sabato 26 agosto 2017

Marillion - Holidays in Eden (recensione)

Si parla spesso di "svolta pop" per molte band, anche se raramente si tratta di scelte volute quanto di normali evoluzioni artistiche e stilistiche, piacciano o meno. Questo Holidays in Eden invece è diverso.
Perchè si tratta effettivamente di un tentativo ben chiaro di andare in quella direzione da parte dei Marillion e del produttore Christopher Neil, principale artefice del suono contenuto in questo tanto discusso disco. C'è anche da tener conto del fatto che questo fu effettivamente il primo album composto dai Marillion con Steve Hogarth. Perchè il precedente Seasons End era frutto di lavori iniziati ancora con Fish in formazione, ed ultimato con un Hogarth presente praticamente solo come cantante\esecutore e poco più. Quindi una prova importante per la band, dove vengono fuori le differenze nei metodi di composizione, e dove si sente molto di più l'influenza del nuovo arrivato. Ed è forse proprio a causa di quest'album che molti "vedono male" i Marillion post-Fish, quasi quanto i Genesis post-Gabriel. Ma quello che poi si scoprirà ascoltando il successivo Brave, è che questo altro non è che un episodio isolato, un tentativo (fallito) di fare il gran salto.

Ma la musica quindi com'è? Beh, è vero che ci sono pezzi puramente pop, specialmente cose come Cover My Eyes, No One Can, Waiting To Happen; tutti pezzi melodici, semplici, fatti apposta per esser passati in radio. Ma sono brutti? No, affatto. Solo che se arriva il tipico ascoltatore prog che si commuove ascoltando l'inizio di Script For A Jester's Tear, con quest'album inizia a diventare idrofobo. Vero comunque che qua e là sono sparsi indizi su quella che forse era la vera direzione che avrebbero dovuto intraprendere, e che si noterà nell'album successivo. Basti ascoltare Splintering Heart in apertura all'album, The Party, la "suite" finale formata da This Town, The Rakes Progress e 100 Nights. Una sorta di neo-prog alleggerito, ma con intenzioni ben evidenti se si scava un poco sotto la produzione patinata (siamo ai livelli dei primi album dei Pendragon, quelli anni '80, tipo Kowtow).

Insomma potrebbe sembrare un passo indietro rispetto al precedente ed un passo falso se si ascolta il successivo Brave, ma per me rimane un album poco impegnativo che ascolto con piacere. Se per un attimo si smette di cercare a tutti i costi il prog, si possono trovare buone canzoni pop che non fa certo male ascoltare ogni tanto! Consiglio di ascoltare la versione a 2 CD, con un secondo cd di outtakes e demo che trovo molto interessante come aggiunta\contorno. Ovviamente si trova su Spotify. Un voto? Beh, preso singolarmente per quello che è potrebbe guadagnarci qualche punto, mentre se lo si confronta con altri lavori dei Marillion sfigura inesorabilmente. Credo che si tratti di un 7, o 7,5 se si apprezza un certo tipo di pop. Anche se sono i pezzi un po' più complessi ad alzare notevolmente la media facendo scorrere bene l'album anche grazie all'alternanza.

Nessun commento:

Posta un commento