lunedì 4 giugno 2018

Mr. Bungle - California (recensione)

Credo che ormai sia palese la mia "vecchiaia" in termini di gusti musicali, e non mi vergogno certo ad ammetterlo: per me la miglior musica in ambito pop-rock e generi derivati risale a decenni fa. Questo non significa che io sia totalmente chiuso a tutto ciò uscito dopo il 1977, anzi, sono molto curioso: ed è proprio a causa dei tentativi di ascolto di musica attuale che la mia idea ne esce sempre più rafforzata. Ci sono però delle eccezioni, ed i Mr. Bungle con questo album in particolare ne sono un esempio perfetto. Non sono un grandissimo fan degli altri progetti di Mike Patton, che trovo spesso molto lontani dai miei gusti; ma quello che lui ed il resto della band hanno tirato fuori in questi 45 minuti, a tratti ha dell'incredibile.
Terzo ed ultimo album di questa band che si può definire "sperimentale", uscito nel 1999, arriva dopo due lavori forse ancora più estremi (Disco Volante in particolare), e si rivela essere forse il più accessibile. Si, perchè a differenza di ciò che lo precede, qui sono presenti anche canzoni relativamente normali come Retrovertigo e Pink Cigarette, che pescano si da territori stilistici piuttosto variegati, ma potrebbero anche tranquillamente passare in radio. Su una radio ideale ovviamente, purtroppo non parlo della realtà. Perchè se Retrovertigo ha radici ben piantate negli anni '90 per quanto riguarda melodie e suoni (con tanto di strizzatina d'occhio al Noise Rock nell'ultima parte), Pink Cigarette, dopo un inizio piuttosto inquietante ci porta ad un misto tra Elvis Presley e l'Elton John di Blue Eyes nel ritornello. Insomma, anche nei pezzi più "normali" i contrasti sono ben evidenti.
Una cosa invece ricorrente all'interno dell'album è una forte componente stilistica che si rifa al surf rock, alla musica hawaiana, alle armonie vocali sullo stile dei Beach Boys... Elementi evidentissimi fin dal primo brano Sweet Charity, uno dei miei preferiti: dove magnifici intrecci vocali e chitarre slide ci accompagnano attraverso un brano pieno di stacchi e cambi improvvisi, contrasti, aperture con tanto di archi e timpani, insomma un piccolo capolavoro difficilmente definibile. Soprattutto visto che è ben presente, come in ogni loro album, quel senso di "malsanità" e fortissima inquietudine che, in contrasto con melodie spensierate e arie californiane fanno quasi pensare ad una vacanza finita nel peggiore dei modi. Bellissimi contrasti anche in None Of Them Knew They Were Robots, dove ritornano chitarre da surf rock in atmosfere decisamente più oscure e frenetiche che sfiorano il metal, salvo poi diventare quasi rock n' roll. Insomma è quasi senza senso andare a cercare i generi in questi brani, che già di per se è un'azione da masochisti in generale, ma qui...
E poi The Air-Conditioned Nightmare, come la si può descrivere? Inizio corale alla Beach Boys che poi si trasforma in un trip di LSD finito malissimo? Giuro, quei coretti "mh ba ba ba" li trovo particolarmente sinistri. Ciò non toglie che questo brano sia in realtà pieno di ottime idee melodiche che si palesano quando meno ce lo si aspetta. E poi Ars Moriendi, che ci porta nel pieno di sonorità balcaniche e mediorientali, senza però rinunciare alle ricorrenti chitarre da surf rock e agli occasionali stacchi metal che lasceranno senza dubbio un enorme punto interrogativo a chi ascolta; specialmente quando intervallate con una folle musica danzereccia di non so che Paese ed una citazione vocale che sembra uscire dalla Toccata Concertata di Ginastera (per i lettori proggettari, quella che hanno riarrangiato gli ELP in Brain Salad Surgery).
E poi la genialata dell'inizio "a carillon" di Golem II, brano che poi si evolve in territori in bilico tra elettronica e jazz\funk, la più tranquilla The Holy Filament a spezzare la frenesia incontrata finora, l'inizio doo-wop di Vanity Fair, che quasi strizza l'occhio al pop più mainstream, senza però caderci in pieno sempre per quel senso di inquietudine che permea ogni loro brano, oltre a quel pre-finale totalmente fuori posto (in senso buono). Poi non preoccupatevi che arriva Goodbye Sober Day a riportarci sulle montagne russe combinando più idee ed influenze di quante si riesca a contare, o anche solo a notare. Dall'intermezzo quasi gregoriano all'assolo vocale che apre alla sezione distorta tra le più malate che io abbia mai ascoltato, per poi lasciar spazio alla ripresa del tema iniziale a mo di "danse macabre".
Si può quasi dire che, una volta superato l'iniziale ed inevitabile stupore, si tratti di un album che rasenta la perfezione grazie ad un riuscitissimo equilibrio tra sperimentalismo, influenze da innumerevoli generi ed una sensibilità pop che affiora in punti strategici. Un album che segna la completa maturità dei Mr. Bungle dopo due lavori decisamente più ostici. E sinceramente, tornando al discorso dell'inizio, mi fa pensare il fatto che un album di ormai 19 anni fa stupisca e suoni ancora fresco oggi. California per me rappresenta perfettamente le infinite potenzialità raramente realizzate della musica di oggi, inteso come il dopo-2000, indipendentemente dal genere (ma si, sto guardando te, caro prog), che invece di combinare culture e generi anche diversissimi tra loro nel tentativo ci creare qualcosa di nuovo, il più delle volte si perde in auto-citazioni senza mai raggiungere un decimo della qualità di ciò che si cita. E questo anche perchè band e artisti che non sono immediatamente confrontabili con altri nomi altisonanti simili a livello stilistico, e magari anche neanche facilmente catalogabili in uno o due generi ben definiti, sono difficili da promuovere. E questa mentalità influenza poi chiunque, anche i musicisti stessi, tarpando loro le ali. Poi non dico che la strada da seguire sia per forza quella mostrata in questo album, ma certo qualche guizzo inaspettato che non sia solo un tempo dispari ogni tanto non guasterebbe eh...
Quindi, un doppio applauso ai Mr. Bungle che non solo hanno creato un capolavoro, ma sono riusciti a smuovere il sottoscritto dal limbo musicale "1962-1980". Come voto si merita un 9.

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