venerdì 30 novembre 2018

Emerson, Lake & Palmer - Works Volume 1 (1977) Recensione

Dopo un primo scioglimento nel 1974, e dopo un capolavoro come Brain Salad Surgery, gli ELP decidono di riformarsi e di pubblicare un lavoro piuttosto controverso. Innanzitutto è importante ricordare che i tempi nel frattempo erano cambiati non poco, e se all'epoca della pubblicazione di "Brain..." certe opere grandiose e strabordanti spopolavano, nel 1977 il punk ormai si era stabilito. Solo le band e gli artisti veramente abili e versatili (Pink Floyd, Queen...) furono in grado non solo di sopravvivere, ma anche di raggiungere vette di successo ancora più elevate. Chi invece si ostinava a seguire una strada che ormai era già stata percorsa più volte, quindi producendo musica piuttosto complessa, usando orchestre, facendo concept album e compagnia bella, era destinato a veder scemare l'interesse nei suoi\loro confronti. C'è da dire anche che quando una corrente ha "detto" molto se non tutto quello che aveva da dire, ciò che segue non fa che risultare piuttosto sbiadito al confronto, ed il prog degli ultimi 20 anni ne è un perfetto esempio, a meno che non si voglia il "more of the same" cercando disperatamente di spacciarlo come nuovo aggiungendoci paroline magiche come "neo" e "post". E già allora si iniziava a notare questa tendenza, perchè se anche qui gli ELP cercano un modo per "andare avanti" abbandonando in un certo senso alcuni aspetti del loro suono classico, il tutto è ancora legato alla grandiosità e pomposità tipica del progressive. Se a questo aggiungiamo un tentativo azzardato per natura di suddividere l'album in tre parti soliste ed una soltanto "da band", per di più all'interno di un album doppio, si può immaginare quali possano essere stati i risultati. Ovviamente con "risultati" non intendo vendite e posizioni in classifica, perchè allora la reunion di giganti come gli ELP non poteva non attirare l'attenzione, a prescindere dalla qualità del prodotto. Quello che intendo è più strettamente legato alla natura dell'intero lavoro, che si rivela essere un "pastrocchio" che non solo sembra non avere la minima direzione (e questo da amante della varietà lo apprezzerei anche), ma che la sua suddivisione in parti separate finisce per causare un ascolto sconnesso e molto poco scorrevole. Insomma, la "lezione" di Ummagumma non la si è voluta imparare. A mio parere il discorso sarebbe stato un po' diverso se i brani solisti fossero stati alternati, anche se forse ciò avrebbe causato confusione, ma di questo parlerò alla fine.

