venerdì 18 ottobre 2019

IQ - Resistance (2019) Recensione

Scoprii gli IQ circa 5 o 6 anni fa, nel periodo in cui ero attratto da tutti quei gruppi neo-prog nati negli anni '80, e mi soffermai sui loro album decisamente di più rispetto ad altre band in un certo senso analoghe come i Pendragon. Mi piacque il loro suono, la non perfetta ma comunque valida voce di Peter Nicholls, e le loro composizioni sempre equilibrate tra progressive classico ed aperture melodiche memorabili. Apprezzai Tales, adorai The Wake e alla fine decisi che il mio preferito dovesse essere Dark Matter, nonostante la citazione i limiti del plagio di Supper's Ready in Harvest Of Souls.
The Road Of Bones del 2014 poi fu un ottimo album, con una virata un po' più oscura che era una novità per loro, di certo parziale riflesso del contributo del nuovo arrivato Neil Durant, già presente in Frequency ma forse non ancora entrato del tutto nella parte ai tempi. Riff più pesanti di un sempre più presente Mike Holmes alla chitarra, cantato più piatto e meno melodico, ed in generale un suono più minaccioso che tutto sommato funzionò.
Ora, ben cinque anni dopo, un'eternità per quanto mi riguarda (il tempo che passò tra Please Please Me ed il White Album, tanto per dire), vede la luce Resistance, il loro dodicesimo album. Già la sua durata di ben un'ora e 48 minuti può intimidire, non tanto per la mole di musica da affrontare, quanto per l'amara certezza della presenza di inevitabili riempitivi. Poi però già dalle prime note chi scrive capisce che il "problema" è in realtà un altro: sembra di ascoltare di nuovo The Road Of Bones. Stessi suoni, stesse melodie (quando ci sono), stessi arrangiamenti; più di una volta sono riuscito a prevedere dove sarebbe andato a parare questo o quel brano al primo ascolto.
A tratti affiorano dei bei frammenti, ma immediatamente arriva l'ennesimo riffone con mellotron cori e Nicholls ad interpretare testi sostanzialmente mono-nota a portar via tutto. In generale il primo dei due dischi, quello effettivamente principale, sembra scorrere un po' meglio (anche se A Missile non ce lo vedo come brano di apertura), con forse il suo punto migliore nella conclusiva For Another Lifetime, ma il secondo è decisamente più difficile da mandar giù. Come al solito in questi casi non è difficile immaginare che togliendo un po' di ciccia e riorganizzando meglio le idee si sarebbe potuto ottenere un album discretamente solido. E questo vale non solo per la durata totale dell'album ma anche dei singoli pezzi, come ad esempio per l'iniziale A Missile: decisamente troppo ripetitiva, tanto da sembrare ben più lunga di quello che effettivamente è. Poi sicuramente c'è chi a difesa invoca la necessità di molti ascolti ripetuti per comprendere meglio il tutto, a cui io rispondo che gli album veramente validi dovrebbero invogliarti al riascolto, lasciarti delle domande a cui cercare una risposta proprio nel riascolto. Se invece già al primo ascolto si fa fatica ad arrivare alla fine, forse non c'è molto da fare.
Oltretutto quello che trovo curioso è quanto, specialmente negli ultimi anni, il progressive sia diventato prevedibile e pieno di cliché, forse anche più della musica mainstream di cui teoricamente si proporrebbe di essere l'alternativa. Se Resistance fosse uscito così com'è al posto di The Road Of Bones nel 2014, sono sicuro che avrebbe avuto ben altro effetto sul sottoscritto, e non sarebbe finito per sembrare "l'ennesimo album prog" in quello che effettivamente è un ambiente più che saturo di questi tempi.
In definitiva Resistance è un album che non mi ha entusiasmato, e da cui mi sarei aspettato decisamente di più. Poi ovviamente ciò non significa che sia un brutto album, in quanto sostengo sempre che la qualità di un album stia solo nelle orecchie di chi lo ascolta, e se qualcuno ne è rimasto emozionato sono contento per lui/lei; per me purtroppo non è stato così.

1 commento:

  1. Sono perfettamente daccordo. Io vado giù più pesante, è un pessimo album, è una delusione totale per quel che mi riguarda. In verità penso che da quando ha mollato Martin Orford è tutta un'altra musica e Peter Nicholls sente il peso del'età, ditino giù.
    Ciao

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