sabato 21 ottobre 2017

Small Faces - Ogdens' Nut Gone Flake (recensione)

Terzo album di questa band inglese oltre che l'unico in mio possesso (per ora). Gli Small Faces sono una scoperta recente per me, e per puro caso oltretutto! Si perchè ho sempre pensato che fossero l'ennesimo gruppo pop-rock di fine anni '60 con cose carine ma non imprescindibili. Mi sbagliavo. Perchè se questa definizione si può applicare ai loro precedenti album, qui siamo su ben altri livelli! Non per niente la band si sciolse dopo questo lavoro, quasi a voler dire "ok, oltre non si può andare", e non avrebbero poi tutti i torti. Ogdens' Nut Gone Flake ricade in quel calderone di album in lizza per il titolo di "primo concept album della storia", anche se di concept c'è solo il secondo lato... Ma poco importa perchè tutto l'album è tanto figlio dei suoi tempi quanto incredibilmente godibile e pieno di trovate originali. Già l'apertura con la title track strumentale mette in chiaro che non si è di fronte ad un semplice album pop, grazie all'uso intelligente dell'orchestra su una base spudoratamente psichedelica (parola che userò molto, vi avviso). Il primo lato scorre bene con due picchi in particolare per quanto mi riguarda: la spettacolare Afterglow (Of Our Love) in cui svetta il cantato molto intenso di Steve Marriott, e l'inglesissima Lazy Sunday (con tanto di accento marcatissimo e modi di dire difficilmente comprensibili a chiunque non sia dell'est di Londra). Long Agos and Worlds Apart e Song Of A Baker riprendono un po' il loro tipico suono grezzo tinto di psichedelia che affiora qua e là in tutto l'album, mentre Rene è un po' la sorella di Lazy Sunday. Già a sto punto l'album mette in fila un pezzo più riuscito dell'altro (si perchè anche se non ho molto da dire su alcuni, sempre gran bei pezzi sono), ma ecco che arriva il secondo lato, quello "concept".

La voce di Stanley Unwin introduce la storia tra il fantasy e il surreale di Happiness Stan: "Are you all sitting comfy-bold two-square on your botty? Then I'll begin". Geniale. La storia racconta del viaggio di Stan alla ricerca della metà mancante della luna, a causa del fatto che vide solo metà luna una notte. In viaggio incontra una mosca che stava morendo di fame e la salva, in cambio la mosca dice a Stan di conoscere qualcuno in grado di aiutarlo e anche di dirgli il senso della vita! Così Stan, con una formula magica, fa ingrandire la mosca così da farsi trasportare in un viaggio alla caverna di Mad John, il quale rivela a Stan che la parte mancante della luna è solo un fatto temporaneo, indicando in cielo verso la luna piena. Stan aveva speso così tanto tempo nel suo viaggio che ora la luna era di nuovo piena! Dopodiché Mad John canta una gioiosa canzone sul senso della vita che chiude l'album.

Se c'è una cosa che adoro di certe cose psichedeliche inglesi di fine anni '60 è quella sorta di infantilismo innocente, presente anche in molte cose di Syd Barrett. Parlando della musica invece, questa seconda metà di album si apre con Happiness Stan, un bellissimo pezzo che introduce il tutto con tanto di clavicembalo per poi virare su sonorità più spinte e voce con il leslie: uno spettacolo. Tutti i pezzi sono intervallati da parti narrate dal già citato Unwin, anch'esse in uno stupendo slang che rende il tutto ancora più surreale. Tra il rock spinto di Rolling Over, le sonorità acustiche di The Hungry Intruder, la psichedelia che riaffiora in The Journey e il magnifico folk di Mad John si arriva alla gioiosa HappyDaysToyTown, perfetta chiusura di un magnifico album.

Album che consiglio a chiunque, come me, ami questo periodo storico musicalmente parlando. Un periodo in cui l'inventiva era su livelli mai più raggiunti, la musica prodotta riusciva ad essere sperimentale ma non ostica, godibile ma mai banale. Un equilibrio che non è mai più stato raggiunto. Oltre all'importanza dell'arte visiva, che in questo caso si concretizzava con un vinile in una confezione rotonda basata su una confezione di tabacco!
Un album che meriterebbe un 10 tondo per quanto mi riguarda, ma siccome oggettivamente ci sono album ancora più riusciti, mi toccherà stare sul 9, anche se abbondante!

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