sabato 1 settembre 2018

Brian Wilson - Brian Wilson (1988) Recensione

Un album interessante, in parte dimenticato, ma che sa offrire diversi punti interessanti. Innanzitutto c'è da tener conto della situazione di Brian Wilson all'epoca della registrazione dell'album, che da ora in poi per comodità chiamerò BW88. Brian in quegli anni era sostanzialmente sotto il totale controllo del dottor Eugene Landy, che se da un lato ha saputo indubbiamente salvargli la vita, dall'altra ha gradualmente guadagnato sempre più spazio nella sua vita. Ogni beneficio alla salute di Brian fu quindi controbilanciato da una sempre maggiore somministrazione di farmaci per "tenerlo sotto controllo" e dall'imposizione, da parte di Landy, del suo ruolo non solo di dottore ma anche di collaboratore musicale, manager, e chi più ne ha più ne metta. E se a questo si aggiunge il suo già presente ed ingombrante controllo 24 ore su 24 della vita di Brian, si può ben capire la triste situazione di quegli anni. Non per nulla BW88 nella sua versione originale conteneva più volte il nome di Landy e di sua moglie Alaxandra Morgan nei crediti di composizione, poi prontamente eliminati nelle edizioni successive. Si sa infatti che, nonostante la presenza di altri collaboratori a dare una mano a Brian, come Andy Paley e Russ Titelman, spesso Landy imponeva sue decisioni facendo leva sulla fragilità di Brian, ricorrendo anche a ricatti. Purtroppo non ci è dato sapere esattamente a quanto ammonti il contributo di Landy nell'album finito, ma è importante comunque citare questo particolare per contestualizzare il tutto.
Musicalmente si tratta, a mio parere, di uno degli album più solidi a nome di Brian Wilson. Certamente ci sono brani più innocui ed anonimi di altri, ma volendo forse trovare un difetto più evidente credo si possa parlare della produzione. Sì, perchè ricordiamoci che siamo nel 1988, quindi comprensibilmente ci si trova davanti la fiera dei synth digitali e delle drum machine. Io personalmente non ho problemi con queste sonorità, ma purtroppo qui il tutto suona piuttosto piatto e freddo, più del normale. Basterebbe confrontarlo con album più o meno contemporanei come The Seventh One dei Toto o il di poco più vecchio Invisible Touch dei Genesis per sentire una enorme differenza in termini di colore, dinamica, profondità, calore.
Per fortuna però ci sono delle ottime canzoni a farci, in parte, sorvolare sulla resa sonora. Love And Mercy è un classico, si potrebbe quasi definire la Imagine di Brian Wilson, con tutte le differenze stilistiche e tematiche del caso ben evidenti. Discorso simile per Melt Away, altro brano veramente piacevole che non ha nulla da invidiare a Love And Mercy. Nel mezzo ci sono brani come Walkin' The Line, Baby Let Your Hair Grow Long (riferimento a Caroline No? "Where did your long hair go?") e Little Children che sembrano rimandare, sia stilisticamente che come scelte sonore, a Love You del 1977 (album sottovalutatissimo che, per certi aspetti, anticipò la New Wave). Degna di nota One For The Boys, un breve brano a cappella che è una sorta di evidente tributo ai compagni della sua vecchia band (oltre che parenti in gran parte ovviamente); ed è interessante notare che qui, come in tutti gli altri brani dell'album, tutte le voci sono di Brian Wilson. Quindi, laddove in altri lavori da solista e negli album dei Beach Boys sono varie le voci che si intrecciano nelle tipiche armonie ad opera di Wilson, fa un po' strano ascoltare molteplici parti cantate dalla stessa voce incisa più volte. Qui è lontano il fascino di Our Prayer, ma lo stile è riconoscibilissimo. There's So Many è un altro gran bel brano più complesso di quanto possa sembrare, degno di affiancarsi a certe composizioni ben più celebrate di una ventina di anni prima. Anche qui, la produzione e la scelta dei suoni penalizzano la resa facendola impallidire al confronto con le prestazioni della Wrecking Crew, ma un ascolto un po' più attento rivela comunque scelte armoniche molto interessanti ed audaci. Night Time è forse l'unico brano che non mi piace in questo album, rivelandosi al massimo leggero e piacevole, ma sfiorando pericolosamente l'irritante nei piatti ritornelli. Per fortuna c'è Let It Shine a risollevare ampiamente il tutto. Brano ad opera dell'infallibile Jeff Lynne (che si occupa anche della produzione in questo singolo brano, che non per nulla svetta sul resto e non di poco sotto questo aspetto), ha non pochi punti in comune con altre sue opere coetanee come la You Got It ceduta a Roy Orbison (con cui condivide il doppio colpo di timpani che affiora qua e là).
Questo per fortuna non è abbastanza per farla sembrare una copia di altri brani, e finisce per risultare un piccolo gioiellino pop, oltre che una delle migliori performance vocali di Brian nell'album. L'allegra e vivace Meet Me In My Dreams Tonight, perfettamente in bilico tra stile puramente "beachboysiano" e un pizzico di Spector, lascia spazio alla conclusiva Rio Grande, indubbiamente il brano più ambizioso dell'album. Qui infatti Brian sembra voler richiamare (o inseguire) il "fantasma" di Smile creando un brano di 8 minuti composto rispolverando il metodo di composizione modulare. In altri ambiti si parlerebbe di suite, ed in sostanza altro non è che un'alternanza di vari movimenti uniti fra loro. Interessante notare come i richiami a Smile siano molteplici: dall'uso del banjo, l'alternanza di atmosfere solari ed oscure, il tema dell'America e degli Indiani... I singoli movimenti hanno varia provenienza, andando dal periodo di lavorazione dell'album, alla fine degli anni '70 (la penultima Night Bloomin' Jasmin) fino addirittura a parti che citano direttamente Smile, come il coro senza parole nella terza sezione. Un brano che può causare pareri contrastanti: tra chi ne adora la complessità ed è felice di sentire Brian ritornare a composizioni un po' più complesse, e chi invece pensa che il risultato sia fin troppo "costruito" e posticcio, fatto apposta per "suonare come Smile", che, ricordiamoci, nel 1988 era ancora una misteriosa leggenda. Personalmente lo apprezzo non poco, e ritengo che soffra solo un po' nei cambi tra sezioni, che risultano un po' forzati a volte.
Consiglio vivamente la versione in CD rimasterizzato nel 2000, che tra brevi interviste e Brian e vari demo molto interessanti quando non superiori al prodotto finito, ci offre 4 brani non reperibili diversamente (He Couldn't Get This Poor Old Body To Move, Being With The One You Love, Let's Go To Heaven In My Car e Too Much Sugar), tutti piacevoli e che non avrebbero affatto sfigurato nell'album.
Non si tratta di un album perfetto, ma non si può negare che, tenendo conto della difficile situazione illustrata ad inizio articolo, il risultato è a dir poco ottimo. La produzione, come detto, influisce parecchio sull'idea che si ha di BW88, che non potrà mai essere affiancato ai suoi lavori anni '60 a causa dei suoni che lo caratterizzano. Perchè diciamocelo, i "suoni anni '80" saranno sempre confinati a quel decennio, non saranno mai "senza tempo"; cosa che invece è vera per strumenti come chitarre, batterie, pianoforti, organi, archi, fiati e via dicendo. Quindi, se non ci disturba la patina anni '80 o siamo in grado di guardare oltre non facendoci totalmente influenzare, possiamo goderci un ottimo album che, a mio parere, merita un 8.

Nessun commento:

Posta un commento