mercoledì 30 ottobre 2019

Marillion - With Friends From The Orchestra (2019) Recensione

Sono ormai almeno un paio di anni abbondanti che i Marillion ospitano sui loro palchi il quartetto d'archi In Praise Of Folly, a cui nel tempo si sono aggiunti Sam Morris al corno francese ed Emma Halnan al flauto. All'inizio furono presenti solamente in alcuni brani (si pensi ai Marillion Weekend del 2017), poi si guadagnarono metà scaletta del concerto (si veda il live alla Royal Albert Hall, di fine 2017), ed ora siamo alle porte di un tour dove l'elemento orchestrale sarà costantemente presente. Ciò sta a monte della decisione di pubblicare l'album in questione, che altro non è se non una raccolta di brani ri-arrangiati e ri-registrati con la presenza dei suddetti musicisti.
Comprensibilmente la selezione dei brani lascia fuori quelli già suonati dal vivo precedentemente e presenti in qualche album live (soprattutto quello alla Albert Hall), e quindi brani altrimenti ovvi come The Space, Neverland o The Great Escape non sono presenti.
D'altro canto però ciò che trova posto lascia poco spazio a lamentele: con brani come This Strange Engine, Season's End e l'epica Ocean Cloud, tra le altre, a rappresentare sostanzialmente tutta la discografia post-Fish con un occhio di riguardo ai brani più ariosi e dai toni più sinfonici già originariamente.
Certamente un quartetto d'archi e due ottoni non stravolgono il suono della band quanto potrebbe fare un'intera orchestra (operazione, questa, già vista affrontare molteplici volte da parte di altri artisti e, forse proprio per questo, un pelo più banale), sollevando quindi qualche dubbio sull'effettiva necessità di pubblicare un album del genere, consci del fatto che i concerti siano una cosa e gli album in studio un'altra. Ed infatti i brani sono molto fedeli agli originali, ma è impossibile negare che la resa sonora generale, elementi orchestrali o meno, sia decisamente migliore in molti brani se confrontati con le versioni originali. Intendo soprattutto pezzi estratti dagli album anni '90, come Estonia, This Strange Engine, Season's End, che laddove ai tempi soffrivano forse di una produzione piuttosto freddina, qui guadagnano decisamente in calore e coinvolgimento. Certo poi la maturità della band e l'esperienza del suonare questi brani centinaia di volte influenza enormemente la resa dei suddetti brani, regalando loro una convinzione che per forza di cose non poteva esserci ai tempi, trattandosi di brani allora nuovi.
Ma l'orchestra? Beh, in alcuni punti riesce effettivamente a donare qualche colore nuovo ai brani, senza mai essere invasiva ma, anzi, rimanendo spesso nelle retrovie. Di fatto il più delle volte si limita ad "aumentare" il suono, con un approccio già visto nei precedentemente citati album live.
Insomma se siete fan di questa band, apprezzate i brani qui presenti e volete ascoltarne una nuova versione, questo album è per voi. Diversamente, così come per il fu Less Is More e forse ancor di più (visto che almeno in quell'album i ri-arrangiamenti furono sostanziali, seppur a tratti discutibili), c'è il forte rischio che questo lavoro finisca nella temibile categoria del "lo ascolto una volta per curiosità e poi lo metto nello scaffale per il resto della mia vita".

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