mercoledì 27 novembre 2019

no-man - Love You To Bits (2019) Recensione

Leggendo svariate recensioni in giro mi rendo conto di essere costretto ad un approccio atipico a questo lavoro. Conosco poco o nulla dei no-man, e seguo Steven Wilson dai tempi di The Raven That Refused To Sing, preferendo la sua carriera solista (sì, anche To The Bone) ai Porcupine Tree, che trovo spesso noiosi, a parte qualche pezzo sparso nei vari album.
Insomma arrivo da un punto di vista decisamente diverso da quello più comune, e forse questo influenza la mia visione di questo lavoro, o forse no; io comunque ve l'ho detto.
Non serve che vi dica che i no-man sono sostanzialmente un duo formato da Wilson e Tim Bowness, in particolare qui il primo si occupa degli strumenti e della produzione ed il secondo della voce. Ci sono svariati ospiti come David Kollar alla chitarra, Adam Holtzman alle tastiere e Aviv Geffen alla batteria, tutti ad intervenire col contagocce dove necessario.
L'album in questione, a quanto pare, è il frutto di un'idea risalente agli anni '90 e mai ultimata, e di fatto affonda pesantemente le sue radici nell'electro-pop. Qui molti proggettari potrebbero rabbrividire (e ciò è sempre cosa buona e giusta), ma in realtà Love You To Bits si compone di due suite tra i 17 ed i 18 minuti, certamente caratterizzate da un ossessivo ritmo ripetitivo come tipico del genere, ma che in realtà si sviluppano e si evolvono in modo veramente interessante. Il tema principale ritorna in svariate vesti e contesti, circondato da sintetizzatori e drum machine, e quando entrano strumenti "veri" suonati dagli ospiti sopra citati (specialmente Holtzman e Kollar, che come loro solito sfoderano virtuosismi che però risultano decisamente interessanti visto il contesto), il tutto diventa ancora più interessante, complice anche una produzione meravigliosa.
Se proprio dovessi indicare un punto debole, ahimè, starebbe proprio nel ruolo di Bowness, la cui voce ed interpretazione, volutamente o meno, risulta piatta, ripetitiva, a tratti pericolosamente tendente alla noia. Mi rendo conto che questa considerazione sia strettamente personale, ma sono convinto che le stesse parti cantate invece da Wilson (che diciamocelo, negli ultimi anni è migliorato non poco come cantante) avrebbero fatto ben altra figura.
Detto questo, non si può negare il fatto che Love You To Bits tenti di fare qualcosa di genuinamente "nuovo" e originale, poi che ci riesca o meno sta al singolo ascoltatore deciderlo. Combinare queste sonorità con un formato tipico del progressive e pubblicarlo in questo 2019 in cui ancora c'è gente che viene idolatrata per aver messo un riff metallone su una base di mellotron cori (IQ ehm...), è una scelta quantomeno coraggiosa, anche più di quanto fu la tanto odiata (non da me) Permanating. Poi certo, molte scelte melodiche ed armoniche sanno pesantemente di già sentito, specialmente se si segue il signor Wilson da un po' di tempo, ma diciamo che tenterò di chiudere un occhio in questo caso.
Non sto a dilungarmi sulle varie sezioni delle due suite presenti nell'album, in quanto sono sicuramente meglio apprezzabili nel loro contesto; ma in generale mi sento di dire che la seconda metà, Love You To Pieces, si rivela essere un po' più interessante e varia, mentre la prima tende forse a "sedersi" un po' troppo sul tema principale, interrompendosi praticamente solo all'entrata di un bel riff di chitarra di Wilson e per l'assolo di Kollar.
Se però ci si lascia prendere da questi appena 35 minuti di musica senza troppi pregiudizi o aspettative, si potrebbe rimanere perlomeno sorpresi. E al giorno d'oggi non è poco.
In coda, aggiungo che se si è apprezzato l'album, potrà interessare il brano "bonus" uscito insieme al primo singolo estratto: Love You To Shreds (Shreds 1-3), più tendente all'ambient ma comunque coerente e piacevole espansione di un lavoro altrimenti piuttosto breve.

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