lunedì 21 ottobre 2019

Flying Colors - Third Degree (2019) Recensione

Ormai le band con Neal Morse e Mike Portnoy in formazione quasi non si contano più, così come le loro uscite discografiche. Quest'anno c'è già stato The Great Adventure della Neal Morse Band, poco tempo fa ha visto la luce l'album in questione, il terzo dei Flying Colors, ed ora pare che stiano risvegliandosi i Transatlantic: siamo quasi all'overdose!
C'è da dire però che i Flying Colors (che oltre a Neal Morse e Mike Portnoy vantano la presenza di Steve Morse, Dave LaRue e Casey McPherson) mi sono sempre piaciuti, e nonostante sia opinione diffusa il fatto che il loro primo album sia superiore al secondo, ammetto di aver apprezzato entrambi i lavori quasi allo stesso livello. Non potevo quindi che essere più che felice all'annuncio dell'atteso terzo lavoro di questa band, che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto essere una sorta di "sfogo" per Morse e soci, qualcosa di più tendente al pop-rock e meno al pomposo progressive che di solito si associa, giustamente, al loro nome. Questo è forse il motivo del mio interesse nei loro confronti: il poter assistere a ciò che questi musicisti fossero in grado di fare in un "genere" che si allontana dal loro solito. Ed effettivamente nei primi due album, con alti e bassi, credo siano riusciti a combinare discretamente questi due "mondi", regalandoci pezzi spesso piacevoli e memorabili.
Ma poi arriva Third Degree. Certamente al suo interno è presente del bel pop in brani come la ballatona strappalacrime You Are Not Alone o la magnifica Love Letter, a tratti poi la band sembra voler osare in territori funk piuttosto eclettici in Geronimo, tra le cose più interessanti dell'album. Il problema è che praticamente tutti gli altri brani sembrano avere delle discrete idee melodiche che però, puntualmente, vengono diluite inutilmente con eccessive ripetizioni o con inutili e forzati intermezzi strumentali, ovviamente in pieno stereotipo prog. Cadence è piacevole, ma appunto troppo lunga, Last Train Home ha belle melodie, ma di nuovo cade nel prog quando non necessario, così come Crawl, che però ha momenti veramente molto belli. Altri brani come More e The Loss Inside invece sembrano avvicinarsi pericolosamente allo stile dei Muse, cosa di cui nessuno penso abbia veramente bisogno. A parte i fan dei Muse, e quindi non chi scrive. Poi certamente sul come sono suonati i brani non c'è proprio niente da dire vista l'eccellenza del personale coinvolto, compreso McPherson alla voce, che forse soffre solamente dall'avere un timbro vocale un po' troppo comune di questi tempi.
Il punto è questo: infarcire i brani di sezioni prog non è di per sé un problema, ma il tutto finisce per avvicinare le sonorità di Third Degree ad un qualsiasi album della Neal Morse Band o dei Transatlantic. E se da una parte io sono il primo ad esser contro le nette divisioni in "progetti" dai generi diversi ogniqualvolta un artista voglia variare un po', preferendo album di natura più eclettica, nel momento in cui si mescola il tutto, qual è il senso di avere così tanti gruppi diversi? Tant'è che, ad aggiungere ulteriore confusione, il brano che senza dubbio si distingue dal resto dell'album nella sua squisita ispirazione "sixties", Love Letter, altro non sembra se non una riscrittura di The Ways Of A Fool, presente in The Similitude Of A Dream di, guarda un po', la Neal Morse Band.
Al di là di questo però, se si prende Third Degree come lavoro a sé, senza pensare a ciò che gli sta intorno, non è affatto un brutto album, anzi tutt'altro. Si tratta di un onesto album pop\rock con toni progressive, probabilmente un pelo troppo complesso per essere di larga fruibilità e troppo semplice per piacere ai proggettari snob. Forse è giusto un gradino sotto ai precedenti, ma se si è apprezzato il lavoro della band finora, credo sia facile trovare validità anche in questa loro ultima uscita.

Nessun commento:

Posta un commento