martedì 24 ottobre 2017

Beggar's Opera - Act One (recensione)

Tempo fa fui ben felice di trovare i primi 2 album dei Beggar's Opera in un'unica confezione: quello di cui parlerò oggi, Act One, ed il successivo Time Machine. Due album molto diversi che non potrei mai raggruppare in un'unica recensione. Quindi magari prossimamente passerò al secondo, ma per ora soffermiamoci su Act One, che è oltretutto il loro album più "celebrato".
Dunque che dire, la cosa che subito colpisce della prima Poet And Peasant è un suono molto in linea con ovvi nomi “quasi contemporanei” (il quasi lo spiego dopo) come i Nice e i primissimi Deep Purple (la mark 1 dei primi 3 album); quindi aspettiamoci sostanzialmente quintalate di organo Hammond (a cura di Alan Park) e citazioni classiche a go-go. Ma siccome io adoro letteralmente queste cose, non posso che esserne felice! Poet And Peasant scorre bene con cambi di tempo, assoli davvero molto sullo stile dei Deep Purple grazie anche alla presenza anche di Ricky Gardiner alla chitarra (che collaborò anche con Bowie in Low). Da notare anche la notevole voce di Martin Griffiths. Anche il secondo Passacaglia procede sugli stessi binari, tra atmosfere classiche e assoli spesso più di circostanza che altro, ma indubbiamente ben suonati e raramente noiosi. Memory sembra essere la traccia più “normale” nei suoi 4 minuti scarsi di durata e l’assenza di citazioni classiche. Insomma un brano più “straight forward rock” che alleggerisce i toni prima dell’infinita cavalcata del secondo lato dell’album. Secondo lato occupato per metà da Raymond’s Road, che sta ai Beggar’s Opera come Rondo sta ai Nice e successivamente agli ELP: sostanzialmente è un calderone in gran parte improvvisato pieno di citazioni classiche a raffica (che da Rondo prende anche palesemente il ritmo). A sto punto o si adorano queste cose e ci si ritrova a sbavare letteralmente, o si aspetta impazienti la sua fine, a seconda dei nostri gusti; io tendo più al primo caso. La successiva Light Cavalry pare partire su binari simili alla precedente, con tanto di citazioni al can-can e altre cose belle, ma poi prende vie diverse con l’entrata della voce e numerosi cambi: a mio parere uno dei punti più alti del’album.

Un album che soffre un po’ del fatto di essere arrivato secondo me un po’ in ritardo, essendo stato pubblicato nel 1970. Insomma quando i già citati Nice e Deep Purple avevano già esplorato territori affini 2 o 3 anni prima (ecco spiegato il "quasi contemporanei" di inizio recensione), e si erano quindi già allontanati da lì, o addirittura sciolti. Ma chi ama quel tipo di sonorità grezze, le citazioni classiche, le improvvisazioni e l’organo Hammond (e magari è già fan delle band sopra citate) non potrà non amare quest’album. Un 7,5 per me.


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