domenica 20 agosto 2017

Steven Wilson - To The Bone (recensione)

Ok, se ne è parlato per mesi, chi lo ama, chi lo odia, chi è riuscito a dare giudizi sull'intero album prima ancora di ascoltarlo (poi mi devo far insegnare come si fa), ma finalmente è qui. Mi sono preso un paio di giorni e circa una decina di ascolti prima di scrivere perchè vorrei essere sicuro di ciò che dico (oddio sembro Trump).

Quindi, è pop? Ha smesso con il prog? Si è venduto? è calata la qualità? La risposta, per quanto mi riguarda è no a tutte queste domande; anche se, nel caso in cui riuscisse a "diventare mainstream" grazie a questo album sarei solo felice per lui, perchè se lo merita.
Ma supposizioni a parte, com'è quest'album? Beh, è un album di Steven Wilson, semplicemente. Non mi metto a ripetere le influenze tirate in ballo da lui stesso che tanto se state leggendo già le sapete. Tutti gli elementi tipici suoi sono presenti, l'unica cosa che manca è quel condimento tipicamente prog degli ultimi 3 album (i brani estesi, gli assoli infiniti, le jam, i quintali di mellotron che comunque è presente). Insomma quello che abbiamo tra le mani è, secondo me, l'album più completo, personale, solido e maturo rilasciato finora da Wilson, specialmente da solista. Ovvio che Raven e H.C.E. hanno un posto speciale tra i miei album preferiti (tra l'altro il secondo non mi colpì subito e lo rivalutai dopo), ma qui semplicemente mancano punti "morti", le canzoni si susseguono in modo perfetto, un'ora tonda di album che vola via più veloce dei 4 minuti di Occidentali's Karma (mi scuso e mi vergogno profondamente per la citazione profana, vado a rimettere su Pet Sounds).

Ammetto che a me il termine usato in questo caso, Progressive Pop, non piace più di tanto. Secondo me qui siamo di fronte ad un ottimo album di Art Rock, un termine che mai avrei sperato più di usare per un album del 2017. Ma la musica quindi com'è? Beh, ce n'è per tutti i gusti! C'è il pop certo, con Permanating, Nowhere Now, magari il bel duetto con Ninet Tayeb, Pariah (aaahhh se solo il pop fosse così, magari rispolvererei anche la radio). C'è una tipica ballata wilsoniana, potenzialmente una delle sue migliori, Song of Unborn (che vanta la presenza di un bellissimo intermezzo con un coro). C'è la magnifica Refuge, un crescendo alla Peter Gabriel che verso la metà sconfina in territori di Red Rain-iana memoria, per poi stupire con una serie di assoli di armonica, chitarra e sintetizzatore; c'è del bel rock a scuotere il tutto in People Who Eat Darkness; c'è l'oscurità che sfocia in territori fusion nel tanto atteso, e unico, brano esteso, Detonation. Insomma c'è tanta carne al fuoco, anche più che negli album precedenti. Certo, se volevate i tempi dispari o i Porcupine Tree avete perso in partenza, tornate allegramente a riascoltare i vecchi dischi, sono lì apposta (anche se ci sono pezzi che rimandano a questi ultimi a dire il vero eh). Altra cosa importante è che l'album è ben radicato nella realtà, nei nostri tempi, specialmente nei momenti in cui si affrontano problemi come l'estremismo religioso e gli attentati (People Who Eat Darkness, Detonation) e quando si parla del concetto di verità, che pian piano sta diventando puramente soggettiva (il quasi funk di To The Bone). In questo senso trovo perfetta la conclusione di Song Of Unborn, una sorta di discorso ad un bambino non ancora nato, come a dire "guarda in che mondo stai per nascere", ma che si conclude con una nota leggermente più positiva incitando a non aver paura di morire e non aver paura di vivere, perchè la vita è comunque qualcosa di infinita importanza e valore. Ho trovato molto riusciti anche i brani che invece parlano di relazioni, Pariah, Blank Tapes e Song Of I. Quest'ultima che parla dell'ossessione nei confronti di una persona, e lo fa con toni che ancora una volta possono rimandare ad alcune cose di Gabriel solista (per ritmo e alternanza vocale mi ricorda This Is The Picture da So, anche se meno oscura). Mentre Blank Tapes è un brevissimo pezzo acustico di nuovo in duetto con Ninet Tayeb che invece ci riporta ai tempi in cui si usava fare le mixtapes da regalare ad una persona con cui magari "ci si voleva provare", un concetto che i più giovani probabilmente non comprenderanno più di tanto (parlo dall'alto dei miei ben 25 anni poi tsè). Ma è bello proprio il modo in cui rappresenta la fine della relazione dicendo che tutto ciò che rimane sono i nastri vuoti in macchina, quelli che non sono stati usati, un po' come se fossero speranze infrante, pagine non scritte...
E tutto questo è condito da scelte sonore mai banali, che rivelano nuovi elementi ad ogni ascolto nonostante la semplicità delle composizioni. Il tutto senza demolire e reinventare da zero il suono e lo stile a cui ci ha abituati negli anni (Permanating a parte, che comunque è una delle mie preferite, ebbene si).

In conclusione direi che si tratta di un ottimo album, l'ennesimo da parte di Steven Wilson. Un capolavoro? Eehhmmm ni. Cioè, rendiamoci conto che "capolavoro" è un parolone, non va usato su ogni album che ci piace... Ripetetelo 20 volte di fila e non avrà più alcun significato. Comunque se dovessi dare un voto probabilmente starebbe intorno all'8,5 se non addirittura 9.

Volevo però spendere altre due paroline su tutto questo marasma che c'è stato prima dell'uscita dell'album. Innanzitutto, che piaccia o non piaccia, ha vinto lui. Perchè l'arte funziona quando suscita reazioni, positive o negative che siano. Quindi finchè ci sarà gente che lo elogia e gente che si sente in dovere di comunicare al mondo che è un buffone e che Permanating è qualcosa di irritante, lui avrà comunque vinto. Perchè è riuscito a suscitare una reazione tale da causare discussioni sulla sua musica. E coloro che hanno apprezzato l'album aspetteranno con ansia il prossimo, mentre coloro che lo hanno odiato, almeno una grande percentuale, faranno lo stesso nella speranza che sia migliore!
Quello che però mi ha lasciato l'amaro in bocca in particolare sono state alcune recensioni da parte di personaggi di settore su giornali piuttosto noti, che davvero mi hanno fatto cadere le braccia. Perchè si, è legittimo che non piaccia, che deluda, che irriti, ma c'era una recensione in particolare che descriveva l'album (o almeno gran parte di esso) come una raccolta di canzoni pop insulse senza la minima direzione artistica. Ora, il pop c'è, è vero. E potrei spendere migliaia di parole sul fatto che è sbagliato usare la parola "pop" in modo denigratorio, ma cercherò di sforzarmi di dare per scontato che dei professionisti lo sappiano. Quello che mi rattrista è leggere che il suddetto non è stato in grado di notare le innumerevoli altre sfaccettature, specialmente in termini di generi musicali. Soprattutto tenendo conto che i generi, le etichette LE HANNO INVENTATE PROPRIO I GIORNALISTI E I CRITICI. Quindi non riconoscerle beh... Chapeau.
E per quelli che ancora parlano di "svolta pop", andate a metter su Stupid Dream e Lightbulb Sun dei Porcupine Tree di cui tanti bramano la reunion, poi ne parliamo.

Vi lascio un video in cui lo stesso Wilson parla dei brani dell'album.
Alla prossima!


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