mercoledì 6 febbraio 2019

Eagles - One Of These Nights (1975) Recensione

Quarto album in studio degli americani Eagles ed un album che purtroppo non gode della stessa fama di altri loro lavori. Indubbiamente Hotel California e, seppur un gradino sotto, Desperado rimangono i vertici della loro carriera, dal punto di vista commerciale il secondo e, a mio parere, artistico il primo. One Of These Nights cade nel mezzo di una loro fase di transizione da country a southern rock, che pur essendo entrambi elementi presenti più o meno sempre nel loro suono, il primo prevaleva negli album fino a Desperado, ed il secondo iniziò ad imporsi dal successivo e più elettrico On The Border. Ovviamente sarà l'entrata di Joe Walsh a trasportare la band lontano dai toni acustici dei primi album, ma in questo One Of These Nights non era ancora presente. Chi invece iniziava a prender posto all'interno della band era Don Felder, che già in On The Border, seppure in modo marginale, aveva contribuito al suono più rock di brani come Already Gone e Good Day In Hell. Come sappiamo ben presto finirà per buttar giù l'idea che poi farà nascere nientemeno che Hotel California, ma in questo album è ancora il "nuovo arrivato", tra l'altro ancora affiancato da Bernie Leadon, qui al suo ultimo lavoro con la band.
Leadon infatti era forse colui che più di tutti era legato al country degli esordi, e proprio per via di questo cambio di direzione ed approccio nella band, oltre che sicuramente per via dei soliti conflitti interni, lascerà gli Eagles dopo questo album.
Già dall'inizio dell'album si mette in chiaro che gli Eagles non sono più solamente l'ennesimo gruppo country. La title track rappresenta forse la loro unica puntatina in territori disco-funk, in un brano dall'arrangiamento magistrale oltre che inaspettatamente complesso nei suoi incastri di chitarre e voci. Don Henley qui si conferma come voce principale e rappresentativa degli Eagles, sfoderando anche un inaspettato e cristallino falsetto. I Barclay James Harvest devono aver ascoltato molto bene questo brano quando si ritrovarono a comporre Rock And Roll Star.
La successiva Too Many Hands vanta il bassista Randy Meisner alla voce, in un brano di polveroso country rock godibile ma non indimenticabile. Hollywood Waltz invece è un sonnolento valzer che sembra quasi essere una versione riveduta ed aggiornata di Saturday Night da Desperado, con cui condivide stile e atmosfera; un bel brano che rimanda al passato degli Eagles.
Segue Journey Of The Sourcerer, caso più unico che raro per loro di brano interamente strumentale, oltre ad essere l'indiscutibile capolavoro di Bernie Leadon, che ben rappresenta l'ormai evidente distacco stilistico tra lui ed il resto della band a quel punto. Un bellissimo pezzo atmosferico guidato dal banjo con il supporto sia del resto della band che dell'orchestra, famoso per esser stato usato nella colonna sonora del film The Hitchiker's Guide To The Galaxy.
Nella successiva Lyin' Eyes entra finalmente Glenn Frey alla voce solista, in un brano principalmente acustico con bellissime armonie vocali nel ritornello. Pur essendo, a mio parere, un po' troppo lungo nella versione su album (su singolo presenta una strofa ed un ritornello in meno), rimane una delle migliori creature partorite dal compianto Frey, tanto da vincere il Grammy per la "miglior interpretazione vocale pop di coppia o di gruppo".
Il brano che forse più di ogni altro rimane tutt'oggi tra i più conosciuti e celebrati di questo album è però senza dubbio Take It To The Limit. Il suo andamento lento e "dondolante", la squillante voce di Meisner che qui dà il suo meglio, quel senso di rassicurante libertà che solo certi pezzi sanno dare, tutto concorre alla magnifica resa di un brano riproposto ancora oggi dal vivo dai rimanenti Eagles, ma che nessuno riuscirà mai a far rendere quanto Randy Meisner.
A questo punto è ovvio che l'album abbia già raggiunto il suo apice, e che si appresti quindi ad una lenta discesa che porta alla sua conclusione, iniziando con il primo brano ad opera di Don Felder, Visions. Un altro semplice brano dai toni tipici del southern rock, lascia un po' il tempo che trova, anche e soprattutto a causa della performance vocale dello stesso Felder, priva delle personalità dei compagni di band; si può capire perchè non lo ritroveremo più come cantante solista negli album successivi.
Un ultimo ottimo colpo di coda lo dà la premiata ditta Frey/Henley con l'ottima After The Thrill Is Gone, brano malinconico che sembra quasi anticipare certe cose da The Long Run, come The Sad Cafe.
L'album però non finisce qui, e si chiude con la pacata I Wish You Peace, vero e proprio addio alla band da parte di Bernie Leadon, che compone il brano insieme alla sua compagna di allora Patti Davis, figlia di Ronald Reagan.
Forse uno dei lavori più "di gruppo" degli Eagles, in cui ogni membro si conquista uno spazio ed il tutto non è ancora monopolizzato dalla tirannica coppia Henley/Frey, ma che forse soffre un po' del già citato senso di transizione. Ognuno sembra "tirare" in una direzione diversa, e se da un lato questo ci regala uno degli album più eclettici di questa band, dall'altro ne risente un po' in solidità. Certo è che One Of These Nights contiene alcune delle canzoni più note e meglio riuscite della loro intera carriera, e mostra un notevole passo avanti dal pur ottimo, ma un po' sbiadito al confronto, precedente On The Border.
Un album che combina l'anima più commerciale e quella più "sperimentale" (per quanto sperimentali possano essere gli Eagles) di questa band, e per questo si merita un 8 come voto.
Menzione d'onore per la copertina, forse la più bella della loro intera discografia.

Nessun commento:

Posta un commento