sabato 30 marzo 2019

Deep Purple - Live In Long Beach 1971 (2015) Recensione

Sono tante le pubblicazioni live di archivio dei Deep Purple; ovviamente non sono in grado di poter rivaleggiare con quelle dei King Crimson, ma negli anni si è riusciti ad andare a coprire praticamente ogni fase della loro carriera con uscite, perlomeno, rappresentative.
Uno degli anni meno rappresentati tra quelli che si possono vedere come il loro apice a livello creativo (che indicativamente lo si può identificare tra il 1969 ed il 1975) è il 1971. Questo fu un anno strano, di transizione in un certo senso. Il 1970 ha visto i Deep Purple affermarsi con la nuova formazione composta da Ritchie Blackmore, Jon Lord, Ian Paice, Ian Gillan e Roger Glover, la mark 2, grazie a concerti in cui lunghe improvvisazioni occupavano gran parte della scaletta, oltre all'aggiunta di una manciata di brani da In Rock che poi bene o male continueranno ad essere suonati per molto tempo, come Speed King e Child In Time. Facendo invece un salto al 1972, l'anno di Made In Japan, si nota una band più "organizzata", in un certo senso più disciplinata, con improvvisazioni relegate principalmente alla lunga coda di Space Truckin' (la fu coda di Mandrake Root) e l'aggiunta di diversi brani da Machine Head. In mezzo però uscì Fireball, che era un album più "di studio", composto da brani che non erano nati dal vivo, come invece in molti altri casi, e che quindi essendo più difficili da suonare non trovarono posto in scaletta. Nei concerti del 1971 quindi si ha questa sorta di transizione tra le lunghe jam del 1970 e le scalette più organizzate del 1972, con però la sola aggiunta del singolo Strange Kind Of Woman in scaletta, ed in generale una band più affiatata (sporadicamente vedremo anche Fireball come bis, specialmente nel 1972, e sempre dal '72 troverà posto anche The Mule). Per qualche motivo però non esistono molte registrazioni dei concerti di quest'anno, e per fortuna questa uscita del 2015 va a riempire un importante vuoto. Purtroppo non si tratta di una pubblicazione che può vantare una elevata qualità audio, trattandosi di una registrazione soundboard che per anni è circolata come bootleg, e che quindi non può essere remixata per aggiustare i volumi dei singoli strumenti. Per fortuna il tutto è comunque piuttosto ascoltabile, se si sorvola su una generale predominanza di Ian Gillan nel mix a discapito degli strumenti, cosa come detto inevitabile, ed un generale mastering fin troppo spinto, questo invece evitabilissimo.
La scaletta comprende solamente quattro brani, che però vanno dai 10 ai quasi 30 minuti, portando la durata totale a circa 70 minuti. L'apertura è affidata a Speed King, ovviamente estesa da improvvisazioni centrali che la rendono una delle migliori versioni in assoluto, dove dei riusciti dinamismi la rendono molto scorrevole e non soltanto uno schiacciasassi continuo. La novità Strange Kind Of Woman ha già acquisito una forma non dissimile da quella di Made In Japan, con tanto di duetto chitarra-voce nella seconda metà. Qui però, forse essendo appunto ancora una novità, si ha la sensazione che il tutto sia molto più istintivo e meno organizzato, più libero e divertente. Insomma un'altra grande performance, in cui Blackmore pare davvero molto ispirato.
Segue Child In Time, qui ancora in una versione estesa nella parte centrale da un assolo di Jon Lord, arrangiamento proposto fino al 1972 ma abbandonato già all'epoca del Made In Japan. Il mix qui dà davvero troppo spazio a Gillan, che sovrasta letteralmente chiunque specialmente nella classica sezione urlata. C'è da dire che per fortuna, a differenza di altri concerti usciti ufficialmente, qui Gillan è davvero in gran forma, con una voce che sembra non mostrare segni di stanchezza da tour. Anche questa una delle migliori versioni di questo brano, purtroppo penalizzata solamente dal già citato mix. Si conclude con la lunga jam di Mandrake Root, qui suonata ancora con la sua introduzione originale e non ancora sostituita da Space Truckin', anche se la struttura della infinita sezione improvvisata è già piuttosto simile. Quest'ultimo brano è effettivamente abbastanza estenuante all'ascolto, ma contiene comunque delle sezioni decisamente interessanti ed ispirate, che ne giustificano l'ascolto.
Se siete fan dei Deep Purple e di questa formazione in particolare questo live è imperdibile, in quanto ci regala una band al massimo della forma, al costo però di un audio non perfetto. Insieme a Stockholm 1970 ed il Made In Japan ci permette di avere il meglio della classica mark 2 dal vivo negli anni '70.

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