domenica 23 giugno 2019

Rainbow - Rising (1976) Recensione

Il secondo album della creatura di Blackmore (che tra l'altro, a differenza del primo, cestina il nome del chitarrista dalla copertina lasciando solamente Rainbow, quasi a voler dire "ecco, ora siamo una band") ed uno dei più importanti e fondamentali album della storia dell'hard rock e del conseguente heavy metal. Rispetto alla prima uscita a nome Rainbow la formazione coinvolta è quasi completamente rinnovata, conservando solo Ritche Blackmore e Ronnie James Dio e sostituendo tutti gli altri con Jimmy Bain al basso, Tony Carey alle tastiere e Cozy Powell alla batteria, di fatto costituendo quella che per molti è la line up definitiva di questa band (anche se il sottoscritto ha un debole per l'epoca Bonnet-Glover-Airey).
Rising è tanto breve quanto il tempo impiegato per registrarlo (appena un mese), sfoderando solamente sei brani di fragoroso ed epico hard rock senza alcuna pausa. Se infatti nel primo album c'erano Catch The Rainbow e Temple Of The King ad alleggerire, così come ci sarà Rainbow Eyes nel successivo, qui i ritmi serrati tirano dritto come una locomotiva per tutti e 33 i minuti di Rising, senza spazio alcuno per tirare il fiato.
Fin dall'introduzione di tastiere ad opera di Carey in Tarot Woman si sente la voglia di distaccarsi dal tipico suono "alla Deep Purple", lasciando da parte il classico Hammond che immediatamente richiamerebbe alla mente l'inimitabile Jon Lord e preferendo il più "moderno" Minimoog. L'entrata del resto della band è introdotta da uno schematico riff che poi lascia spazio alla roboante batteria di Powell, dando vita ad un brano che è il prototipo di ogni brano metal di ispirazione fantasy che tanto prenderà piede nei decenni successivi. Blackmore è incredibilmente lucido nei suoi interventi prima al limite del caotico e poi piacevolmente melodici. Poco da dire poi sulla sempre impeccabile performance di Dio, qui forse alla sua prima vera affermazione in uno stile che si porterà avanti per tutto il resto della sua carriera. Run With The Wolf è forse un brano minore insieme a Do You Close Your Eyes, ma entrambi più che il futuro dei Rainbow sembrano prevedere la carriera di Dio con la sua omonima band, in sostanza quindi riuscendo a suonare non così lontani da certe cose dei primi anni '80, però praticamente un lustro prima.
Nel mezzo c'è Starstruck, quasi un prototipo della ben più nota Long Live Rock And Roll che vedremo l'anno successivo, anche se , a parere di chi scrive, questo brano da Rising è decisamente più interessante grazie ad un incrocio di riff tutt'altro che banali. Gran parte dell'attenzione però la cattura il secondo lato dell'album, formato solamente da due brani, ma che brani. Stargazer è forse il picco creativo dei Rainbow oltre che uno degli episodi più belli ed epici di quest'epoca dell'hard rock e non solo. Facile tracciare paralleli con la similmente grandiosa Kashmir dei Led Zeppelin, ma se lì il brano era interamente votato alle sonorità di stampo orientale, qui questo elemento è presente solo in parte, mischiato di nuovo con un immaginario fantasy ed in generale una sensibilità più affine al metal sinfonico ante-litteram. In questo senso è esemplare l'assolo centrale di Blackmore, che dopo un inizio su scale orientali con lo slide sfocia in una cascata di note dall'anarchica precisione. In tutto ciò c'è l'indescrivibile potenza ed intensità della voce di Dio che porta il brano a vette altissime, elevate ulteriormente dall'entrata dell'orchestra nella lunga coda conclusiva. Interessante poi l'aneddoto secondo cui Blackmore scrisse il riff di questo brano al violoncello. Difficile seguire un capolavoro simile, ma A Light In The Black non si tira certo indietro. Una cavalcata lunga quanto Stargazer ma al doppio della velocità, con un Powell in modalità schiacciasassi e Carey e Blackmore che sembrano sfidarsi in duelli all'ultimo sangue tra la cacofonia e gli onnipresenti arpeggi neoclassici su cui qualche chitarrista svedese farà la fortuna di lì a qualche anno.
Rising è un album fondamentale quasi quanto il primo omonimo dei Led Zeppelin o In Rock dei Deep Purple; molta della musica affine a questo genere che affiorerà specialmente dagli anni '80 deve tantissimo a questo album. Un ascolto breve ma decisamente intenso da cui ancora oggi si può imparare molto, anche solo a livello di arrangiamenti e produzione.
I Rainbow non raggiungeranno mai più livelli simili, pur avvicinandosi molto con il successivo Long Live Rock And Roll o con il sottovalutato Down To Earth con Graham Bonnet alla voce. Curiosamente ben pochi brani di questo album troveranno posto in scaletta nei tour contemporanei, con Stargazer e soprattutto A Light In The Black cestinate dopo meno di un anno (la prima verrà ripresa successivamente in modo sporadico) e la sola Starstruck in versione appena accennata al'interno di Man On The Silver Mountain.

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