Detto questo, ovviamente i due si circondarono di altri musicisti e, soprattutto, cantanti, di fatto creando già qui la formula che finirà per caratterizzare ogni loro lavoro insieme. Se però nei lavori successivi pare evidente la tendenza, voluta o meno, alla ricerca di "hit", seppur sempre implementate in album carichi di classe ed arrangiamenti sopraffini; qui siamo di fronte ad un lavoro un pelo più complesso e raffinato. Ogni brano, come è già evidente dai titoli, è dedicato ad un racconto o una poesia di Poe; e nella seconda metà troviamo addirittura una suite strumentale di 16 minuti basata su The Fall Of The House Of Usher, una cosa unica nella discografia dell'Alan Parsons Project (se escludiamo The Turn Of A Friendly Card, che anche se sulla carta è anch'essa una suite, è basata su canzoni e non brani strumentali).
Fin dall'inizio si può notare l'usanza, che si consoliderà successivamente e la ritroveremo spesso, di aprire l'album con una sorta di introduzione strumentale, A Dream Within A Dream, che si collega alla prima canzone vera e propria: The Raven. A mio parere uno dei brani più riusciti dell'album e più rappresentativi di ciò che adoro dell'APP, The Raven presenta anche il primo uso in studio del vocoder, e rende ben evidente un'altra caratteristica che tornerà spesso: la combinazione di suoni elettronici, strumenti rock ed orchestra. Orchestra arrangiata e condotta da Andrew Powell.
La prima sorpresa dell'album è The Tell Tale Heart, dove un diabolico Arthur Brown si fa spazio nel muro di suoni grazie ad una delle sue più efficaci interpretazioni di sempre. Bellissimi i saliscendi strumentali prima della ripresa, con anche un coro a creare tensione e leggera dissonanza. Bellissima.
John Miles ci delizia poi in The Cask Of Amontillado, brano particolarmente efficace anche grazie alle entrate più ritmiche dell'orchestra che creano un bel contrasto. E proprio questo contrasto e l'uso estensivo dell'orchestra in modo particolarmente pomposo sarà un'altra costante in futuro, basti pensare a Silence And I. (The System Of) Dr. Tarr And Professor Fether, oltre ad essere un gran bel brano con di nuovo John Miles alla voce, è letteralmente cosparsa di reprise di temi precedenti, a volte evidenti ed a volte non molto. Non è difficile notare una sezione di The Raven ripresa un paio di volte con testo diverso, e poi di nuovo alla fine strumentale, così come l'arpeggio di A Dream Within A Dream e la linea vocale di The Tell Tale Heart.
Come anticipato, la seconda metà dell'album è dominata da The Fall Of The House Of Usher: 16 minuti interamente strumentali dominati dall'orchestra. Certo, se confrontato con il resto dell'album è facile che passi in secondo piano, che annoi, o che semplicemente non piaccia; ma indubbiamente ha dei momenti particolarmente godibili ed efficaci, e forse soffre solo un po' dell'eccessiva durata a mio personalissimo parere. L'album si conclude con To One In Paradise, finale appropriato con la prima ballata dell'APP in uno stile che poi diventerà tipico in brani come Time e Old And Wise, per citarne un paio.
Trovo doveroso citare l'esistenza del remix del 1987, ad opera dello stesso Parsons, che ha sicuramente creato confusione in molti ascoltatori non esperti che magari per decenni hanno creduto che quella fosse la versione originale dell'album, complice il fatto che fino al 1994 il mix originale non fu disponibile in CD. E le differenze ci sono eccome: a partire dall'uso di riverberi vari molto in voga negli anni '80, specialmente sulla batteria, l'aggiunta di parti strumentali nuove (assoli di chitarra, tastiere...), qualche take diversa (la voce di Arthur Brown in The Tell Tale Heart), ed in generale una resa più "spaziosa" del suono. Ovviamente molti preferiscono l'originale, ma non mi sento di criticare troppo questo remix, che ha comunque il pregio di presentare una valida alternativa all'originale, con anche il valore aggiunto di alcune parti narrate da Orson Welles.
C'è chi questo album lo butta nel calderone del prog, chi invece urla a gran voce la sua indignazione all'accostamento dell'APP al suddetto genere, e c'è chi alza gli occhi al cielo come il sottoscritto. Quel che è certo è che siamo di fronte ad un ottimo album, con in particolare una prima metà da applausi. Non il mio album preferito in assoluto dell'APP, soprattutto a causa della suite di Usher, che se fosse durata qualche minuto in meno, magari lasciando spazio ad una o due canzoni in più, avrebbe reso l'album più scorrevole a mio parere. Rimane comunque in una mia ideale top 3, e si merita un bell'8 come voto.
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