mercoledì 17 ottobre 2018

Led Zeppelin - Presence (1976) Recensione


Settimo album in studio dei Led Zeppelin oltre che uno di quelli su cui le opinioni più si dividono. C'è chi lo definisce un ottimo album, chi un capolavoro, e chi invece lo vede come un lavoro non all'altezza dei precedenti e l'inizio di una fine che continuerà in modo più evidente nel successivo In Through The Out Door. 
L'album fu registrato in condizioni piuttosto complicate, con Robert Plant costretto in sedia a rotelle dopo l'incidente automobilistico in Grecia nell'estate del 1975, che di fatto causò uno stop all'attività live della band che quindi, per non rischiare lo scioglimento (più le pause sono lunghe e più è difficile riprendere), si buttò ben presto in studio al lavoro su nuovi brani. Brani che finiranno per mostrare segni di tristezza, senso di incomprensione, rabbia, risentimento nei testi scritti da un Plant che non era certo felicissimo di essere lì in quel momento, oltretutto lontano dalla moglie Maureen costretta in ospedale in Inghilterra in condizioni più gravi di lui mentre la band, per le solite questioni di tasse, registrava in America.
Nei testi si sente la solitudine, la critica agli amici che non danno importanza a ciò che lui vuole e alla sua situazione, la visione amara della vita in tour in America fatta di droga e groupie... Un altro fattore importante che caratterizzò la lavorazione di Presence fu il poco tempo dedicato alla registrazione: dopo album come Houses Of The Holy e Physical Graffiti caratterizzati da tempi di realizzazione biblici, Presence fu realizzato in poche settimane, anche a causa dell'uso dello studio mobile dei Rolling Stones, i quali l'avrebbero poi avuto bisogno di lì a poco, costringendo Page a turni lunghissimi di lavoro per ultimare il tutto. Se a questo si aggiunge l'assenza, caso unico nella loro discografia, di tastiere e chitarre acustiche, si può ben capire quale può essere il carattere di Presence. Meno grandiosità, meno eclettismo, più urgenza, più rabbia. Anche per questo secondo alcuni, visto anche il periodo, è un po' "l'album punk" dei Led Zeppelin.
Si tratta, a mio parere, però anche di un album che mostra più facce in un certo senso. Perchè se da un lato abbiamo brani effettivamente semplici e diretti come Royal Orleans, Candy Store Rock, Hots On For Nowhere e la un po' più complessa For Your Life, in bilico tra rock blues e tendenze funk, dall'altra abbiamo l'ambiziosa Achilles Last Stand ed il ritorno dirompente nel puro blues di Nobody's Fault But Mine e Tea For One. Ciò che però unisce tutto ciò è forse il più grande risultato della "guitar army" di Page, la sua tecnica di orchestrare le chitarre tramite sovraincisioni: una caratteristica presente da sempre nei Led Zeppelin, ma che qui diventa una costante, anche se spesso un po' meno evidente che in altri casi. Achilles Last Stand ne è forse la dimostrazione più plateale, oltre che uno dei brani meglio riusciti della loro intera carriera: una cavalcata di oltre 10 minuti che, tramite riferimenti letterari e mitologici, finisce per parlare apertamente della triste situazione di esilio in cui la band si trovava ai tempi e della situazione di Plant (tanto che in fase di lavorazione si chiamava The Wheelchair Song).
Le parti di chitarra qui non si contano, Bonham ci regala forse una delle sue migliori performance e Jones è una inarrestabile mitragliatrice al basso. Indubbiamente il brano della maturità dei Led Zeppelin più di ogni altro. Ovvio che il resto finisca per sfigurare al confronto. For Your Life però lo ritengo un brano ingiustamente sottovalutato, e credo che anche la band l'abbia riconosciuto, aggiungendolo a sorpresa in scaletta nella reunion del 2007. Siamo in consueti territori rock blues - funk, ma il suo andamento possente, i continui cambi di tempo e riff, il testo amaro, ne fanno un gran bel pezzo. Nobody's Fault But Mine invece è un altro grande brano in cui gli Zeppelin ritornano alla loro consuetudine di riarrangiare standard blues; approccio che a mio parere raggiunse il massimo del risultato nell'album precedente con In My Time Of Dying, ma che qui prende una strada un po' meno improvvisata, più organizzata, ed in un certo senso più focalizzata. Il ripetitivo riff, gli stacchi "storti" di Bonham, indubbiamente siamo di fronte all'unico altro brano qui in grado di rivaleggiare con Achilles Last Stand in quanto a maturità d'approccio e suono. Il blues ritorna alla fine nella triste ed oscura Tea For One, ovvio riferimento alla solitudine, che altro non è che un voluto ritorno a Since I've Been Loving You. Infatti, dopo un possente riff che tristemente non è stato sviluppato quanto avrebbe meritato, ci aspettano 9 minuti di blues in minore in quella che sembra essere la versione più matura del già citato brano di Led Zeppelin III. Ed è interessante in questo senso la scelta, nel conseguente tour del 1977, di riportare in scaletta una Since I've Been Loving You suonata in un modo non così distante da Tea For One (quindi più pacata rispetto alle versioni dei primi anni '70, più malinconica), con anche citazioni a questo pezzo nei vari assoli di Jimmy Page, invece che suonare proprio Tea For One. Il resto dell'album ammetto che lascia un po' il tempo che trova, e se Candy Store Rock risulta almeno divertente, Royal Orleans e Hots On For Nowhere risultano un po' più sbiadite e un pelo anonime a mio parere. Suonate sempre benissimo per carità, ma non indimenticabili.
E per questo credo che se da un lato l'urgenza e la fretta, come detto, è ciò che dà carattere a Presence, dall'altro sono convinto che una lavorazione più tranquilla e dilatata nel tempo avrebbe forse giovato in termini di qualità generale. Rimane comunque uno degli album preferiti di Jimmy Page, forse proprio a causa della sua spiccata presenza in ogni angolo di ogni pezzo. Il successivo In Through The Out Door (dove saranno Plant e Jones a prendere il sopravvento a livello creativo) mostra una direzione ed un risultato ben diverso, forse più in negativo che in positivo, nonostante torni prepotente la voglia di affrontare più generi diversi, cosa che normalmente adoro.
Quindi Presence è l'ultimo grande album dei Led Zeppelin? Sarei più propenso a usare questa definizione per il precedente Physical Graffiti, ma brano come Achilles Last Stand e Nobody's Fault But Mine non si possono certo ignorare, quindi non saprei... Non un album perfetto ma con vette non indifferenti, un 7,5 come voto.
Menzione a parte per la magnifica copertina, o meglio l'intera veste grafica, con foto d'epoca caratterizzate dalla presenza del cosiddetto "the object": un oggetto nero con piedistallo, ispirato al monolite di 2001: Odissea Nello Spazio, che in realtà non è presente in quelle foto, ma è ritagliato. L'oggetto dovrebbe rappresentare la potenza e la forza dei Led Zeppelin che, nelle parole di Storm Thorgerson, erano così potenti che non necessitavano neanche di essere presenti.


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