venerdì 14 settembre 2018

Love - Forever Changes (1967) Recensione

Un album di recente scoperta per quanto mi riguarda. Terzo lavoro degli americani Love oltre che il loro migliore a mio modesto parere, si discosta molto dai loro lavori precedenti. I Love erano infatti conosciuti come band psichedelica, a tratti proto-punk, quindi l'uscita di un album sostanzialmente acustico poteva essere fonte di discussioni. Discussioni che infatti ci furono, anche all'interno della band. Come se non bastassero le tensioni fra i due principali compositori Arthur Lee e Bryan MacLean che erano in costante competizione, a ciò si aggiunse il rifiuto da parte di Lee di fare tour in supporto alla loro musica. Quando il produttore Bruce Botnick (che ebbe un ruolo importantissimo nella realizzazione di Forever Changes) consigliò a Lee di adottare un approccio più folk in questo nuovo lavoro, fu tirato fuori il nome di Neil Young come co-produttore, ma la cosa non durò, e del contributo di Young pare non esserci traccia. I brani mantennero la venatura folk, ma si rivelarono essere piuttosto complessi sia a livello strutturale (pochi o nessun brano ha una classica struttura da brano folk, ed anzi molti di essi sono caratterizzati da sezioni uniche che non vengono ripetute), sia a livello tecnico. Ciò causò difficoltà agli altri membri della band, che nelle prime sessions furono sostituiti da turnisti di lusso su consiglio di Botnick. Membri della rinomata Wrecking Crew infatti vennero chiamati e furono usati nei brani The Daily Planet e Andmoreagain. Ciò fece "risvegliare" gli altri membri della band che, avendo ora una concreta paura di perdere il loro ruolo, si impegnarono a suonare il resto dell'album in un modo che non ha nulla da invidiare ai turnisti sopra citati. Si dice che il piano di Botnick di chiamare quei turnisti fosse effettivamente studiato apposta per convincere i membri della band a partecipare.
L'album, come detto, è in gran parte acustico, in totale contrasto con le tendenze di quel magico e colorato 1967 (una tendenza non dico analoga ma perlomeno simile non si avrà prima di un anno dopo, ad esempio nel White Album dei Beatles). Lee infatti non vedeva di buon occhio tutta la questione del flower power, e si teneva ben al di fuori da quel mondo. Ciò spiegherebbe il netto contrasto stilistico tra Forever Changes e molti lavori dello stesso periodo. Allo stesso tempo però non manca la genialità tipica del periodo. Infatti la presenza di archi e fiati ad "aumentare" il suono è a dir poco sublime: si passa da "semplici" tappeti d'archi ad assoli di tromba che sembrano arrivare direttamente dal Messico. Ed il tutto senza mai avere un singolo elemento fuori posto o risultare banale, creando così un diamante pop di rara bellezza. A prova del punto di vista di Lee sul mondo che lo circondava, e della distanza che percepiva basta leggere il testo di The Red Telephone: "Sitting on a hillside, watching all the people die, I'll feel much better on the other side, I'll thumb a ride". Insomma Lee guarda il tutto da lontano, da sopra una collina, probabilmente quella di Hollywood, sulla quale amava "rinchiudersi" in una sorta di isolamento. C'è chi ha fatto un parallelo con Brian Wilson, il quale era così lontano dal surf quanto Arthur Lee lo era dalla scena musicale di Los Angeles. Scena a cui fa riferimento anche nel brano Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale, dove "tra Clark e Hilldale" indica il luogo di LA dove è sito il Whisky a Go Go, in Sunset Boulevard: "Crowds of people standing everywhere, 'cross the street I'm at this laugh affair, and here they always play my songs...". Lee però non guarda solo alla scena musicale di Los Angeles, come possiamo ad esempio intuire leggendo un passaggio da A House Is Not A Motel: "By the time that I'm through singing, the bells from the schools and walls will be ringing, more confusions, blood transfusions, the news today will be the movies for tomorrow, and the water's turned to blood...". Quindi non mancano riferimenti alla guerra, senza però specificare quale (anche se può esser facile pensare a quella in Vietnam, in atto in quegli anni), e ciò potrebbe spiegare perchè, secondo molti, Forever Changes rappresenti un perfetto quadro di quegli anni. Tornando