lunedì 21 maggio 2018

Meat Loaf - Bat Out Of Hell (recensione)


Uno degli album più venduti in assoluto insieme a colossi come Thriller, Back In Black e The Dark Side Of The Moon, ma curiosamente molto meno considerato, specialmente in Italia. Sarà la sua natura pomposa ed esagerata, sarà il grande peso di componenti come la produzione spectoriana e l'approccio vocale di Meat Loaf che deve molto ai musical (entrambe cose che faticano a guadagnar consensi in un paese che per la maggiore oggi oscilla tra campanilismo cantautorale, Sanremo, indie stonato perennemente depresso con la poetica di una suola da scarpe, ed il prog in una relativa minoranza). Fatto sta che se i suddetti album li si trova ovunque in giro e tutt'ora passano alla radio, lo stesso non si può dire per Bat Out Of Hell, nonostante all'estero di fama ne abbia da vendere. Io stesso ho avuto il piacere di scoprirlo per caso solo recentemente, avendolo evitato più volte un po' anche a causa della copertina facilmente fuorviante che sa tanto di Judas Priest. Non si tratta certamente di un album di metal anni '80 con Maga Magò alla voce, per fortuna! Spesso infatti si sono tracciati parallelismi tra questo lavoro ed alcuni di Bruce Springsteen contemporanei, complice anche la presenza di musicisti della sua band in questo primo album del polpettone, ma credo che una spiccata tendenza teatrale ed una presenza e virtuosismo vocale ben diversa da quella di Bruce, differenzi non poco questo album dai suoi, al di là di somiglianze stilistiche di parti quali le strofe della title track. Certo, a tratti viste le tematiche in comune ed il senso dell'umorismo del compositore Jim Steinman sembra quasi essere una presa in giro dello stile "springsteeniano".
Di certo però non si può sminuire il talento compositivo di Steinman, che qui si concretizza per la prima volta e si confermerà alla grande nei due decenni successivi anche con altri artisti. Tornando a Bat Out Of Hell, la title track domina e traina l'album con i suoi quasi 10 minuti di cavalcate sostenute, start and stop, continui cambi, riprese, produzione sopra le righe e prestazione sublime del gigantesco Loaf. E qui si potrebbe riflettere su come abbia fatto un brano di 10 minuti a trascinare, grazie al suo successo, l'intero album tra i 4 più venduti di sempre, e di come una cosa così non fu più possibile già dagli anni '80, figuriamoci oggi, ma non voglio diventare banale e mi fermo qui. Quello che abbiamo è una storia di un tragico incidente in moto e la successiva ascesa del protagonista, raccontata in modo molto efficace. Uno dei brani più carichi e coinvolgenti che io abbia mai ascoltato. Certo: semplice, esagerato, pomposo, magari di cattivo gusto secondo alcuni, ma chissenefrega. A me piace e non poco. Mica si può vivere solo di musica d'avanguardia e testi introspettivi con riferimenti all'alta letteratura: sai alla lunga che noia? Comunque, ovvio che gran parte del resto dell'album rischia di essere oscurato da cotanta grandiosità, ma una volta sorvolato il quasi imbarazzante dialogo dopo la title track, la spudoratamente spectoriana You Took The Words Right Out Of My Mouth non può non farsi apprezzare. Perchè spudoratamente spectoriana? Beh dai, la produzione è un'imitazione fedele del suo stile, e musicalmente è palese l'ispirazione, se non la citazione (dopo il primo ritornello c'è anche un fill di batteria che è praticamente l'inizio di Be My Baby). Però adorando io lo stile del folle produttore oggi ospite in carcere, non posso non apprezzare questa canzone. Stile che comunque se qui è più che palese, rimane sempre evidente in tutto l'album come un alone che ricopre ogni brano. Non mancano ovviamente le parentesi più puramente romantiche grazie a brani più lenti come Heaven Can Wait e Two Out Of Three Ain't Bad, entrambe molto semplici e piacevoli, arricchite dall'accorata interpretazione del sempre molto teatrale Meat Loaf e da dei ben piazzati interventi di archi. All Revved Up With No Place To Go è un semplice brano pop-rock con una ben evidente presenza di sax, che ben contribuisce allo scorrere dell'album, ma forse da solo risulta un pezzo un pelo più debole rispetto al resto. Discorso diverso per Paradise By The Dashboard Light, un duetto rock and roll di ben 9 minuti. Molto teatrale e pieno di cambi anche questo, racconta la storia di due giovani che si ritrovano in intimità in auto, finchè ad un certo punto la ragazza interrompe il tutto chiedendo se la sposerà e la amerà fino alla fine; il che causa la comica risposta del giovane "let me sleep on it" e la promessa di rispondere la mattina dopo. Questo ovviamente porta ad un infinito botta e risposta con le insistenze di lei e l'insicurezza di lui, che si risolve in un si. La canzone si conclude presumibilmente anni dopo con la coppia che non si sopporta più e lui che prega che la fine sia vicina, non potendo rompere la promessa. Non propriamente un argomento "rock" eh?
L'idea e la realizzazione mi piacciono però, anche se le eccessive ripetizioni lo rendono un po' pesante e l'avrei preferito di qualche minuto più breve. Di certo è uno di quei brani che nei concerti ne guadagna(va) non poco. A questo punto è ovvia la superiorità della title track sul resto dei brani, perlomeno finchè non arriva For Crying Out Loud a spazzare via tutto. E dico letteralmente. Una delle canzoni d'amore più riuscite e commoventi, sia per la bellezza in sé che per i riuscitissimi interventi di band ed orchestra verso la metà del brano, portando a compimento un inarrestabile climax, oltre che per l'intensa interpretazione vocale di un Meat Loaf qui all'apice delle sue capacità. Non c'è molto da aggiungere, la trovo un capolavoro senza se e senza ma. Altri nove minuti che volano.
Insomma un album con alti e bassi indubbiamente, i cui alti sono altissimi e i bassi in realtà sono medi. Ovviamente all'epoca quasi nessuno credeva nelle potenzialità dei brani esageratamente lunghi e grandiosi di Steinman, ed ancor meno nell'apparenza e presenza scenica di uno come Meat Loaf, che non era certo l'esempio della rockstar con i suoi chili di troppo. Ennesimo esempio della totale idiozia di molti discografici, ed infatti si vede chiaramente dallo stato della musica pop di oggi in quanto puro prodotto delle grandi case discografiche. Il successo raramente si può premeditare, e Bat Out Of Hell ne è l'esempio con le sue 43 milioni di copie vendute in totale e le 200000 al mese in media ancora oggi. E davvero non posso non stupirmi di quanto poco se ne parli in Italia, anche al di là del mainstream, quasi come se si guardasse con diffidenza tutto ciò che ha venduto tanto. Ma non è così, veeeero? (sarcasmo). Un album non perfetto ma che si sta facendo adorare dal sottoscritto, che cercando di non essere troppo di parte potrebbe meritarsi un 8,5 di voto.

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