sabato 3 febbraio 2018

Van Der Graaf Generator - Godbluff (recensione)

Il primo album di una delle prime vere e proprie reunion della storia. Quando ancora le eventuali reunion erano giustificate da qualcosa di effettivamente nuovo. E se da una parte i membri dei VDGG erano comunque spesso presenti nei lavori solisti di Peter Hammill, qui si ritorna ad un lavoro veramente di gruppo, anche se con risultati un po' diversi dal precedente Pawn Hearts, di ormai 4 anni prima. Godbluff si presenta come un album più diretto fin dalla copertina: sfondo nero, magnifico logo ispirato ai quadri di Escher a opera di John Pasche e titolo marchiato in rosso. Il contrasto tra le copertine precedenti e quella di Godbluff è di poco inferiore a quello tra un Sgt. Pepper e un White Album, ma diciamo che rende l'idea.
Ed il contenuto dell'album è, sotto certi punti di vista, in linea con questa copertina; essendo in sostanza molto più diretto e compatto se confrontato con i lavori precedenti. 4 brani, tutti intorno ai 10 minuti: il che potrebbe sembrare in contrasto con il termine "compatto", ma invece non fa altro che dimostrare che i minuti sono solo numeri, è ciò di cui è fatto un brano che lo rende compatto o ridondante. Certo, dopo il precedente Nadir's Big Chance di Hammill solista ma con praticamente l'intera formazione dei VDGG a suonare, fa strano pensare di nuovo a brani lunghi... Insomma, visti i cambiamenti imminenti in termini di correnti musicali, sembra quasi un passo indietro. Invece a mio parere, nonostante la lunghezza, quest'album riesce ad avere comunque un'urgenza e una "carica" che non è troppo lontana dal punk, seppur qui caratterizzata dal saper suonare più di 3 accordi in 4/4. The Undercover Man apre l'album con un bel flauto con delay che introduce l'entrata di tutti, quasi in punta di piedi. Hammill entra sussurrando ed accompagna il brano ad una parte più positiva. E qui tra riprese, nuove parti, riff strumentali a supportare assoli di sax, ci troviamo di fronte ad un brano piuttosto melodico per i loro standard, seppur si tratti di melodie non convenzionali.
Forse un po' il "brano manifesto" di questi nuovi VDGG: più scheletrici, meno psichedelici, più "dritti al punto". Un brano che di nuovo ci porta all'esplorazione della psiche umana, della pazzia: temi piuttosto tipici per Hammill, ma qui resi in modo estremamente efficace. Senza una vera e propria pausa ci troviamo in Scorched Earth, brano che parla di guerra, tema che, seppur in modo diverso, troviamo anche nella successiva Arrow. Scorched Earth è un brano decisamente più aggressivo del precedente, in linea con le sue tematiche; è caratterizzato da un ritmo che sembra diventare sempre più incalzante man mano che si va avanti. Davvero bellissimo l'intermezzo strumentale ed il lungo finale carico e potente come poche altre cose partorite dai VDGG. Qualche minuto di improvvisazione quasi tendente al free-jazz introducono Arrow. Ammetto che questa introduzione non mi ha mai fatto troppo impazzire, ma diciamo che fa il suo dovere nell'introdurre un brano forse un po' sottovalutato. Si, perchè forse complice una parte vocale letteralmente folle, è un pezzo che è stato suonato poco dal vivo purtroppo; ma questo non significa che sia meno valido degli altri, anzi! A livello di struttura è sicuramente più lineare, ma la già citata incredibile performance vocale di un Hammill di nuovo alle prese con temi bellici è qualcosa di indescrivibile. Il modo in cui letteralmente urla "how strange my body feels impaled upon the arrow" è da pelle d'oca ogni volta.
The Sleepwalkers chiude l'album in modo esemplare. Uno dei brani più "famosi" dei VDGG e a mio parere uno dei meglio concepiti e costruiti. Innumerevoli i cambi di tempo e gli stacchi presenti qui, e in qualche modo tutto sembra comunque naturale, non forzato. Si concedono anche un brevissimo "divertissement" strumentale dopo circa tre minuti: geniale. Dopo circa metà entra una parte più lineare in 4/4 che ci porta, in crescendo, alla ripresa del tema iniziale. Ed il tutto si conclude senza speranze dopo l'orda di questi "sleepwalkers": "If I only had time, but soon my time is ended". Il tutto in un curioso contrasto con The Undercover Man che si concludeva con "you still have time".
Insomma, forse l'album più compiuto dei VDGG, dove tutte le parti si incastrano perfettamente. Ammetto che di questo secondo corso personalmente preferisco Still Life, che trovo un po' più arioso e meno claustrofobico; credo però che questo sia forse l'album perfetto per introdurre qualcuno ai VDGG. Certo, Pawn Hearts è forse il capolavoro assoluto sotto molti aspetti, ma per un nuovo ascoltatore credo che possa anche arrivare dopo Godbluff.
Tra l'altro nelle session di lavorazione a Godbluff furono scritte anche Pilgrims e La Rossa: interessante notare come effettivamente sarebbero state fuori posto qui a mio parere, e quanto invece siano appropriate nel successivo Still Life.
In definitiva, un ottimo album senza alcun dubbio anche se non il mio preferito in assoluto della loro discografia.
Un 8,5 come voto.
Qui sotto trovate l'intero album affiancato ad una versione live con video filmato in Belgio nel 1975.

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