stile; la prima, pur restando in territori simili conditi di drum machine, è il primo segno di un pizzico di serietà presente in questo album (riferendosi al conflitto nordirlandese in atto in quegli anni), quasi a volersi un po' distaccare dal gioioso folletto che pochi anni prima rimbalzava tra Londra e Philadelphia in poche ore. Bellissime anche le armonie di David Crosby. Something Happened On The Way To Heaven è un altro classico pezzone "alla Phil" con tanto di fiati e ritornello da stadio, non per niente è ancora in scaletta oggi. Non mi ha mai fatto troppo impazzire, ma in fondo niente male. Con Colours le cose si fanno un pochino più interessanti. Il brano infatti è suddiviso in 2 sezioni sostanzialmente, quasi a formare una mini-suite pop inedita per Phil solista. Il testo è un'altra invettiva in difesa dei più deboli (in questo caso contro la segregazione razziale in Sudafrica), tema che a grandi linee pare essere ricorrente in questo album. Ovviamente all'epoca si è preso non poche critiche sull'apparente ipocrisia della cosa: "una ricca popstar che ci fa la predica sui più deboli", ignorando il fatto che Phil era ed è tutt'ora coinvolto e supporta varie associazioni di beneficenza. Insomma, personalmente mi fido più di lui che di un Bono a caso. Colours è uno dei picchi dell'album senza dubbio, che dimostra un Collins decisamente più maturo come compositore rispetto agli album precedenti. I Wish It Would Rain Down è una delle ballate più "canoniche" arricchita (a seconda dei punti di vista) dalla presenza di Clapton alla chitarra; e tra cori che sfiorano il gospel ed un Phil che si spinge al massimo della sua estensione vocale, ammetto che si tratta comunque, nella sua canonicità, di un gran bel pezzo pop.
All'epoca giravo la cassetta e trovavo Another Day In Paradise. Serve dire qualcosa a riguardo? Altro pezzo in difesa dei più deboli, i senzatetto in questo caso, e probabilmente un valido candidato al titolo di "pezzo pop anni '80 perfetto" a mio parere. Heat On The Street è un altro brano discreto, niente di miracoloso, ma ha la sua funzione tra Another Day In Paradise e la successiva All Of My Life. Altro capolavoro di questo album a mio parere, All Of My Life parte con una languida parte di sax per poi diventare un'altra gran bella ballata (meglio di I Wish It Would Rain Down a mio modesto parere) arricchita oltretutto dall'hammond di Steve Winwood. Bellissima. Saturday Night And Sunday Morning è un breve intermezzo strumentale che sembra messo lì un po' a caso, ma rappresenta chiaramente l'altra grande passione di Collins per il jazz da big band, cosa che esplorerà ampiamente nel decennio successivo.
Father To Son segue, ed è uno dei brani più sinceri e toccanti dell'album. Per una volta Phil non si strugge per qualche divorzio, ma canta quasi una sorta di lettera ad un figlio da parte di un padre: davvero bella nella sua semplicità. Chiude l'album Find A Way To My Heart, a mio parere una hit mancata. Un brano tipico nel suo stile, fiati compresi; una sorta di "nuova" Take Me Home, e forse penalizzata da questa leggera somiglianza strutturale, però a mio parere non meno valida, anzi! Se comprate la nuova versione dell'album, uscita nel 2016, troverete un secondo CD infarcito di demo e versioni live di brani dell'album; ma tra le altre cose ci sono anche That's How I Feel e You've Been In Love (That Little Bit Too Long), interessanti aggiunte in linea con l'album, che all'epoca credo fossero lati B di qualche singolo: Oltre alla sempre toccante versione live di Always.
Insomma, un album che, credeteci o meno, ho imparato ad apprezzare nel tempo. Si, perchè da bambino questa cassetta mica mi piaceva tanto, volevo sempre i Queen! Però da qui sono arrivato ai Genesis, considerandoli come una valida aggiunta e un'ottima occasione per sentire nuove canzoni con Phil Collins alla voce. Solo dopo ho scoperto i primi album, e da lì il progressive. Insomma, ho scoperto il prog grazie a Phil Collins e a ...But Seriously. Per alcuni sarà stato la rovina del prog, per me è stato l'inizio di grandi scoperte. E se a questo aggiungiamo il mio rifiuto verso la chiusura mentale causata dai generi e la presunta superiorità oggettiva di alcuni nei confronti di altri (perchè di gusti si tratta e non vedo perchè uno debba escluderne un altro), si può capire i motivi per cui sono e sarò sempre un fan di Phil Collins.  
Un album che ora riascolto con molto piacere, e che in ambito pop si dimostra come giusto equilibrio tra formule rodate e semplici belle canzoni. Un 8 per me. 
Ah dimenticavo, buon compleanno Phil!!!
P.S. Se non avete ancora letto la sua autobiografia, fatelo. Oltre ad essere una bella lettura scorrevole, potrebbe farvi cambiare punto di vista su di lui, specialmente se ancora lo accusate di "tradimento al prog" o amenità simili. 

1 commento:

  1. Di Phil Collins si potrà dire di tutto, ma bisogna sempre ricordare che è stato un musicista vero sia prima (da batterista e seconda voce dei Genesis) che dopo il 1975.
    Mi fa piacere vedere che non sono il solo fan del prog che apprezza il buon vecchio Phil :-)

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