mercoledì 5 giugno 2019

Whitesnake - Flesh And Blood (2019) Recensione

Ad ormai otto anni dall'ottimo Forevermore (no, non contiamo il Purple Album che è meglio), i Whitesnake si ripresentano con un nuovo album dal titolo Flesh And Blood. Di fatto siamo di fronte ad una band leggermente diversa, per via dell'abbandono del chitarrista e principale partner compositivo di Coverdale, Doug Aldrich, sostituito da Joel Hoekstra, dal rientro di Tommy aldridge alla batteria e dell'entrata del tastierista Michele Luppi. Certo questo cambio di formazione risale a qualche anno fa ormai, ma l'album in questione è la prima occasione per cimentarsi in nuove composizioni. E se Good To Be Bad e Forevermore erano album molto simili tra loro grazie soprattutto al contributo di Aldrich, in Flesh And Blood si fa finalmente avanti Reb Beach, secondo chitarrista già con Aldrich, ed il nuovo arrivato Hoekstra, pur lasciando a Coverdale il timone.
Quello che si nota subito fin dal brano di apertura Good To See You Again è una leggera tendenza a ripiegare un po' di più su un canonico hard rock con centellinati interventi blues (in questo specifico caso abbiamo una bella chitarra slide), lasciando un po' da parte, specie se confrontato a Forevermore, tendenze spiccatamente hair metal e ballate sdolcinate.
Badate bene, questi due ultimi elementi sono comunque presenti, altrimenti non sarebbero i Whitesnake post '87, ma la resa generale è comunque diversa.
Coverdale ovviamente continua a cantare troppo spesso in tonalità inutilmente alte per la sua età e la sua voce rimasta, cosa che in studio funziona ancora ma che poi dal vivo crea non poche difficoltà.
L'album ci regala un'ora di hard rock vecchio stile, molto spesso affondando nel comfort del già sentito, ed altre cercando di tirare fuori qualcosa di un pelo più ricercato. Già nella seconda Gonna Be Alright ci sono arpeggi e riff più inusuali, così come in Trouble Is Your Middle Name. Il blues ritorna in Well I Never, mentre il singolone Shut Up And Kiss Me, Hey You (You Make Me Rock) e la title track affondano profondamente le radici nel più tradizionale hard rock di sempre. Nel mezzo ci sono le tendenze più pop di Always And Forever e la quasi ballata When I Think Of You (Color Me Blue), che segnano forse una delle parentesi un po' meno interessanti. Sembra poi che si sia voluto "buttare" nella seconda metà alcuni dei pezzi indubbiamente più solidi sia dell'album che della recente discografia dei Whitesnake. Ed è il caso ad esempio di Heart Of Stone, epico brano che sembra uscito dal Coverdale solista di fine anni '90, e dove tra l'altro il suddetto si ricorda di avere ancora una voce della madonna quando sta sulle note basse; peccato accada raramente.
Il più semplice rock and roll di Get Up e la magnifica parentesi acustica, decisamente benvenuta, di After All fanno da preludio all'altro brano epico dell'album, posto strategicamente in chiusura. Sands Of Time va curiosamente a pescare in territori orientaleggianti, cosa questa non certo comune per una band come i Whitesnake, sempre molto con i piedi per terra nelle sue ispirazioni americane. Consueti assoli di chitarra dalla tamarraggine esagerata portano il brano al suo culmine e chiudono l'album nel migliore dei modi.
Diciamo che questa tendenza ad allontanarsi dal suono dell'era Aldrich avrebbe forse funzionato meglio se la si fosse affrontata con un po' più di coraggio; ma è anche vero che non si può chiedere innovazione e reinvenzione ad una band tradizionale come i Whitesnake.
Band che, lo devo ammettere, credevo ormai bollita dopo l'inutile Purple Album, ma che si conferma ancora credibile e, soprattutto, godibile con un album che è senza dubbio tra i più solidi dopo i magici anni '80, pur avendo qualche caduta qua e là (siamo sempre lì, era davvero necessario far durare l'album un'ora? Se c'è una cosa che salvo degli inutili vinili è il limite di durata degli album, poi prontamente ignorato oggi e bypassato dalla pubblicazione di vinili doppi a prezzi folli almeno quanto chi ancora ascolta vinile, ma quello è un altro discorso). Se si acquista la versione deluxe, tra mix diversi e documentari di vario tipo troviamo altri due brani aggiuntivi che, se sostituiti ad alcuni più deboli nell'album, avrebbero fatto un figurone. La blueseggiante Can't Do Right From Wrong è forse quello che molti fan dei Whitesnake della prima ora vorrebbero sentir cantare al Coverdale di oggi, mentre la pesante ballata If I Can't Have You si fa ascoltare senza infamia e senza lode, pur mantenendosi comunque su livelli piuttosto alti.
Insomma non siamo di fronte ad un capolavoro, e ciò è destino comune a qualunque cosa a nome Whitesnake da una trentina d'anni a sta parte, ma Flesh And Blood è sicuramente un album migliore di quanto mi sarei aspettato (forse per via delle aspettative molto basse per via del pluricitato Purple Album), confermandosi mediamente migliore anche del precedente Forevermore, comunque apprezzato non poco dal sottoscritto.

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