giovedì 14 dicembre 2017

Etichette discografiche: il mio punto di vista.

Io sono un musicista, o almeno provo ad esserlo. Compongo, fin troppo rispetto alla media, suono tutto o gran parte di ciò di cui ho bisogno per realizzare canzoni e album, scrivo testi, non sono un grande cantante ma grazie alla collaborazione con la mia ragazza quell'aspetto è coperto più che egregiamente, e me ne intendo un po' di produzione e mastering. Perchè questa premessa? Semplicemente per esporre la mia situazione e correlarla alla situazione della musica nel 2017, alla luce di tante cose che leggo in giro. Ovviamente io mi auto-produco, pubblico e distribuisco la musica in modo indipendente, e non sono certo l'unico. Si, perchè, contrariamente a quanto molti ancora credono, è molto facile distribuire la propria musica online al giorno d'oggi, tutti lo possono fare! E con un investimento neanche esagerato potete anche stampare i CD, tra l'altro... Il che è sia un'ottima cosa che un problema. Perchè se da un lato ciò permette libertà di espressione, ed essendo la musica un'arte ha perfettamente senso, dall'altra crea un ambiente sovraffollato. Annullando quindi una qualsivoglia selezione prima di arrivare alla pubblicazione. Ed è qui che molti, soprattutto chi ha un'etichetta, si lamentano. Perchè sostanzialmente si crea "concorrenza sleale", qualcosa come i guidatori Uber per i tassisti insomma. Peccato che non ci sia scritto da nessuna parte che uno debba far parte di un'etichetta per avere il diritto di pubblicare le proprie creazioni. Specialmente quando, come nel mio caso, si vede la propria musica come espressione e soddisfazione personale, e non necessariamente come un prodotto commerciale che paga la pagnotta. E questo anche in luce del fatto che oggi vivere delle proprie creazioni è praticamente impossibile, etichetta o no. Nonostante questo però è sbagliato vedere le pubblicazioni totalmente indipendenti come qualcosa di inferiore, solo perchè dal punto di vista dei professionisti "basta avere un programmino da 2 soldi e ti sei fatto l'album". Se è così semplice allora perchè non lo fanno anche loro? O forse lo fanno e non lo ammettono... In un album prodotto professionalmente ci sono musicisti, arrangiatori, produttori, un addetto al mastering e probabilmente anche altri, mentre in un caso affine al mio tutto ciò è fatto, molto spesso, da una singola persona. E voi direte "è per quello che è per forza inferiore, non puoi confrontarti con dei professionisti specializzati", e probabilmente avreste anche ragione in molti casi. Sempre se il vostro obiettivo è sminuire il lavoro altrui piuttosto di far lo sforzo di capire ed apprezzare la mole di impegno necessaria. Ma sapete perchè io non vorrò mai stare sotto un'etichetta? Vi faccio un elenchino veloce:
1 - Totale libertà: io in un anno ho pubblicato un album solista, 2 album con la mia ragazza alla voce e un EP natalizio. Per un'etichetta qualunque sarebbe stato suicidio commerciale e me l'avrebbe impedito sventolandomi il contratto in faccia. Ma se io compongo tanto, perchè devo limitarmi? Perchè uccidere l'arte per logiche di mercato? Specialmente quando il suddetto mercato è morente? E oltre a questo, se io voglio fare un album progressive lo faccio, se dopo voglio fare un album pop lo faccio, se voglio fare un album con un genere diverso per ogni pezzo che lo compone lo faccio (e l'ho fatto): un'etichetta trovandosi lavori dall'approccio simile per le mani cosa farebbe? Ma poi quale etichetta? Visto che ormai anche loro si specializzano nei singoli generi, specialmente quelle più piccole che paradossalmente potrebbero essere più libere...
2 - La qualità: ebbene si, ho avuto il (dis)piacere di ascoltare alcuni album di band emergenti registrati in studio, con un produttore, un direttore artistico, musicisti professionisti a dare una mano negli arrangiamenti, che suonava piatto, senza dinamiche, freddo, con evidenti errori di produzione e mastering e arrangiamenti dilettanteschi (cose tipo "ok ho 3 pezzi e voglio farne una suite, studio dei collegamenti? Naaaahh: finisce uno, silenzio, e poi parte l'altro", ma mi rendo conto che quest'ultimo punto sia soggetto a gusti). In sostanza suonava peggio del mio home recording da poveraccio. Ovvio, si tratta di casi singoli e non della maggioranza, ma in sostanza io firmo un contratto, vado in studio, seguo direttive di professionisti, divido il ricavato, magari spendo anche di tasca mia, e non ho la certezza di un prodotto finale di qualità? Ognuno tragga le sue conclusioni.
3 - Stigmatizzare l'home recording. Si sa che non è visto benissimo da molta gente nel settore. Una volta per presentarti all'etichetta di turno facevi il demo, e già negli anni '70 gente come Pete Townshend con dei demo casalinghi ci ha fatto praticamente un album (Who Came First), e più di quarant'anni dopo con la tecnologia che c'è, ha senso fare un demo che poi muore lì? Oppure con un po' di impegno in più si potrebbe praticamente creare un prodotto finito? E se io creo un prodotto considerabile finito, perchè devo ri-registrarlo? Perchè devo sottoporlo ad altri? A che pro? Forse perchè, specialmente in Italia, si vive ancora mentalmente negli anni '70 con demo su registratori a nastro a 2 tracce ed iscrizione alla SIAE...
In sostanza, invece di lamentarsi della concorrenza, di chi fa gli album in casa con programmini da due soldi,  o di fidarsi ciecamente nei confronti di un artista e\o di un album con "la spintarella" di gente affermata nel settore, dovremmo forse imparare a giudicare il valore di qualcosa indipendentemente da ciò che ci sta dietro; perchè se così fosse, tutta la concorrenza andrebbe a farsi benedire, lasciando al pubblico (supponendo che sia in grado di ragionare con la propria testa) l'ultima parola. Oltre a riconoscere che la musica è espressione e non scienza esatta, quindi dar più valore ai gusti personali, ma qui nascerebbe un discorso potenzialmente infinito quindi lascio perdere per ora.

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