martedì 19 giugno 2018

The Darkness - Live At Hammersmith (2018) - Recensione

I Darkness sono forse l'unico gruppo che seguo praticamente dall'inizio: da quando, nell'ormai lontano 2003, erano letteralmente ovunque qui in Italia. Qui potete trovare un articolo scritto a riguardo, che copre in sostanza tutta la loro discografia fino al 2017.
Finalmente quest'anno possiamo goderci il loro primo album dal vivo. Strano che si sia dovuto attendere così tanto tempo, specialmente tenendo conto del loro alto livello come band live; ma in ritardo o no, l'importante è che ora sia qui e che ci permetta di goderci un loro tipico concerto carico di energia dall'inizio alla fine.
Togliamoci subito di mezzo il più grande difetto di questa uscita: la mancanza della componente visiva. Si, perchè questo live è disponibile solo in formato audio, non permettendoci quindi di assistere alle acrobatiche trovate sceniche e i decisamente vistosi costumi di Justin Hawkins.
Ma cercando di dimenticare questo particolare, ciò che abbiamo è un'ora e un quarto di "greatest hits" live suonate perfettamente.
La scaletta infatti tira fuori indubbiamente il meglio dai cinque album della band, concentrandosi ovviamente sul primo Permission To Land con ben 8 canzoni su 10 tratte da lì, per arrivare all'ovvia presenza di brani dall'ultimo Pinewood Smile. Da quest'ultimo sono state scelte All The Pretty Girls, Buccaneers Of Hispaniola, Southern Trains, Solid Gold e Japanese Prisoner Of Love: indubbiamente le migliori che potessero scegliere. Un piccolo difetto, a mio personalissimo parere, è la conseguentemente ovvia poca rappresentazione degli altri album. Se comunque Last Of Our Kind se la cava con due brani, Barbarian e Open Fire (tra l'altro posta in apertura del concerto), gli altri Hot Cakes e One Way Ticket To Hell And Back si devono accontentare di un brano a testa (Every Inch Of You e la title track del secondo). E devo dire che mi dispiace un po' non trovare in scaletta brani come English Country Garden e Hazel Eyes, che ben spezzavano il ritmo del concerto nelle scalette del 2015, portando anche un Fender Rhodes in mezzo al palco per permettere a Justin Hawkins di suonare la prima. Anche vero che qui la scaletta è dura e pura, hard rock senza mezzi termini, e quindi brani più "strani" sarebbero forse sembrati fuori posto. In tal senso mi affligge invece l'assenza dell'incandescente cover di Street Spirit (Fade Out) dei Radiohead. Ma ci possiamo consolare con la presenza dell'intramontabile Christmas Time, suonata in quell'occasione visto che il concerto ebbe luogo il 10 Dicembre.
Le performance sono impeccabili, così come la registrazione: il tutto è preciso ma non eccessivamente pulito tanto da sembrare sterile, difetto che affligge alcuni album live. Qui il pubblico si sente, così come i vari feedback e qualche sbavatura qua e là a rendere il tutto più umano. I veterani Dan Hawkins alla chitarra e Frankie Poullain al basso (e campanaccio in One Way Ticket) offrono prestazioni molto solide, ma un plauso a parte va a Rufus Taylor alla batteria (figlio di Roger Taylor dei Queen): una mitragliatrice di impeccabile precisione che si incastra perfettamente nelle dinamiche di questa band.
Insomma un album consigliatissimo ai fan dei Darkness, oltre che un possibile punto d'ingresso per nuovi fan, offrendo una panoramica sul loro intero catalogo.  Due piccolissimi ultimi appunti li potrei fare sul volume della voce, a mio parere troppo basso in molti punti rispetto al resto, e sulla durata del live, che se per un album è perfetta e non stanca, mi chiedo se davvero sia stata la durata del concerto vero e proprio; e se così non fosse, mi chiedo quindi cosa sia stato tagliato per portarlo ad un'ora e un quarto.
Ma a parte queste piccole considerazioni, si tratta di un live imperdibile sotto ogni punto di vista, che offre una visione della band finora inedita, almeno ufficialmente. Un 8,5 per me.

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