poi al passaggio da The Red Telephone riportato sopra, si nota però un altro non troppo velato riferimento alla morte. Lee infatti disse: "all'epoca di Forever Changes pensavo che sarei morto in quel momento, quindi quelle (nell'album) erano le mie ultime parole." Una sensazione, quella di Lee, che ovviamente non si avverò, ma che impose all'album un tono particolare. Andando infatti avanti fino all'ultima e risolutiva traccia, You Set The Scene, troviamo passaggi come "This is the time and life that I am living, and I'll face each day with a smile, for the time that I've been given's such a little while..." oppure "This is the only thing that I am sure of, and that's all that lives is gonna die, and there'll always be some people here to wonder why, and for every happy hello, there will be goodbye". Insomma, frasi piuttosto profonde quanto semplici e, a tratti, elementari, che rappresentano perfettamente lo "scontro" tra profondità ed innocenza tipica della musica di fine anni '60.
Bryan MacLean ha però descritto lo stile dei testi di Lee come una sorta di flusso di coscienza, ed il che spiegherebbe parti come "Oh, the snot has caked against my pants, it has turned into crystal" immediatamente seguita da "There's a bluebird sitting on a branch, I guess I'll take my pistol, I've got it in my hand, because he's on my land" in Live And Let Live: osservazioni così basilari ed apparentemente irrilevanti oltre che sconnesse che, per qualche motivo, si sono trasformate nelle parole di apertura di un brano. Certamente non tutti i suoi testi sono così "liberi", ma è doveroso citare anche questo aspetto.
Musicalmente i brani si susseguono creando un tutt'uno molto compatto ma al contempo variegato. I due brani di Bryan MacLean, Alone Again Or e Old Man, sono due punte di diamante che dimostrano quanto Lee fosse sì il leader indiscusso dei Love, ma non certo l'unico compositore in questo album. Per il resto, non c'è un singolo brano debole o ridondante, ed i già citati arrangiamenti danno un originale e calzante vestito a brani comunque in grado di stare in piedi anche con una semplice chitarra acustica. Ci sono però interventi che reputo geniali, come ad esempio l'assolo di tromba in Alone Again Or e il magnifico finale di You Set The Scene, con un sublime botta e risposta fra archi e fiati. E come dimenticare la pura melodia di Andmoreagain, gli inaspettati cambi di Live And Let Live, ci si potrebbe scriver su libri interi.
Concludendo, si tratta di un album di cui ho sentito più volte parlare prima di dedicarmici a dovere, maledicendomi per non averlo fatto prima. Indubbiamente la sua apparente semplicità lo fa un po' sfigurare se confrontato con altri album contemporanei, come Sgt. Pepper's o The Who Sell Out, dove i colori sono a tratti quasi accecanti e caleidoscopici. Si tratta di un album più a "tinta unita" per intenderci, e forse sta proprio lì il suo fascino. Ovviamente, forse proprio per queste caratteristiche, all'epoca non vendette molto, ma venne comunque apprezzato dai critici e tutt'ora è un album con un seguito di culto. L'inutilissima classifica di Rolling Stone dei 500 migliori album, ad esempio, lo piazza al quarantesimo posto, che non è malaccio. Un voto? Dire un 9 abbondante.

2 commenti:

  1. Scoprii i Love per caso, attirato dalla copertina in un negozio a metà degli anni 80.
    E me ne innamorai
    E mi sono sempre chiesto perché qui in italia siano sconosciuti.

    Ciao

    Eugenio

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    1. Ciao Eugenio, grazie per aver letto la recensione!
      Sulla loro poca fama in Italia, per quanto mi riguarda, per quanto ho potuto osservare, ho come l'impressione che da noi la psichedelia di stampo pop non abbia mai attecchito più di tanto, probabilmente per fattori culturali, gli stessi che invece hanno permesso al progressive di proliferare ad esempio (basti pensare come in UK e USA si sia passati attraverso la psichedelia per arrivare al progressive, mentre in Italia si è fatto il salto da beat e prog direttamente). Non per niente anche i revival psichedelici nascono principalmente in America, non in Italia, dove la psichedelia oggi al massimo guarda ai primi Pink Floyd...

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