giovedì 18 gennaio 2018

John Miles - The Decca Albums (vol. 4) - MMPH More Miles Per Hour (recensione)

Quarto e penultimo "episodio" dedicato a The Decca Years di John Miles. Ultimo album in studio in questo cofanetto, oggi tocca a More Miles Per Hour. Un album "minore" sotto certi aspetti, e sicuramente con meno da offrire rispetto alle vette precedenti, ma non certo un album da buttare! Come anticipato nella scorsa recensione, MMPH segna il ritorno di Alan Parsons alla produzione e Andrew Powell agli arrangiamenti orchestrali; quindi si preannuncia un ritorno verso Rebel sotto questi aspetti, ed effettivamente a tratti lo è.
L'album si apre con Satisfied, e subito si sente l'input di Parsons, specialmente all'inizio. Dopo un'introduzione promettente (ripresa più volte durante il pezzo) il tutto vira su territori fin troppo familiari tinti di rock and roll. Un pezzo piacevole ma che, forse anche tenendo conto dei lavori precedenti, lascia un po' il tempo che trova a mio parere. It's Not Called Angel è anch'essa piuttosto familiare, non lontana da I Have Never Been In Love Before, ma un gradino sotto. Comunque un pezzo molto bello e ben arrangiato, qualcosa che potrebbe stare anche su un album degli Eagles.
 In Bad Blood ritroviamo il Miles di Stranger In The City, un po' in bilico tra rock, funk e disco. Insomma, di nuovo niente di veramente nuovo, però un pezzo che personalmente trovo piacevole. Arrivati a questo punto si inizia a pensare di avere di fronte un album un po' sottotono forse. Insomma, visti i toni entusiastici che ho usato per i lavori precedenti, qui sembra quasi semplicemente "un altro album di John Miles". Ma è proprio a questo punto che arriviamo a Fella In The Cellar. Insomma prendete tutto ciò di più epico, esagerato, ridondante e grandioso che potete trovare in Rebel o alcune cose dell'Alan Parsons Project (penso a Silence And I) e riversatele in un solo brano. Ovviamente i termini usati sopra io li uso in modo totalmente positivo e con un pizzico di ironia immaginando i punti di vista dei "critici". Fatto sta che dopo un inizio piano e voce con giusto un tocco di archi, ecco che entra la batteria e il tutto si fa più frenetico, impetuoso, fino a che la voce lascia spazio all'intera orchestra in uno de momenti più spettacolari della discografia di Miles. Il tutto ripetuto in modo, se possibile, ancora più intenso dopo una ripresa della parte cantata; fino a portarci ad un finale letteralmente impressionante con il crescendo orchestrale trapassato dalla potente voce di Miles. Da standing ovation. Un brano in grado di giustificare un intero album. Chapeau. Can't Keep A Good Man Down ci riporta il Miles più convenzionale e rock, un pezzo quasi sullo stile dei primissimi Whitesnake nella loro fase rock-blues ( qualcosa tipo Fool For Your Loving o Walkin In The Shadow Of The Blues per intenderci). Non male, anche se dopo il pezzo precedente qualunque cosa passerebbe in secondo piano.
Oh Dear è un altro gran bel pezzo melodico con un che di ELO epoca Out Of The Blue che, per quanto mi riguarda, non guasta affatto, anzi! Una piccola perla che fa della sua semplicità un gran punto di forza. C'est La Vie è un bellissimo pezzo di puro pop di una contagiosità che ancora non si era presentata in questo album, uno dei miei preferiti di MMPH. Insomma pare evidente che il secondo lato sia decisamente più consistente del primo (Fella In The Cellar a parte), e non per nulla si conclude con We All Fall Down: altro brano esteso formato da più sezioni, non grandioso quanto Fella In The Cellar, ma sicuramente degno di fargli compagnia. Davvero un brano ben concepito e costruito, con tanti saliscendi, belle parti di chitarra sparse qua e là, insomma ne consiglio l'ascolto.
E come al solito ci sono anche una manciata di tracce bonus di varia provenienza, principalmente singoli. La prima Sweet Lorraine è il classico pezzo rock "alla Miles" che però, non so bene perchè, mi ricorda qualcosa di Roy Wood, o dai Move o dai Wizzard... Mah, mistero. Tra l'altro Sweet Lorraine se non sbaglio risale alle session di Rebel. Si prosegue con Don't Give Me Your Sympathy, brano che già tende l'occhio agli ormai prossimi anni '80 con l'uso spropositato di synth vari. Un brano apprezzabile, qui purtroppo in una qualità non eccelsa essendo preso, immagino, direttamente da vinile (come anche tutto l'album, anche se da fonte sicuramente migliore, "problema" di cui ho parlato già in Zaragon).
If You Don't Need Lovin' è un brano senza infamia e senza lode, apprezzabile ma tutto sommato comprensibile l'esclusione dall'album. Seguono poi 2 pressochè inutili versioni singolo di Can't Keep A Good Man Down e Oh Dear.
Insomma un album forse non al livello dei precedenti, ma che grazie a brani come Fella In The Cellar, Oh Dear, C'est La Vie e We All Fall Down riesce comunque a suscitare interesse e a rimanere una ascolto più che piacevole. Ci sono alti (e che alti) e bassi, quindi come voto secondo me si aggira intorno al 7 - 7,5. Sarebbe davvero bello avere questi album rimasterizzati decentemente.
Alla prossima con l'ultimo "capitolo" della serie dedicato al live alla BBC del 1978, disponibile solo in questo cofanetto!




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