venerdì 26 gennaio 2018

Peter Hammill - Nadir's Big Chance (recensione)

L'album rivoluzionario, "quello punk", quello che dimostra la lungimiranza di Peter Hammill in anni di imminenti cambiamenti. Insomma un album importante che purtroppo non viene ricordato e/o citato quanto meriterebbe, un po' come ogni cosa su cui abbia messo mano il signor Hammill.
Siamo a fine 1974 (si, l'album uscì nel '75, ma fu registrato a Dicembre 1974), i Van Der Graaf Generator si sciolsero qualche anno prima ed erano ormai prossimi alla riformazione; questa "pausa" ha permesso a Peter di avviare una ottima carriera solista (pur con l'aiuto dei vari membri dei VDGG molto spesso), e gli altri di dedicarsi al progetto The Long Hello. Quando però risulta ovvia la riformazione, Hammill decide di riservare i brani un po' più "complessi" all'imminente nuovo lavoro targato VDGG (che sarà Godbluff), e di riempire questo Nadir's Big Chance di "semplici canzoni". Il tutto, di fatto, suonato dai Van Der Graaf al completo. Canzoni però un po' particolari, frutto di questa sua sorta di "alter ego" che risponde al nome di Rikki Nadir. Una figura non così tanto diversa, culturalmente parlando, dal Rael di Genesiana memoria, soprattutto alla luce del forte contrasto con l'immaginario immediatamente precedente che caratterizzava il cosiddetto "progressive rock", spesso in bilico tra fiaba, citazioni letterarie e semplice immaginazione. Insomma, un personaggio in giacca di pelle che vuole "distruggere il sistema con una canzone", a fine 1974, era piuttosto rivoluzionario. Così come lo era uno dei termini usato dallo stesso Hammill per definire le canzoni, molto varie, di questo album: "the beefy punk songs, the weepy ballads, the soul struts". Punk, questa parolina che pare sia usata qui per la prima volta in ambito musicale, sostanzialmente uno o quasi due anni prima dell'esplosione del suddetto genere. Non che la cosa non fosse già nell'aria, ed infatti personaggi più lungimiranti come lo stesso Hammill, Peter Gabriel e Robert Fripp già stavano "fuggendo" dalle grandiosità del cosiddetto progressive per approdare in territori anche molto diversi. Chi invece si ostinò a proseguire su quella strada beh, dovette presto arrendersi all'evidenza purtroppo. Eh si, erano ancora anni di progresso musicale, che piaccia o meno, cosa che oggi sembra così lontana...
E musicalmente l'album ha effettivamente elementi che caratterizzeranno il punk come genere: la stessa title track, la non troppo diversa Birthday Special, l'esagerata Nobody's Business (giusto un po' di delay sulla voce eh), Two Or Three Spectres, anche la leggermente più complessa Open Your Eyes volendo... Chitarra distorta in primo piano, voce urlata, semplici strutture con pochi accordi, ritmo in 4/4 drittissimo... Insomma è forse l'album in parte più aggressivo di Hammill, con elementi che ritroveremo anche in lavori successivi (penso a Crying Wolf nell'ottimo Over, Pushing Thirty di The Future Now, alcune cose di Sitting Targets...). Però non è tutto, perchè Nadir's Big Chance è anche un album molto vario, forse in grado di essere affiancato a Fool's Mate per questo aspetto. Troviamo anche due magnifici pezzi più lenti: la bellissima Shingle Song e la non meno toccante Been Away So Long, scritta da Chris Judge Smith (primo ma non ultimo suo brano coverizzato da Hammill), entrambe riproposte ancora oggi in concerto. C'è poi la fascinosa Pompeii, la sottovalutata Airport (che adoro), ed infine il ripescaggio di People You Were Going To, vecchio singolo dei primissimi VDGG qui rallentato e riarrangiato.
Si tratta di un concept album? Non saprei sinceramente, in parte direi di si, ma non nel senso comune del termine: non c'è una storia a legare i brani, quanto forse piuttosto l'idea che sia il protagonista Nadir a cantare queste canzoni. In questo senso non so se si può definire concept album, ma ce ne sono di molto meno consistenti, quindi perchè no?
Interessante notare che l'album fu praticamente concepito e registrato quasi in contemporanea con Godbluff, e suonato dalle stesse persone (con Hugh Banton più occupato al basso che alle tastiere). E si che Godbluff ha sicuramente un approccio un po' più "punk" rispetto ad un Pawn Hearts, però insomma, c'è comunque un bel contrasto con Nadir! A dimostrazione sia della versatilità sia di Hammill come autore che di tutti i membri dei VDGG come musicisti. E poi dai diciamocelo, sentire un pezzo punk con un doppio sax di supporto non capita tutti i giorni! Insomma, un album importante storicamente ed allo stesso tempo godibile e pieno di fascino. Merita di essere ascoltato e sicuramente ben più conosciuto di quanto effettivamente lo sia. Ammetto che non si tratta del mio album preferito tra quelli che conosco della sterminata produzione Hammilliana (il trono credo se lo giochino Silent Corner, In Camera e Over, piuttosto banalmente), però credo che se dovessi dargli un voto si meriterebbe un 8,5.

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