martedì 26 febbraio 2019

The Who - The Who By Numbers (1975) Recensione

Dopo il trionfale Quadrophenia ed il piuttosto tragico tour di supporto, cosa avrebbero potuto fare gli Who? Era ovvio e palese che l'apice era già stato raggiunto, e tutt'ora alcuni fan guardano a quella magica trilogia formata da Tommy, Who's Next e Quadrophenia come a qualcosa di irraggiungibile, indicando inevitabilmente uno di quei tre album come loro preferito. Nel 1975 uscì anche il film di Tommy diretto da Ken Russel, forse rappresentando il primo sguardo al passato nella carriera degli Who, che proprio nel tour del 1975 e '76 suonarono più brani tratti da Tommy che dalla loro uscita più recente.
In ogni caso, Tommy o no, un nuovo album doveva arrivare, e ciò che uscì si lasciò alle spalle ogni qualsivoglia grandiosità sia strumentale che tematica, caratteristica irrinunciabile nei lavori precedenti. The Who By Numbers, che già nel suo sarcastico titolo sembra voler dare l'impressione di essere semplicemente un altro album degli Who, dove il "by numbers" indica un modo di fare seguendo una sorta di ricettario, delle regole, nulla di nuovo insomma (gioco di parole tra l'altro rappresentato in modo brillante nella bellissima copertina ad opera di Entwistle).
In realtà non è propriamente così, ma senza dubbio si percepisce quasi una mancanza di "fame", di ambizione, e ciò ha portato gli Who ad un album, almeno in superficie, più "normale". Ciò che forse più di ogni altra cosa caratterizza The Who By Numbers è una sorta di crisi che colpisce Pete Townshend in quel periodo, il quale ormai sulla soglia dei 30 anni si sente vittima di un mondo, quello dell'industria dell'intrattenimento musicale, in cui non si sente più totalmente a suo agio, e anzi si vede quasi come un impostore, ormai troppo vecchio e con la celeberrima frase "hope I die before I get old" che oscilla sopra la sua testa come una spada di Damocle. Interessante tra l'altro notare come i tempi siano cambiati in quel mondo, in quanto questa percezione Townshend l'ha avuta allo scoccare dei 30 anni, mentre oggi a quell'età è decisamente più facile esser definiti "giovani promesse".
I testi dell'album sono quindi decisamente più sinceri, autobiografici, a tratti fin troppo autocritici, ed il tutto per la prima volta non si nasconde dietro ad un qualche personaggio inventato parte di un concept album, ed è anzi esposto alla luce del sole in prima persona.
Già da subito con l'apertura di Slip Kid ci si trova davanti un brano decisamente più grezzo se confrontato con le aperture degli album precedenti, caratterizzato da inusuali percussioni, il magnifico piano di Nicky Hopkins che brilla per tutto l'album, e semplicemente i quattro Who, che per tutto l'album riescono forse meglio che in ogni altro caso a catturare il loro essenziale sound live (seppur più pulito) senza troppi orpelli aggiunti. Slip Kid parla della continua lotta, delle continue responsabilità che si fanno sempre più evidenti man mano che si cresce, con ovvio riferimento al rock and roll, dal quale "there's no easy way to be free", tanto a 13 anni quanto a 63.
However Much I Booze sembra quasi essere una seduta di terapia buttata su carta e messa in musica, ed è comprensibile il rifiuto di Daltrey di cantarla. Townshend se ne occupa in modo egregio, che tra ammissioni di essere un "impostore", un "clown", un mentitore seriale ed una sorta di fallimento, ammette che il rivolgersi all'alcool non risolve una situazione dalla quale non esiste via d'uscita.
Dopo un brano dalla tale pesantezza, la divertente Squeeze Box con i suoi ben poco celati doppi sensi sembra decisamente fuori posto; ciò non significa che non sia un pezzo piacevole, anzi, però è un peccato, visto il titolo, che l'assolo sia stato affidato ad un banjo e non ad una fisarmonica.
In Dreaming From The Waist ritorna un suono più tipicamente Who, e nonostante Townshend non abbia mai fatto segreto del suo scarso apprezzamento per questo brano, si rivela essere uno dei pezzi più riusciti dell'album, con cambi di accordi non banali e bellissimi interventi corali nel ritornello.
Nella successiva Imagine A Man si nota forse per la prima volta il carattere di questo The Who By Numbers, che fa di ballate dalla più pura, triste e malinconica bellezza il suo punto forte; elemento questo decisamente meno presente precedentemente. Chitarra acustica in primo piano, magnifica interpretazione di Daltrey, di nuovo Hopkins al piano, ed un Moon misurato a decorare i crescendo come solo lui sapeva fare. Da applausi.
Success Story è l'unico brano ad opera di Entwistle in questo album, e di nuovo ci regala un testo geniale ed intriso del suo solito senso dell'umorismo, con ovvi rifermenti agli Who stessi, al rompere chitarre per arrivare lontano, allo sperare di "farcela" prima dei 21 anni, all'essere in studio anni dopo a lavorare alla duecentosettantaseiesima take del prossimo numero uno... Un gran bel brano ritmato che alleggerisce quasi quanto Squeeze Box, riuscendo però ad essere decisamente migliore.
Arriviamo ora ad un'altra magnifica perla: They Are All In Love. Altra ballata di cui basta citare un passaggio del testo, che vale più di mille parole quando si vuole parlare di questa fase della carriera degli Who: "goodbye all you punks, stay young and stay high, hand me my checkbook and I'll crawl out to die. But like a woman in childbirth, grown ugly in a flash, I've seen magic and pain, and now I'm recycling trash". Uno dei pezzi più belli dell'album e della loro intera discografia.
Blue Red And Grey è invece una "stranezza", con Townshend da solo ad accompagnarsi con un ukulele ed un gran bell'arrangiamento di Entwsistle agli ottoni, è un brano molto grazioso che ha pian piano guadagnato un certo apprezzamento negli anni, ed in cui Townshend ha un impeto di ottimismo e dichiara di amare ogni momento della giornata.
In How Many Friends ritorna l'amarezza, e ci si chiede quanti veri amici ci si può vantare di avere, di quelli che ci amano per ciò che siamo, arrivando alla conclusione che si possono contare sulle dita di una mano, probabilmente in una situazione aggravata dall'essere una rockstar.
In A Hand Or A Face chiude l'album in modo un po' più spinto, dove l'ossessivo coro di "I am going round and round" rappresenta perfettamente il girare su se stessi senza una meta.
Insomma un album decisamente più essenziale e crudo dei precedenti, ed è facile immaginare una possibile delusione degli ascoltatori che aspettavano il successore di Quadrophenia e si sono ritrovati una band in crisi di identità. In realtà negli anni The Who By Numbers è diventato l'album preferito di molti fan, che ne apprezzano il suono più essenziale e le tematiche, oltre al non trascurabile fatto del poter ascoltare un Keith Moon ancora in forma, ed in generale una band che suona in modo solido e potente forse per l'ultima volta prima della morte di Moon, licenziando un album con una coerenza di fondo che il successivo Who Are You, nonostante abbia ottimi brani sparsi, non avrà.
Gli Who a questo punto erano in discesa, l'apice artistico era alle spalle e lo stesso Townshend lo sapeva, ma The Who By Numbers è un maturo colpo di coda uscito in tempi strani, in procinto di subire l'avvento del punk che loro stessi avevano anticipato negli anni '60. Un album che non stupisce ma emoziona, e che si merita un 8,5.

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