venerdì 15 marzo 2019

Camel - Breathless (1978) Recensione

Il sesto album dei Camel ed il secondo partorito dalla magnifica formazione composta da Andy Latimer, Peter Bardens, Andy Ward, Richard Sinclair e Mel Collins è un lavoro che, pur condividendo molti elementi con il precedente Rain Dances, si dimostra comunque piuttosto diverso all'ascolto, oltre che la chiusura di un'ideale fase della band, visto l'abbandono di Bardens di lì a poco.
Se in Rain Dances l'entrata di Richard Sinclair e Mel Collins aveva spostato l'asse sonoro verso sonorità più jazzate e, in un certo senso, più affini alla corrente canterburiana in cui spesso questa band viene a forza inserita (pur non essendo originaria di quella zona), Breathless invece mantiene quel tipo di sonorità mettendo però da parte il jazz (a parte in un caso che vedremo), dando spazio a brani più pop. Tutto ciò non stupisce, in quanto a mio parere uno dei punti di forza dei Camel è sempre stato proprio lo spiccato gusto per la melodia, sia essa strumentale o cantata. Indubbiamente vedere i Camel "scivolare" verso musica più semplice non avrà reso felici certi fan intenti a lustrare il loro nuovo paio di paraocchi mentre si lamentano di simili tendenze, decisamente più evidenti, nel contemporaneo And Then There Were Three dei Genesis; ma se per un attimo sorvoliamo sui generi (che è sempre cosa buona e giusta fare) ci ritroveremo di fronte un album davvero molto interessante e godibile, oltre che maturo.
Già dalla title track si nota la tendenza sopra citata, trattandosi di un semplice brano melodico, sereno, di quelli che scaldano il cuore grazie soprattutto alla vellutata voce di Sinclair e i bellissimi interventi all'oboe di Collins. A rappresentare in un certo senso le loro radici ci pensa però la successiva Echoes, che nel suo formato a mini-suite tra cambi, stacchi, l'ennesima sfilza di melodie che solo i Camel riescono a sfornare condite da ottime parti di chitarra e synth, fanno di questo brano una delle cose migliori non solo di questo periodo, ma della loro intera discografia. Wing And A Prayer ci riporta a sonorità più semplici, rivelandosi stavolta però un brano piuttosto debole, a differenza della successiva Down On The Farm. Quest'ultimo è forse uno dei brani più particolari dei Camel, ad opera di Richard Sinclair, in quanto inizia con un potente riff "alla Who" che ben presto lascia spazio ad un'ode alla vita in fattoria, con tanto di suoni "a tema" e testo cantato al limite dello scioglilingua. Starlight Ride è un altro brano più semplice e pacato, con bellissimi interventi strumentali al limite del barocco, con un Mel Collins particolarmente in forma. A confondere i fan ci pensa poi Summer Lightning, che dopo un'introduzione vocale di Sinclair si sposta ben presto su un ritmica disco che comunemente non si associa con i Camel, finendo però per lasciare a bocca aperta da metà in poi, dove Andy Latimer si lascia andare in uno dei suoi migliori assoli per più di tre minuti. Spettacolare a dir poco. Si torna alla semplicità con You Make Me Smile, che quasi sembra uscire da un album dei Wings, e la cosa a me personalmente non dispiace, e si crea un notevole contrasto con la successiva The Sleeper. Altro indiscutibile capolavoro dell'album dopo Echoes, The Sleeper inizia con una leggera introduzione non lontana da certe cose di Rain Dances, con Rhodes arpeggiato e lunghe note di chitarra sospese, e poi ecco che che si entra improvvisamente nell'unico brano con tendenze jazz di questo disco, perfettamente in bilico tra una Chord Change ed una Lunar Sea, con però l'esperienza acquisita nell'album precedente e le differenze date dai nuovi membri della band, in particolare Mel Collins.
In un certo senso sembra quasi essere il brano d'addio sia di Bardens alla band, che della band stessa a quel tipo di sonorità che tanto aveva caratterizzato i loro lavori fino a quel momento. Di lì in poi infatti sarà il solo Latimer a guidare la band, spostando inevitabilmente lo stile verso le caratteristiche melodie chitarristiche che normalmente si associano al suo nome (mantenendo però un'altissima qualità lungo tutta la discografia). La bellissima e graziosa Rainbow's End chiude l'album dando quel senso di calma dopo la tempesta, e congedando un lavoro che personalmente ho sempre adorato. Inutile dire che Breathless non può essere in grado di reggere il confronto con un Moonmadness o un Mirage, ma è anche vero che Echoes e The Sleeper sono tra le loro cose migliori di sempre, ed in generale personalmente percepisco un senso di solidità assente dal precedente e pur ottimo Rain Dances, che mi ha sempre lasciato perplesso (pur contenendo perle come First Light e Unevensong). Breathless l'ho sempre percepito come un album dai colori autunnali, caldo, confortante, uno di quelli che fa sempre piacere tornare ad ascoltare di tanto in tanto. Come voto si merita un 8.

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