E di certo non può non causare una certa confusione ad un orecchio ignaro, che magari arriva proprio da Brain Salad Surgery, l'ascolto del primo lato. Perchè se da una parte è fuori discussione il valore del Piano Concerto no. 1 di Keith Emerson, dall'altro viene a mancare ciò che le influenze classiche le fece funzionare all'interno del suono Nice\ELP: l'incontro-scontro con il rock e la psichedelia. Questi ultimi infatti sono elementi ovviamente assenti in un brano per piano e orchestra, "colto" per natura, che seppur valido finisce per essere un ascolto forse fin troppo distante sia da ciò che normalmente si associa agli ELP, sia anche solo dal resto di Works Volume 1. Indubbiamente il concitato terzo movimento è forse la parte più forte e memorabile, ma ci sono momenti molto belli anche altrove.
Il secondo lato è invece appannaggio di Greg Lake, che senza troppe sorprese lo riempie di piacevoli canzoni piuttosto melodiche e spesso di natura acustica. Anche qui, questa "vena" era ben presente anche negli album precedenti, ma un assolo di Moog qui, un altro assolo di Moog là, magari il tutto piazzato in un punto strategico della tracklist per alleggerire l'ascolto, lo faceva funzionare. Venti minuti di "semplici" canzoni di Lake finiscono per portare presto al desiderio di sentire anche altre cose. E questo lo dico pur facendo ovviamente notare che gran parte dei brani presi singolarmente sono piccoli gioiellini, con vette magnifiche come C'est La Vie e Closer To Believing e pezzi quantomeno interessanti come Hallowed Be Thy Name.
Si cambia disco ed ecco Carl Palmer nella sezione forse più eclettica del disco. Musica classica, sezione fiati, arrangiamenti da big band, bei contributi di Joe Walsh alla chitarra: insomma di carne sul fuoco ce n'è parecchia, ed il tutto si mantiene piuttosto lontano dall'idea che si ha degli ELP, ben più delle parti di Emerson e Lake. Questo terzo lato scorre piuttosto bene, nonostante l'inutile, a mio parere, riarrangiamento di Tank. The Enemy Dances With The Black Spirits, un riarrangiamento di un brano di Prokofiev, è probabilmente la mia preferita qui, e forse sarebbe stata degna di un vero e proprio arrangiamento da ELP, ma tant'è...
Ecco forse è questo ciò che più mi lascia perplesso: il fatto che alcuni brani avrebbero potuto essere resi dei normali pezzi "alla ELP" con altri arrangiamenti, e un taglio qui e una levigata là ci avrebbe potuto portare un quasi ottimo album singolo di gruppo.
A testimonianza del valore di questa possibilità ci sono due cose, e la prima delle due è il quarto ed ultimo lato di questo album. Qui gli ELP si riuniscono sul serio e sfornano due grandiosi brani: Pirates e Fanfare For The Common Man. Pur non essendo un grandissimo fan della quasi eccessiva complessità e dell'immaginario di Pirates (che rimane comunque un ottimo brano), è impossibile ignorare Fanfare For The Common Man, uno dei brani di punta della loro intera carriera. Interessanti entrambi anche per poter ascoltare un importante cambio di "suono" da parte di Emerson, che abbandona quasi del tutto i vecchi cari Hammond e Moog per buttarsi sul nuovissimo Yamaha GX-1.  L'impressione è quella di essere di fronte a 4 EP totalmente sconnessi fra loro, e forse con questa visione potrebbe cambiare il giudizio, o forse no.
A dare un'ulteriore idea di ciò che avrebbe potuto essere questo Works Volume 1 ci pensa il Volume 2, uscito l'anno dopo. Nonostante la sua natura di "raccolta di scarti", il fatto che i brani, non distanti per natura da quelli del primo volume, vengano qui distribuiti in modo più uniforme e non separati, rende l'ascolto decisamente più piacevole e scorrevole. Proprio per questo torno molto più volentieri sul secondo volume che sul primo, nonostante sul primo ci siano isolati brani di maggiore qualità.
Giusto per divertimento, vorrei esporre un'ipotesi di scaletta alternativa per una versione di Works Volume 1 ridotta ad album singolo:

1 - Fanfare For The Common Man
2 - C'est La Vie
3 - The Enemy God Dances With The Black Spirits (con un arrangiamento di gruppo magari, come poi effettivamente fecero in tour)
4 - Piano Concerto no. 1 (magari accorciato sui 10/12 minuti di lunghezza e con qualche contributo da Lake e Palmer)
5 - Pirates
6 - Closer To Believing

A mio parere un album di questo genere non sarebbe magari stato un capolavoro al livello dei precedenti, ma avrebbe guadagnato tutt'altra fama. Perchè diciamocelo, nel momento in cui qualcuno vuole fare esempi sugli eccessi delle grandi band negli anni '70, Works Vol. 1 sta lassù con Tales From Topographic Oceans degli Yes e A Passion Play dei Jethro Tull. Da molti visti come mattoni dall'insostenibile peso, sia per il contenuto o per il formato.
Rimane un album imprescindibile per i fan, in quanto contiene comunque dell'ottima musica, e gli ELP faranno di molto peggio nel 1994 con l'anonimo In The Hot Seat (mentre di Love Beach salvo qualcosa). Come voto però penso si assesti sul 6,5.


1 commento:

  1. Un disco sicuramente eterogeneo, concordo sul fatto che passare da un lato all altro un po di sconcerto lo crea, un po come passare dal fre jazz di ornette coleman al barocco di Joan sebastian Bach giusto per fare un esempio! Pero la qualità della musica per me rimane elevata! Un gran bel doppio album magari da ascoltare a puntate! Per me è ok darei almeno 4 stelle su 5!

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